Non solo spacciatori, soggetti a capo di business illeciti, commercianti ed imprenditori: a subire minacce estorsive da parte del clan di Ponticelli erano anche i procacciatori di clienti per gli studi legali.
Uno scenario emerso grazie alla denuncia di una vittima, ma anche dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
La vittima, recatosi presso il commissariato di Ponticelli per sporgere denuncia, spiegò che era solito procacciare clienti per gli studi legali che si occupano di infortunistica stradale, sotto ricompensa.
Un episodio che risale al 28 settembre del 2020 e che si colloca nel bel mezzo della stagione di agguati, mancati agguati, atti intimidatori e spari, scaturita dalla scissione dei De Martino dai Minichini-De Luca Bossa-Casella.
Secondo quanto dichiarato ai poliziotti dal denunciante, Rosario Rolletta – all’epoca contiguo al clan De Martino, poi diventato collaboratore di giustizia – gli avrebbe intimato di consegnare duemila euro per la sua attività di intermediario, recandosi entro 10 minuti nel Rione Fiat di Ponticelli, quartier generale del clan De Martino. La vittima avrebbe quindi contattato un parente di Salvatore De Martino, reggente dell’omonimo clan fino alla scarcerazione del padre Francesco, per chiedergli di accompagnarlo all’appuntamento per conoscere le motivazioni alla base della richiesta estorsiva.
L’appuntamento si svolge nella scuola occupata, adibita ad abitazione da Salvatore De Martino nel Rione Fiat, alla presenza di un nutrito gruppo di sodali. De Martino rilancia la richiesta avanzata poco prima dai suoi emissari, spiegando che “volevano un regalo”, intimandogli così di consegnargli mille euro, a fronte dei duemila richiesti in precedenza.
Dopo diversi giorni, la vittima viene avvicinata in strada da un soggetto non riconosciuto che gli comunica che la somma da versare è nuovamente aumentata a duemila euro, in considerazione del fatto che era trascorso del tempo e lui non si era presentato a “consegnare il regalo” richiesto. Gli viene così intimato di presentarsi quella sera stessa, nuovamente nel fortino del clan De Martino per consegnare i soldi.
Il denunciante era spaventato da quello scenario, perchè aveva saputo che alcune persone che si erano ritrovate nella sua stessa situazione, avevano subito dei pestaggi. Motivo per il quale l’uomo si presenta in commissariato e denuncia l’accaduto alla polizia. Pochi giorni dopo, l’auto di sua moglie viene incendiata. Nuovamente ascoltato dai poliziotti della Squadra Mobile di Napoli, l’uomo riferisce di aver subito una nuova richiesta di estorsione, pochi giorni dopo la denuncia, ma da parte di soggetti non legati ai De Martino. Dalle foto segnaletiche riconosce Giovanni Palumbo detto “il piccione”, cugino di Roberto Boccardi che proprio a nome di quest’ultimo gli avrebbe chiesto di pagare una tangente di duemila euro quale “tassa” sull’attività di procacciatore di clienti per gli studi legali, in vista delle festività natalizie: “Non voglio sapere niente, prepara duemila euro per Natale, puoi venire con chi vuoi tu, ma mi devi dare i soldi!” e poi aggiunge: “Ci dobbiamo incontrare con Roberto Boccardi giù al parco alle 18“. In quel momento storico, Roberto Boccardi, un tempo affiliato al clan De Micco, ricopriva un ruolo di spessore all’interno del clan Minichini-De Luca Bossa per espressa volontà di Alfredo Minichini e Francesco Audino detto il cinese.
Dal suo canto, l’uomo avrebbe replicato annunciando al suo estorsore che sarebbe andato incontro allo stesso destino dei De Martino, perchè avrebbe denunciato anche loro. Proprio da quella incauta rivelazione sarebbe scaturito il raid incendiario indirizzato all’auto della moglie che l’uomo finito nel mirino dei clan interpreta come un chiaro atto intimidatorio con il quale i De Martino volevano indurlo a ritirare la denuncia. Tant’è vero che quando la notizia della denuncia sporta contro i De Martino diventa di dominio pubblico, amici e conoscenti avrebbero consigliato al denunciante di parcheggiare l’auto in un garage per sventare il pericolo della ritorsione che effettivamente è avvenuta.
Ad impaurire notevolmente l’uomo concorre un dettaglio tutt’altro che irrilevante: la prima convocazione che lo portò poi a presentarsi presso l’abitazione di Salvatore De Martino, l’uomo la riceve perchè Rosario Rolletta si presenta a casa dei suoi genitori chiedendogli di convocare il figlio. Un modus operandi che cela una minaccia tutt’altro che velata: gli affiliati al clan sapevano dove vivevano i suoi genitori.
Una volta passato dalla parte dello Stato, uno dei protagonisti della vicenda, Rosario Rolletta, contribuisce a ricostruire i fatti.
Una ricostruzione che il collaboratore fa partire da un episodio pregresso, avvenuto nel 2017, secondo il quale due persone non avrebbero ricevuto dal procacciatore i duemila euro che gli erano stati promessi per aver partecipato ad un finto sinistro automobilistico. I due si recarono da Rolletta per risolvere il contenzioso e quest’ultimo si sarebbe effettivamente prodigato ritirando parte della somma, inducendo il soggetto a consegnargli immediatamente mille euro che a sua volta fece pervenire ai due.
Rolletta spiega che il procacciatore era socio di un’altra persona che in passato fu picchiato da Antonio De Martino, il fratello di Salvatore, perchè coinvolto nel business dei finti sinistri senza corrispondere la tangente al clan.
Quando Rolletta torna in libertà, bisognoso di racimolare denaro, contatta una delle due persone che in passato si erano rivolte a lui per risolvere quel contenzioso per sapere se avessero ricevuto i restanti mille euro che gli spettavano, così decise di impegnarsi nuovamente in prima persona per riscuotere il vecchio debito. In sostanza, Rolletta sostiene di essersi presentato a casa dei genitori del procacciatore per regolare quel conto in sospeso maturato nel 2017.
Il procacciatore avrebbe tentato di risolvere bonariamente la vicenda recandosi da Salvatore De Martino, non accompagnato da un parente di quest’ultimo come dichiarato ai poliziotti, ma dal suo ex socio in affari. La ricostruzione di Rolletta non combacia con quella del procacciatore anche rispetto ad un altro dettaglio: secondo il collaboratore, all’incontro avvenuto a casa di Salvatore De Martino, erano presenti solo lui e quest’ultimo e non un nutrito gruppo di affiliati al clan, come dichiarato dalla vittima in fase di denuncia.
Salvatore De Martino sarebbe stato messo al corrente dell’estorsione avanzata poco prima da Rolletta solo quando si è trovato di fronte al procacciatore e pertanto per chiudere la questione avrebbe chiesto “un regalo” di mille euro. Conclusa la trattativa, Salvatore De Martino informa suo fratello Antonio di quanto accaduto e quest’ultimo va su tutte le furie, perchè Rolletta aveva agito senza l’autorizzazione del clan e inoltre, quella vecchia vicenda, rischiava di esporre tutti i sodali ad un concreto pericolo.
Dalla deposizione di Rolletta emerge chiaramente come, malgrado la detenzione, Antonio De Martino sia in constante contatto con il fratello Salvatore ed impartisca direttive al clan.
Rolletta rivela che quando la notizia della denuncia sporta dal procacciatore era diventata di dominio pubblico, durante un colloquio in videochiamata con Antonio De Martino, avrebbe ricevuto un ordine esplicito: o avrebbe provveduto ad uccidere l’uomo che aveva sporto denuncia o avrebbero ucciso lui, reo di aver innescato quel vortice di eventi, avanzando autonomamente una richiesta estorsiva.
Il collaboratore di giustizia non è in grado di fornire informazioni esaustive utili a chiarire le circostanze in cui è stata incendiata l’auto della moglie del procacciatore, perchè in quello stesso periodo aveva subito l’agguato dal quale sono scaturiti gli eventi che hanno sancito la fine della sua affiliazione al clan De Martino.