Il 2 luglio 2023 saranno trascorsi esattamente 40 anni dal “Massacro di Ponticelli”: così venne ribattezzato dai media l’efferato infanticidio di Barbara Munizzi e Nunzia Sellini, avvenuto nel Rione Incis di Ponticelli. Le due bambine furono prima seviziate e poi uccise, infine i loro cadaveri furono bruciati.
Una vicenda agghiacciante, segnata anche da indagini torbide che portarono alla condanna all’ergastolo di tre ragazzi: Ciro Imperante, Giuseppe La Rocca e Luigi Schiavo, assidui frequentatori del rione, di età compresa tra i 19 e i 21 anni.
Un verdetto emesso in totale assenza di prove e sull’esclusiva base di dichiarazioni spesso modificate e ritrattate, supportate da un supertestimone, tale solo sulla carta.
Nel corso dei decenni, i tre non hanno mai smesso di urlare a gran voce la loro innocenza, chiedendo la revisione del processo.
Intervistati per la prima volta da “Le Iene”, celeberrima trasmissione di Italia 1 che nel corso degli anni ha riportato alla ribalta plurimi cold case che hanno segnato la storia italiana, i tre – ormai diventati uomini – dopo aver trascorso la maggior parte delle loro vite in carcere, seguitano a chiedere con forza la revisione del processo, affinchè gli venga riconosciuta la giustizia che meritano, auspicando in un verdetto che ribalti la sentenza che li ha condannati all’ergastolo, riabilitandoli agli occhi della società e cancellando così quella macchia che li ha segnati irrimediabilmente per tutta la vita.
Dalle dichiarazioni rese dai testimoni, oltre che dai ragazzi, sono emersi i metodi poco ortodossi con i quali sono state condotte le indagini da parte delle forze dell’ordine e che narrano delle torture subìte all’interno della caserma Pastrengo, non solo dai tre poi arrestati e condannati, ma anche da altre persone sottoposte ad interrogatorio.
Forte sostenitrice dell’innocenza dei tre ragazzi, la criminologa Luisa D’Aniello che ha ereditato il caso dal giudice antimafia Ferdinando Imposimato che si è battuto fino all’ultimo respiro per riuscire a scagionarli da quelle ignobili accuse. La criminologa D’Aniello e l’investigatore Giacomo Morandi, nel corso degli anni, non hanno mai smesso di cercare prove, elementi, fatti concreti che potessero concorrere a rafforzare il di per sè massiccio faldone in cui sono riportati i dati concreti che provano l’estraneità dei tre ragazzi rispetto ai fatti per i quali sono stati condannati all’ergastolo.