“Sono cresciuto senza padre… Non ho potuto prendere la sua vita, perchè non ho avuto il modo di prenderlo ad esempio e perchè non mi piace… (…) L’unico esempio che ho potuto prendere da mio padre è uno: è la mancanza. Ciò che provo oggi. E non voglio far provare a mia figlia ciò che sto provando”.
Parlava così Emmanuel De Luca Bossa nel 2018, mentre era detenuto ai domiciliari e ammazzava la noia intrattenendo lunghe conversazioni con la direttrice di Napolitan.it, la giornalista Luciana Esposito. Dialoghi integralmente riportati nel libro “Nell’inferno della camorra di Ponticelli- Napolitan”.
Il figlio minore di Antonio De Luca Bossa, boss fondatore dell’omonimo clan condannato all’ergastolo in via definitiva e detenuto al 41 bis, nel frattempo, di figli, nel frattempo, ne ha avuti altri due. L’ultima è nata poche settimane dopo il suo arresto, avvenuto lo scorso luglio.
In pochi anni, Emmanuel soprannominato “Chicco” è riuscito a consolidare la sua posizione all’interno del clan di famiglia, manifestando un atteggiamento in netta antitesi con quanto dichiarato durante il periodo trascorso ai domiciliari.
Ci aveva provato a ritagliarsi una vita normale, era riuscito anche a trovarsi un lavoro da cameriere in un noto ristorante al Borgo Marinari, aveva vissuto anche un esperienza lavorativa lontano da Napoli, trasferendosi per un periodo in Emilia Romagna e il suo sogno era proprio quello di rifarsi una vita lontano dal Lotto O e da Ponticelli, in un luogo dove sarebbe stato un ragazzo qualunque e non il figlio di Tonino ‘o sicco. Almeno questo è ciò che raccontava, mentre scontava una pena incassata mettendo a segno una serie di rapine seriali, insieme ad una paranza di giovanissimi che nell’estate del 2018 seminò il panico, non solo tra le strade di Napoli est e dell’entroterra vesuviano, ma spingendosi finanche nell’area occidentale della città, mettendo a segno diversi colpi nella zona di Fuorigrotta. In quel momento storico, Emmanuel De Luca Bossa balza agli onori della cronaca per un dettaglio in particolare: i giovani del rione iniziano a chiamarlo “Sangue Blu”, parafrasando uno dei personaggi di “Gomorra – La Serie” con una storia assai simile a quella del giovane rampollo di casa De Luca Bossa.
Nella serie di Sky, “Sangue Blu” era il nipote di un boss con un passato glorioso tra i vicoli del centro storico di Napoli e per questa ragione sognava di emularne le gesta per conferire al suo cognome il ritrovato lustro di un tempo, ormai perduto da anni, ovvero, da quando altri clan avevano preso il sopravvento in zona. Una storia che ben riassume il passato del clan De Luca Bossa, finito in rovina per anni, nel corso dei quali il boss Antonio ha subito numerose umiliazioni in carcere, dove veniva schernito e deriso dagli altri detenuti proprio per la sua condizione di indigenza, non confacente allo status di un “capo-clan” degno di definirsi tale.
Per questa ragione, probabilmente, immedesimandosi nelle gesta del “Sangue Blu” di “Gomorra”, Emmanuel decise di lasciare il sogno di una vita normale e il suo lavoro onesto, per rispondere con la presenza alla “chiamata del sangue”.
Durante una perquisizione, mentre era ai domiciliari, i carabinieri del nucleo operativo di Poggioreale lo hanno trovato in possesso di una pistola a piombini completa di caricatore, ma priva del tappo rosso. Concordando con le risultanze investigative dell’Arma, il gip del Tribunale di Napoli optò per il trasferimento in carcere di De Luca Bossa junior, per poi riconcedergli i domiciliari nel 2020.
Fu così che i due figli di Antonio De Luca Bossa, nella primavera del 2020, si ritrovano entrambi fuori dal carcere per la prima volta, da quando il clan di famiglia era riuscito a riappropriarsi del controllo del territorio, approfittando del primo vero momento di debolezza dei De Micco.
Le intercettazioni risalenti proprio a quel periodo hanno concorso a far luce sulla posizione ricoperta da Emmanuel De Luca Bossa all’interno del clan di famiglia. Ad ottobre del 2020, in seguito all’arresto di suo fratello Umberto e di suo zio Giuseppe, divenne il referente del clan di famiglia, malgrado la detenzione ai domiciliari. In virtù dell’impossibilità di uscire di casa, Chicco si serviva di una serie di gregari, uno su tutti suo cugino Carmine D’Onofrio, il 23enne figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa che fu ucciso in un agguato la sera del 7 ottobre 2021, reo di aver piazzato un ordigno nel cortile di casa del boss Marco De Micco. Proprio in seguito all’assassinio del cugino, Emmanuel De Luca Bossa rispolvera il desiderio di rifarsi una vita lontano da Ponticelli, temendo per la sua incolumità e per quella dei suoi familiari. Un timore legittimato dalle continue incursioni dei De Micco nel Lotto O, il fortino del clan De Luca Bossa che tutto ad un tratto divenne fortemente vulnerabile, sotto la costante minaccia insita nell’ascesa dei rivali.
Tantissime le prove che confermano il coinvolgimento di Emmanuel De Luca Bossa nella gestione degli affari di famiglia, in primis, il business della droga e la spartizione dei proventi illeciti.
In sostanza, in seguito all’arresto di suo fratello Umberto, Emmanuel ne faceva le veci, eseguendone ordini e direttive, ma quando viene scarcerato suo zio Christian Marfella, nell’estate del 2021, lo scenario cambia e il ruolo di reggente del clan viene ricoperto proprio dal figlio di Teresa De Luca Bossa, la prima donna italiana detenuta al 41 bis, e del boss di Pianura Giuseppe Marfella.
Proprio in questo clima, appena termina di scontare la pena ai domiciliari, Emmanuel De Luca Bossa, insieme a Vincenzo Barbato e Giuseppe Damiano e ad un’altra persona, identificata in un minorenne contiguo al clan, ma poi scarcerato per insufficienza di prove, mette la firma su un’azione camorristica eclatante: i quattro, a bordo di due moto, con tanto di armi in bella mostra, fanno irruzione in viale Margherita ed esplodono una raffica di colpi ad altezza d’uomo per circa 50 metri, non appena giungono nei pressi del bar abitualmente frequentato dagli affiliati al clan De Micco.
In sostanza, i De Luca Bossa, galvanizzati dalla scarcerazione di Marfella, erano intenzionati a compiere un delitto eccellente, per vendicare non solo l’assassinio di Carmine D’Onofrio, ma anche quello di Antonio Minichini, il 19enne figlio di Anna De Luca Bossa e del boss Ciro Minichini, giustiziato all’età di 19 anni dai sicari del clan De Micco. Inoltre, facendo “un punto eclatante” avrebbero rilanciato la supremazia dei De Luca Bossa, in virtù del momento di difficoltà attraversato dai rivali in seguito all’arresto del boss Marco De Micco e degli altri affiliati accusati dell’omicidio di Carmine D’Onofrio.
Fu così che nel pomeriggio del 2 luglio, lungo una delle arterie cruciali del quartiere, andò in scena un’azione scellerata che vide i killer sparare all’impazzata, rischiando di compiere una strage di innocenti.
Le indagini che hanno portato all’identificazione e all’arresto del commando furono compiute in tempi record dai carabinieri. Determinanti le immagini estrapolate dalle videocamere installate lungo la strada teatro del raid che hanno consentito in maniera inequivocabile ai carabinieri di risalire all’identità degli attentatori. Un’operazione agevolata dal fatto che i quattro hanno agito a volto scoperto. Ad inchiodare il gruppo di fuoco anche i tatuaggi in bella mostra ed equiparati con le fotografie ricavate dai social network.
Dallo scorso luglio, Emmanuel De Luca Bossa, si trova nuovamente detenuto in carcere. Lo scorso 28 novembre è stato raggiunto da un altro provvedimento che ha concorso ad aggravare la sua posizione.
24 anni compiuti lo scorso 27 dicembre, padre di tre figli, il figlio minore di Tonino ‘o sicco è detenuto in un istituto penitenziario che si trova nella stessa regione in cui sperava di trasferirsi. per ricostruirsi una vita lontano da Ponticelli, dal Lotto O e dalle insidie della camorra.