La vasta operazione che ha decapitato il cartello camorristico costituito dai vecchi clan dell’ala orientale di Napoli facendo scattare le manette per più di 60 soggetti ha sancito la fine di un’era camorristica, favorendo la nascita di nuovi equilibri, soprattutto a Ponticelli.
Un blitz che ha decapitato il clan De Luca Bossa che per la prima volta vede tutti i familiari invischiati in vicende malavitose contemporaneamente detenuti e che ha ugualmente concorso ad indebolire le altre organizzazioni che negli ultimi anni avevano assunto il controllo del territorio, approfittando del primo momento di difficoltà del clan De Micco, la cosca nata dal nulla e che sotto le direttive di Marco De Micco prima e dei fratelli Salvatore e Luigi poi, nell’arco di poco tempo era riuscita ad imporre la propria egemonia, a discapito dei clan più datati presenti sulla scena camorristica, colmando il vuoto di potere scaturito dalla fine dell’era di Sarno. Un vero e proprio terremoto che tra pentimenti eccellenti e pesanti arresti, poi convertiti in sonore condanne, concorse ad indebolire notevolmente i clan superstiti: i De Luca Bossa, i Casella, i Minichini, ma anche gli Aprea, mentre nel rione Conocal, complice l’insediamento di famiglie provenienti dal centro storico di Napoli, nasceva il clan D’Amico.
La prima, vera faida di camorra che segnò l’era post-Sarno vide proprio i D’Amico osteggiare i De Micco, mentre i relitti dei vecchi clan restarono a guardare. Troppo indeboliti e rimaneggiati per tentare di partecipare attivamente alle ostilità. In questo clima maturò l’ascesa del clan De Micco. Una scalata al potere suggellata a suon di delitti eccellenti.
I D’Amico messi all’angolo dai “Bodo”, al pari dei vecchi clan di Ponticelli, si videro costretti a subire angherie e vessazioni dai nuovi boss del quartiere. Seppure i clan alleati decisero di unire le forze per ritornare a marcare la scena camorristica da protagonisti, quando i De Micco erano ancora saldamente al potere, si guardarono bene dal lanciare il guanto di sfida per giocarsi a viso aperto il controllo del territorio.
A favorire l’ascesa dei clan alleati, infatti, fu un inaspettato evento propizio: il blitz che nel 2017 fece scattare le manette per 23 figure di spicco del clan De Micco, tra le quali il boss Luigi De Micco e il killer Antonio De Martino, rampollo del clan più assoggettato ai “Bodo”, almeno sulla carta.
Agli albori dell’era camorristica nata sulle macerie del clan Sarno, i De Micco erano espressione dei Cuccaro di Barra e in quel frangente i De Martino-Perrella-Circone, erano legati ai D’Amico.
L’alleanza tra i De Micco e i De Martino è nata in seguito ad un delitto eccellente, quello di Massimo Imbimbo, nipote del ras Francesco De Martino. Ad entrare in azione per freddare un elemento di spicco del clan rivale, Salvatore De Micco – fratello di Marco, fondatore dell’omonimo clan – e Gennaro Volpicelli.
Da quel momento, i De Martino hanno archiviato livori di vendetta e velleità camorristiche per confluire nel clan egemone, seguitando a fare le veci dei De Micco anche in seguito al blitz che ha decretato la fine del primo mandato dei “Bodo” a Ponticelli. A cercare di limitare i danni, contenendo la minaccia insita nell’ascesa dei clan alleati, una paranza last minute, fondata reclutando giovani leve tra i ragazzi dei rioni-bunker dei De Martino, capeggiati dall’ultimo dei tre figli del ras Francesco: Salvatore De Martino. Con i fratelli Antonio e Giuseppe in carcere, al pari del padre, erano il figlio più piccolo, all’epoca ancora minorenne, e la madre Carmela Ricci a marcare il territorio per conto dei De Micco riuscendo a preservare almeno il controllo dei loro rioni.
In seguito alla scarcerazione del boss Marco De Micco, però, quell’atto di preziosa resilienza non ha riscosso il tornaconto sperato, seppure i De Martino abbiano continuato a rappresentare lo zoccolo duro del clan De Micco, così come comprova l’arresto di pedine cardine del clan degli “XX” per la partecipazione a vario titolo all’omicidio di Carmine D’Onofrio, il 23enne figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa, voluto per punire il raid indirizzato al boss De Micco. Giovanni Palumbo, Ciro Ricci: due elementi di spicco del clan De Martino che hanno dato man forte ai De Micco quando a capo del clan è ritornato il boss fondatore, Marco De Micco. Inoltre, il ruolo ricoperto da questi ultimi, negli anni in cui ai De Martino non restò da fare altro che convergere nel cartello camorristico costituito dai vecchi clan di Napoli est, ben trapela dalle pagine dell’ordinanza che lo scorso novembre ha sancito l’uscita di scena di numerosi elementi di spicco della malavita locale.
Seppure dopo l’arresto di Marco De Micco, i De Martino diedero per scontato che a subentrare al boss detenuto nel ruolo di reggente del clan sarebbe stato Salvatore De Martino, le cose andarono diversamente in quanto, prima di essere arrestato, De Micco designò come suo erede “o’ mellone”. Un colpo di scena inaspettato che ha concorso a fomentare le ruggini tra i due clan che ciononostante continuano a figurare come un tutt’uno sullo scacchiere camorristico di Ponticelli.
Un’alleanza sopravvissuta anche ai numerosi eventi concitati che hanno concorso ad arroventare l’estate scorsa: la scarcerazione del ras Francesco De Martino, l’omicidio di Carlo Esposito, contiguo al clan “XX”, in cui perse la vita anche l’innocente Antimo Imperatore e il pentimento del killer, Antonio Pipolo, che dopo aver ucciso un affiliato al suo stesso clan, si presentò spontaneamente in procura per avviare il percorso di collaborazione con la giustizia.
A suscitare maggiore perplessità negli ambienti malavitosi è principalmente il profilo basso adottato da De Martino senior, inizialmente legittimato dalla consapevolezza di avere puntati su di sè i riflettori degli inquirenti e che nei mesi successivi ha assunto le fattezze di una vera e propria strategia.
Non è passato inosservato il tatuaggio-tributo ai “Bodo” scalfito sulla nuca di Cicco ‘o pazzo – questo il soprannome di Francesco De Martino negli ambienti camorristici – battesimo d’onore per antonomasia del clan De Micco con il quale i sodali palesano fedeltà ed attaccamento al clan. Un gesto emblematico assai importante per i De Micco, motivo per il quale, quando diversi affiliati ai Bodo confluirono nell’organizzazione composta dia clan alleati, gli fu imposto di cancellare quel tatuaggio per rinnegare la precedente affiliazione.
Un gesto senza dubbio strategico, voluto da De Martino senior per zittire rumors e sospetti circa un’ipotetica scissione dai De Micco, allontanando lo spettro della faida interna. Troppi gli equilibri e gli interessi da preservare, soprattutto sul fronte giudiziario.
Archiviate le incursioni de i De Luca Bossa nei rioni dei rivali, all’indomani del blitz che lo scorso 28 novembre ha sancito la definitiva uscita di scena degli altri clan attivi a Ponticelli, i De Martino speravano di festeggiare un’altra buona notizia: l’assoluzione di Antonio De Martino accusato di essere il killer che uccise Annunziata D’Amico, la donna-boss del rione Conocal di Ponticelli.
Una speranza alimentata dalle incongruenze emerse dalle dichiarazioni rese dai vari collaboratori di giustizia informati su quei fatti specifici e soprattutto dalla tesi difensiva supportata dagli avvocati di De Martino che la mattina dell’omicidio della D’Amico era in carcere con la madre per sostenere un colloquio con suo fratello Giuseppe, detenuto nello stesso istituto penitenziario del figlio maggiore della donna-boss del rione Conocal.
Secondo quanto dichiarato da Rosario Rolletta, ex affiliato al clan De Micco, oggi collaboratore di giustizia, Antonio De Martino, di ritorno dal carcere, con la complicità di Flavio Salzano, avrebbe praticato un rapido cambio d’abito per poi irrompere nel Conocal ed attendere l’arrivo della donna-boss per giustiziarla. Sarebbe stato proprio Rolletta a disfarsi dell’auto usata dai killer.
La Corte d’Assiste d’Appello del Tribunale di Napoli ha confermato la condanna all’ergastolo per Antonio De Martino, seppure la ricostruzione dei fatti sia stata fortemente contestata dagli avvocati di De Martino, i quali sostengono che essendosi trattenuto nell’istituto penitenziario per sbrigare alcune faccende, non avrebbe fatto materialmente in tempo a tornare a Ponticelli prima della D’Amico per ucciderla.
L’unico dato certo è che gli equilibri da preservare, dentro e fuori dal carcere, spingono De Martino senior a prediligere una politica silenziosa, a discapito di azioni eclatanti e plateali che inoltre rischierebbero di attirare l’attenzione delle forze dell’ordine. Corrente di pensiero sposata appieno dai De Micco, soprattutto in seguito al blitz che ha sancito l’uscita di scena dei rivali. Le due compagini controllano il territorio in un clima di armoniosa unione d’intenti. Almeno apparente.
Nessuno dei due clan, al momento, avrebbe interesse ad innescare una faida interna seppure, secondo i ben informati, qualche scintilla in un passato recente si sarebbe registrata.
Questo clima orfano di spari ed azioni eclatanti sta concorrendo ad accrescere i consensi intorno al clan De Micco, additato non solo come il sodalizio egemone a Ponticelli, ma anche come l’unica cosca munita della forza economica necessaria per garantire una vita agiata ai suoi affiliati, dentro e fuori dal carcere.