Nel corso della mattinata del 9 agosto 2022, i poliziotti del Commissariato di Polizia di Stato di Ponticelli, durante un sopralluogo finalizzato alla ricerca di motocicli utilizzati per alcune rapine avvenute nel quartiere, mentre ispezionavano gli androni di alcuni palazzi in Viale delle Metamorfosi e via dei Mosaici, nel rione Lotto O, fortino dei De Luca Bossa, individuarono e sequestrarono l’arsenale di armi del clan.
Durante l’ispezione del palazzo di Via dei Mosaici dove viveva Alessandro Ferlotti, perno portante del clan De Luca Bossa, l’attenzione dei poliziotti fu attirata da una sequenza di frecce disegnate sulla parete, a circa un metro dal pavimento. Seguendo quelle indicazioni furono condotti in uno spazio ristretto dove era presente una scritta “Vutt ca capa aint buccino” diretta ad un pannello bianco presente sulla parete fissato in modo rude con chiodi e viti. Dopo aver provveduto a rimuovere il pannello, i poliziotti si trovarono al cospetto di un grosso foro rettangolare sulla parete che dava accesso all’intercapedine del muro e proprio in quello spazio vuoto trovarono “il tesoro del clan”: vari zaini all’interno dei quali erano custodite armi, munizioni e stupefacente.
Nella fattispecie, i poliziotti sequestrarono:
– una pistola semiautomatica marca Beretta modello 92FS calibro 9 mm di colore nero con matricola abrasa e con serbatoio inserito contenente sette cartucce calibro 9 mm;
– una pistola revolver marca Mondial distinta con matricola nr. A07435 di colore nero con manico in legno e contenete otto cartucce calibro 6 mm;
– una pistola revolver marca Magnum. cal. 380 9 mm di colore argento priva di tappo rosso e di munizionamento;
– una pistola revolver marca Smith & Wesson distinta con matricola nr. N247326 cal. 357 di colore nero con i manici in legno e contenete cinque cartucce;
– quarantasei cartucce calibro 9 mm. riportante la scritta sul fondello G.F.L.9×21;
– otto cartucce di vario tipo;
– quarantatré cartucce di vario tipo:
– cinquanta cartucce calibro 9 mm. riportante la scritta sul fondello S&B 9×19 contenute all’interno di scatola per munizionamento di colore bianco avente scritta “9xl9 NATO lotto 21 17”;
– ventiquattro cartucce di vario tipo;
– sostanza stupefacente e svariato materiale per il confezionamento;
– una busta di cellophane trasparente aperta contenente materiale vegetale essiccato di colore verde costituito da foglie e infiorescenze del peso lordo di grammi 277,32;
– dieci stecche dì sostanza solida di colore marrone avvolte singolarmente in cellophane trasparente del peso lordo complessivo di grammi 28.20;
– un bilancino marca Driwej di colore grigio munito di relativa batteria delle dimensioni di 7×4 cm;
– tre bustine in plastica trasparente contenenti all’interno bustine da confezionamento anch’esse trasparenti con chiusura a zip dalle dimensioni di 30 x 40 mm.
Seppure contestualmente al ritrovamento dell’arsenale i poliziotti non potettero fare altro che attribuire ad ignoti la proprietà delle armi rinvenute, le intercettazioni hanno ricoperto un ruolo cruciale nello stabilire con assoluta certezza che fossero a disposizione del clan De Luca Bossa e che “i custodi” di tali armi erano Alessandro Ferlotti e Ciro Flauto. Un dato di fatto che trapela fin dagli attimi successivi al sequestro e confermato nel corso di molteplici conversazioni che sottolineano il malcontento di Ferlotti prima e degli altri affiliati poi rispetto al fatto che Ciro Flauto non abbia provveduto, nonostante i ripetuti solleciti, a spostarle in altro luogo, considerato che quello prescelto si trovava nel palazzo in cui abitava di Ferlotti.
Nel coro di voci che solleva vivo disappunto per il mancato tempestivo intervento di Flauto, spicca anche quella di Annamaria Amitrano, alias “bambola di pezza”, l’unica donna coinvolta nella vicenda e che non solo sottolinea di aver suggerito più volte di cambiare il nascondiglio, ma è anche tra le persone più attive nel ricercare nuove armi utili a rifocillare il depauperato arsenale in un momento cruciale come quello in cui la faida con i De Micco era in pieno corso. Motivo per il quale, all’indomani del sequestro, riportato dai principali quotidiani locali nazionali, dato l’ingente quantitativo di armi rinvenute, tutti gli affiliati al clan De Luca Bossa manifestano viva preoccupazione, ritenendo che gli avversari potessero approfittare di quel momento di difficoltà che oggettivamente rendeva difficile una controffensiva da parte dei rivali a corto di armi.
Conversazioni dalle quali trapela il rammarico condiviso da tutti i sodali, così come tutti partecipano attivamente alla ricerca di nuove armi.
Inoltre, in più di un’occasione, soprattutto Christian Marfella, ribadisce che Flauto deve versare duemila euro, ovvero la percentuale di denaro più consistente da reinvestire nell’acquisto di nuove armi, a riprova del fatto che il sequestro viene attribuito ad una sua leggerezza.
Non appena viene segnalata la presenza dei poliziotti nel palazzo in cui vive, Alessandro Ferlotti inizia freneticamente a
telefonare tutti i soggetti coinvolti per informarli dell’accaduto. Quando contatta la compagna, probabilmente consapevole di essere intercettato, cerca di sbugiardare l’ipotesi del suo diretto coinvolgimento, ipotizzando che si sia trattato di un piano ordito ad arte da qualcuno per incastrarlo, nascondendo delle armi nell’edificio in cui abita.
“Ma tu hai capito che cattiveria nu hanno fatto?…Eh, hanno nascosto certe cose dentro al palazzo mio, ma com‘è, sapete che io tengo i precedenti, tengo tutti sti macelli, vi mettete a nas…chissà chi cornuto si è messo a nascondere”.
Una volta appurato che il clan sia rimasto a corto delle armi necessarie per sostenere la faida in corso è proprio Ferlotti, insieme a Marfella, il primo ad attivarsi per reperirne delle nuove. Christian Marfella gli chiede di rintracciare un ragazzo di Ercolano, ma Ferlotti risponde che non ha più il numero perché ha dovuto disfarsi del telefono precedente, mentre “bambola di pezza” contatta un certo Domenico.
Diverse conversazioni concorrono a ribadire la serrata attività di ricerche che vede coinvolti diversi affiliati al clan, intenzionati a reperire rapidamente delle armi che vengono indicate con il termine “motorini” proprio per depistare gli inquirenti, sicuri del fatto che i loro dialoghi siano intercettati.