Correva l’anno 2011, il pentimento dei Sarno aveva decretato la fine di un’era camorristica durata all’incirca 30 anni e tra le strade del quartiere diversi clan palesano l’intenzione di colmare quel profondo vuoto di potere, scaturito da un evento tanto inaspettato quanto imprevedibile, come l’autodistruzione dell’impero della cosca fondata dai fratelli originari del Rione De Gasperi.
In questo clima si consuma un delitto eccellente dal quale scaturisce uno scenario che tuttora condiziona le dinamiche camorristiche ponticellesi: quello di Massimo Imbimbo, contiguo al clan De Martino-Perrella-Circone, nonchè nipote del ras Francesco De Martino. Un omicidio sul quale c’è la firma dei De Micco, all’epoca alleati dei Cuccaro di Barra. Ad entrare in azione per freddare un elemento di spicco del clan rivale, Salvatore De Micco – fratello di Marco, fondatore dell’omonimo clan – e Gennaro Volpicelli. Imbimbo fu ucciso mentre, a notte fonda, a bordo di uno scooter, transitava in via Alfieri, nei pressi del rione Lotto 10. Travolto da una pioggia di proiettili che lo hanno ferito alla mano e al braccio sinistro, al fianco sinistro, al dorso, alla coscia. Letale quello che gli ha perforato il torace raggiungendo il cuore.
Inconsapevole di essere intercettato, nei giorni successivi all’agguato, il ras Francesco De Martino, palesava allarmismo ed apprensione per la sorte degli altri sodali, in primis, per quella dei figli Antonio e Giuseppe, già ben addentrati nelle dinamiche malavitose, mentre il figlio minore, Salvatore, era ancora un bambino. Temeva che i rivali del clan De Micco, con l’intento di favorire l’ascesa e la supremazia dei Cuccaro di Barra a Ponticelli, potessero mettere a segno un altro delitto eccellente.
L’oggetto della disputa, come di consueto, era il controllo dei traffici illeciti, in primis del business della droga. Fino a prima dell’omicidio Imbimbo, i gestori delle piazze di spaccio di Ponticelli versavano la quota ai De Martino. Dopo quel delitto eclatante, lo scenario cambiò repentinamente e tutti iniziarono a pagare la tangente ai De Micco.
A nulla servì l’irruzione presso “il circolo di Bombò” che a tutti gli effetti rappresentò la replica della fazione capeggiata dai De Martino all’omicidio Imbimbo. Per sedare le ostilità il ras Francesco De Martino stipulò una tregua in seguito ad un incontro con i vertici del clan Cuccaro, al quale partecipò personalmente.
In questo clima matura l’alleanza tra i De Micco e i De Martino, tuttora saldamente uniti al timone del clan egemone a Ponticelli, seppure uno degli esecutori dell’omicidio del nipote del boss Francesco De Martino sia Salvatore De Micco, fratello di Marco e Salvatore.
A chiarire la dinamica dell’omicidio Imbimbo è un supertestimone: Antonio Sarno, soprannominato polpetta, figlio dell’ex boss Luciano, collaboratore di giustizia dal 2011, morto nel 2018 stroncato da un tumore.
Antonio Sarno, anch’egli collaboratore di giustizia e sotto protezione, riferisce di aver assistito all’omicidio, in quanto gestiva una piazza di spaccio con Gennaro Marigliano non molto distante dal luogo in cui i sicari entrarono in azione per uccidere Imbimbo. Secondo il supertestimone l’omicidio Imbimbo segna l’entrata del clan Cuccaro a Ponticelli, il quartiere che in un passato recente era sotto la sfera egemone della famiglia Sarno.
“Ero sul corso principale, tra le ventitré e la mezza, andavo ad andatura lenta, parlavo al telefono con Maddalena, quando all’improvviso vidi nella corsia opposta due persone con i caschi scuri su uno scooter; poi si avvicinarono ad un altro motorino fermo e gli diedero un calcio dal lato sinistro facendo cadere per terra un ragazzo; dopo poco sentii cinque, sei spari. Forse era una pistola automatica, non so. Ho riconosciuto De Micco e Volpicelli. E anche De Micco ha riconosciuto me”, aveva dichiarato durante il processo il giovane Sarno.
Maddalena Licata, all’epoca fidanzata di Antonio Sarno, oggi ex moglie, viene quindi chiamata in causa perchè il suo compagno sostiene che mentre quell’omicidio si consumava sotto i suoi occhi era al telefono con lei e avrebbe riferito in tempo reale la dinamica dei fatti. Intervenuta come teste collegata in videoconferenza, perché sotto protezione, la donna smentisce quella circostanza ed afferma di essere all’oscuro dell’intera vicenda.
Un’incongruenza che concorre a minare la credibilità del testimone il quale, nei mesi precedenti, aveva dichiarato che quel giorno si sarebbe trovato in compagnia dell’omonimo cugino, Antonio detto “spillo”, m anche quest’ultimo smentisce questa circostanza spiegando di aver incontrato il cugino due giorni dopo l’omicidio di Imbimbo e che in quell’occasione il suo omonimo non gli avrebbe riferito nessun dettaglio circa il delitto.
I giudici del collegio della Corte di Assise d’Appello di Napoli hanno così accolto la tesi dei difensori e ridotto la condanna all’ergastolo a 30 anni di carcere per Salvatore De Micco e Gennaro Volpicelli.
Gli avvocati Stefano Sorrentino e Claudio D’Avino riuscirono, dunque, a far decadere l’aggravante della premeditazione, evidenziando l’occasionalità dell’omicidio e la mancanza di un piano organizzativo, mentre i De Micco e i De Martino seguitano a camminare a braccetto.