Le case popolari: sulla carta di proprietà del Comune di Napoli, nella realtà dei fatti uno dei business più redditizi saldamente gestiti dalla criminalità organizzata.
Un attività illecita che assicura guadagni ingenti, oltre al controllo del territorio favorendo l’insediamento di “famiglie amiche” a discapito di soggetti legati ad altre organizzazioni, come avvenne nel Conocal quando a comandare il rione-fortino del clan D’Amico era la defunta boss Annunziata D’Amico. Nel periodo in cui a tenere banco era la sanguinaria faida con i De Micco – terminata proprio in seguito all’assassinio della donna-boss – la D’Amico cacciò dal suo rione i parenti e i soggetti legati ai rivali per favorire l’insediamento di famiglie che avrebbero concorso a favorire la nascita di un clima a lei meno ostile, ma ciò non bastò a salvarle la vita.
Anche nel caso dei clan alleati di Napoli est, i Minichini-Schisa-De Luca Bossa- Aprea-Rinaldi, i destinatari dello sfratto forzato sono soggetti legati a clan rivali o imparentati con collaboratori di giustizia o semplici famiglie estranee alle dinamiche camorristiche e pertanto costrette a soccombere, subendo il ricatto della camorra, seppure quell’abitazione gli era stata assegnata regolarmente dal Comune di Napoli.
Il collaboratore di giustizia Tommaso Schisa, in tal senso, ha fornito un contributo prezioso ricostruendo alla magistratura il modus operandi del clan in relazione alla compravendita degli alloggi popolari, indicando sua zia Gabriella Onesto a capo della gestione del business con la complicità del suo braccio destro, Maria Lazzaro. La Onesto gestiva gli alloggi nei rioni De Gasperi, Lotto O e Conocal, oltre che nella zona denominata in gergo “abbasc’ a chicc'”. Per gestione non s’intende l’esclusiva compravendita, i residenti sono tutti tenuti a pagare una quota mensile alla cosca.
Rispetto al ruolo della zia Gabriella Onesto, il pentito Schisa rivale che “spesso individua le case, o le libera con la forza, oppure le vende a terzi. In alcuni casi addirittura i figli delle persone anziane che poi muoiono, per “rispetto” nei confronti del clan cedono la casa a Gabriella che poi la vende a chi ritiene.”
Schisa entra nei dettagli e spiega come viene gestito il business: “chi è interessato a comprare un alloggio di edilizia popolare si rivolge al clan e compra l’appartamento per una somma variabile tra i 10 e i 20 mila euro; chi invece non acquista l’immobile paga una quota mensile d’affitto al clan. E’ una quota che può variare in base alla grandezza dell’appartamento occupato per una somma che varia tra i 200 e i 300 euro mensili.”
Ruoli e dinamiche che trovano ampiamente riscontro nelle intercettazioni telefoniche relative ai dialoghi tra Gabriella Onesto e Maria Lazzaro, alias Maria ‘e gettone, impegnate in prima linea a sedare le controversie nate tra vecchie e nuove occupanti delle abitazioni gestite. Conversazioni dalle quali trapela l’atteggiamento perentorio e minatorio della Onesto che intima di guardarsi bene dal contattare le forze dell’ordine in casi affini, onde evitare di incombere in guai ben più seri.
Inoltre, quando le case venivano occupate dai nuovi inquilini, gli oggetti rinvenuti all’interno venivano lasciati in dotazione a questi ultimi o spartiti tra gli affiliati al clan. Anche quest’aspetto era gestito dal tandem Onesto-Lazzaro.
Maria ‘e gettone era stata incaricata da Gabriella Onesto di gestire una serie di immobili, tant’è vero che quando uno degli appartamenti a lei affidati viene venuto dalla nipote della Onesto, tra le donne scoppia una lite.
La magistratura definisce “spasmodica” l’attività di ricerca degli appartamenti da vendere o affittare da parte di Gabriella Onesto e dei suoi collaboratori.