Negli anni in cui era in corso la faida scaturita dalla scissione dei De Martino dal cartello costituito dai clan alleati, i Casella iniziarono a ricoprire un ruolo sempre più rilevante all’interno dell’organizzazione. Dopo gli arresti che costrinsero in carcere tutte le figure apicali del clan, poi rilasciati dopo un anno per un cavillo burocratico relativo all’utilizzo delle intercettazioni, i Casella hanno continuato a svolgere le attività illecite con le stesse modalità utilizzate in passato, ma grazie al supporto fornito dai Minichini-De Luca Bossa-Schisa erano riusciti finanche a rafforzare la loro posizione. Se durante l’era dei De Micco le loro attività sul territorio erano assai limitate, in seguito all’ascesa dei clan alleati, oltre a gestire e controllare il loro rione, radicato nel plesso di case popolari di via Franciosa nella zona denominata in gergo “aret’ a barr'”, i Casella sono diventati una vera e propria organizzazione camorristica.
Una scalata sottolineata a suon di agguati, compiuti, ma anche subiti. Il ferimento di Rodolfo Cardone e il tentato omicidio di Rosario Rolletta per i quali sono stati tratti in arresto Giuseppe Righetto, fratellastro dei Casella, e Nicola Aulisio, nipote dei Casella e figlio di Luigi Aulisio. Tra questi due episodi s’incastona proprio l’agguato subito da quest’ultimo che destò particolarmente scalpore tra gli abitanti del quartiere perchè fu lo stesso Aulisio a rassicurare tutti circa le sue condizioni, mentre si trovava al pronto soccorso dell’ospedale villa Betania, in attesa di farsi medicare. Aulisio contattò la direttrice di Napolitan.it, la giornalista Luciana Esposito, chiedendole espressamente di sottolineare che la ferita scaturita dal proiettile che lo aveva colpito alle spalle, non aveva arrecato danni eccessivi, a riprova di quanto fosse impellente la necessità di sminuire l’affronto subito e replicare quanto prima all’agguato.
Un dato di fatto che trova riscontro nelle indagini degli inquirenti.
Nelle ore successive all’agguato, mentre Aulisio chattava su messenger con la giornalista Luciana Esposito, i Casella si organizzavano per la replica, chiamando in causa anche i parenti radicati nel rione Luzzatti. Dalle conversazioni trapela il ruolo di rilievo ricoperto da Vincenzo Casella, il più piccolo dei figli del defunto boss Salvatore Casella detto paglialone, unitamente ad una massiccia disponibilità di armi e stupefacenti. Nelle disponibilità del clan vi erano anche diverse auto e scooter di provenienza illecita, utilizzati per compiere agguati ed altri reati anche dagli altri membri dell’organizzazione. Quella sera stessa, malgrado il coprifuoco imposto durante l’emergenza covid, Gilda Musella, la zia radicata nel rione Luzzatti, viene convocata dai Casella si reca in via Franciosa per partecipare alla riunione in corso in casa di Nicola Aulisio, figlio della vittima dell’agguato da vendicare.
I collaboratori di giustizia hanno inoltre chiarito i ruoli ricoperti dai vari affiliati al clan Casella all’interno dell’organizzazione.
Luigi Aulisio viene indicato da Antonio Pipolo come il gestore di una delle piazze di crack più redditizie del quartiere. Sul suo conto, il collaboratore aggiunge anche che oltre al 19enne Nicola, già arrestato con l’accusa di omicidio, Alì è padre di un altro figlio più piccolo che di recente si stava avviando ad intraprendere il percorso criminale.
Tommaso Schisa spiega invece che Eduardo Casella “porta il nome della famiglia – rappresenta il clan all’interno dell’alleanza – avendo un ruolo ed un carisma criminale maggiori rispetto ai fratelli.” Era lui a partecipare alle riunioni indette dai vertici dell’alleanza per prendere decisioni in merito alle azioni dimostrative e alle stese da compiere.
Sono i fratelli Giuseppe ed Eduardo Casella, insieme a Peppe ‘o blob, a prendere ogni decisione relativa alla famiglia Casella.
Pipolo chiarisce che “essendo tra i reggenti del clan, Giuseppe Casella, insieme al fratello Eduardo, si occupa anche del mantenimento dei detenuti in carcere e degli altri settori dell’organizzazione, tra cui le estorsioni.” Pipolo sottolinea anche la cautela adottata dai due fratelli, poco propensi a farsi vedere in giro per sventare eventuali controlli delle forze dell’ordine, così come ne sottolinea la paura delle intercettazioni che li portava ad adottare una condotta sempre cauta in tal senso. Un timore che si rivela fondato: le accuse a loro carico sono supportate da plurime conversazioni intercettate.
Ben più autorevole il ruolo ricoperto da Giuseppe Righetto, soprannominato Peppe ‘o blob, fratellastro dei Casella, seppure mai riconosciuto da paglialone. Tommaso Schisa spiega che “Peppe ‘o blob scende anche per le stese occupandosi anche del settore delle estorsioni insieme ad Alì ed al figlio di Alì.” Talvolta si sarebbe anche occupato di impostare le piazze di spaccio, determinando la quota da versare al clan. Detenuto nello stesso carcere di Tommaso Schisa, pochi giorni prima che quest’ultimo matura la decisione di collaborare, Righetto gli confessa di aver ucciso un giovane aret’ a barra per una questione di droga.
In riferimento al misterioso ferimento di Righetto, che pochi giorni prima dell’omicidio di Giulio Fiorentino fu raggiunto da un colpo d’arma da fuoco ad una mano, il collaboratore di giustizia Antonio Pipolo conferma un rumors che tra i palazzoni di via Franciosa aveva fin da subito accompagnato quell’episodio: “fu lui stesso a dirmi che se l’era procurata accidentalmente mentre recuperava una pistola all’interno di un tubo, accidentalmente aveva premuto il grilletto e si era ferito.”