Quando è tornato in libertà lo scorso settembre, Giuseppe De Luca Bossa ignorava di essere stato indicato dai recenti collaboratori di giustizia come uno dei capi del cartello camorristico costituito dai vecchi clan di Napoli est. Nei giorni in cui aveva ritrovato la libertà ha conversato a lungo tramite messenger con la direttrice di Napolitan.it, la giornalista Luciana Esposito, per annunciarle di aver preso le distanze dalla sua famiglia, intenzionato a crearsi un lavoro onesto e pertanto meritevole della sua amicizia.
Ci teneva tanto, Peppino ‘o sicco, ad entrare nelle grazie della giornalista: lo comprovano le insistenti richieste di comunicare tramite videochiamata o di incontrarsi, forse, un giorno, quando tutto le sarebbe stato più chiaro, ovvero, quando la sua scelta di cambiare vita sarebbe diventata di dominio pubblico e invece, poche settimane dopo, il fratello del boss ergastolano Antonio De Luca Bossa è finito nuovamente in carcere, in virtù dell’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare che si può definire il capitolo conclusivo con il quale la magistratura ha messo fine all’era dei De Luca Bossa a Ponticelli.
Una stangata sonora che ha colto di sorpresa Giuseppe De Luca Bossa che chiarisce il ruolo ricoperto negli anni in cui viene indicato come il reggente del clan di famiglia, oltre che a capo dell’intera alleanza, sostenendo di essere stato vittima di un malinteso, in quanto si sarebbe recato a Ponticelli solo per far visita alle sue figlie e che “alla fine non ho fatto nulla di male, anzi ho solo fatto stare tranquillo”.
“Anche il tuo amico Giuseppe Righetto detto Peppe ‘o blob mi parlava così la mattina e poi la sera usciva per andare a sparare. Io non mi baso sulle parole, ma sui fatti”, chiarisce la giornalista al suo interlocutore che dal suo canto ci tiene a prendere le distanze dalla condotta di quello che fu un perno portante dell’alleanza, nonchè reggente dell’organizzazione, proprio in seguito al suo arresto. Un passaggio del testimone che fu annunciato sui social con una foto eloquente.
“Non mi va di parlare di altri perchè è di me che sto dicendo e posso dire quello che io sono, inoltre come saprai l’ordinanza si è cambiata per questo ho detto non tutti mi conoscono bene, se non solo da copie dei verbali dei processi”.
Giuseppe De Luca Bossa era fortemente convinto di aver chiuso a suo favore la partita con la giustizia: “se si prendono tutte le mie copie di processo, però di quelle motivate tra appelli e cassazione, lì c’è già tutto, perchè se si prendono i fermi iniziali non corrispondono a tutte le verità e comunque adesso sto cercando solo di starmene tranquillo, sto vedendo di inserirmi lavorativamente e ci riuscirò a breve, poi magari se avremo modo, ci vedremo da vicino e ti farò vedere se sono stato di parola come ti sto dicendo. Sono determinato sulle cose.” Inoltre, Giuseppe De Luca Bossa, chiarisce di aver avuto degli incontri privati con alcuni magistrati nel corso dei quali avrebbe chiarito alcuni fatti, risalenti al 2019: “a me piace assumermi le mie colpe e non quelle che non c’entro” e rispetto alla sua recente scarcerazione aggiunge: “sono uscito per aver reso per il processo 2020 chiarimenti a riguardo che il giudice ha ascoltato e confrontato il tutto che non era stato proprio così dal fermo, ma che il mio coinvolgimento era stato solo per un improvviso coinvolgimento creatosi allora“. Parole che lascerebbero intendere che il fratello di Tonino ‘o sicco si sarebbe dissociato, almeno in sede processuale, dal clan di famiglia. Così come ha provato a fare servendosi dei social, cercando di inculcare nella giornalista la convinzione che avesse interrotto ogni rapporto con i familiari residenti a Ponticelli e invischiati in fatti di camorra.
In merito ai diversi agguati indirizzati ai De Micco proprio nei giorni successivi alla sua scarcerazione, Giuseppe De Luca Bossa esercita notevoli pressioni sulla giornalista con l’intento di dissuaderla dall’associare quelle azioni criminali all’intenzione del suo clan di eliminare il figlio di uno dei fratelli De Micco. “Sarà una coincidenza che (quel ragazzo) si sia trovato in quel luogo in quel momento che queste persone sono scese per strada, non credo proprio che volessero uccidere quel ragazzo“. Pungente la replica della giornalista: “Christian (Marfella) rimetterà sicuramente le cose a posto, adesso che ha finito di scontare la pena”.
“Boh, non lo so, perchè non sto tenendo contatti, non sapevo neanche che avesse finito, me lo stai dicendo tu”, ci tiene a precisare Peppino ‘o sicco che in più circostanze afferma di aver preso le distanze dai membri della sua famiglia contigui alla malavita. Eppure, poche settimane dopo, figura tra i partecipanti alla festa di compleanno virtuale organizzata in onore della sorella ergastolana, Anna De Luca Bossa.
Un evento che suscitò particolare indignazione, perchè la festa si concluse con un lungo e fragoroso spettacolo di fuochi d’artificio, malgrado il cadavere di Alessio Bossis, elemento di spicco dell’alleanza, fosse ancora sul selciato, in quanto ucciso in un agguato poche ore prima.
Giuseppe De Luca Bossa chiede con insistenza alla giornalista se fosse intenzionata a scrivere un articolo in cui avrebbe parlato dell’intenzione dei De Luca Bossa di uccidere il giovane De Micco: “Brava, fai bene… perchè così non va bene, se toccano chi non c’entra a che si va a finire… ma ti posso fare una videochiamata qui sopra per salutarci senza scriverci e mi spieghi di questo articolo, sempre se non è un problema per te, sempre con rispetto. Per me lo sai problemi non ne ho, te lo ripeto rimani una mia amica. Te l’ho detto io sono di un’altra generazione: donne e giovani non si toccano“. A tal proposito, Peppino De Luca Bossa sottolinea che “I De Luca Bossa ti hanno dato soddisfazione”, riferendosi alla violenta uscita di scena dal Lotto O dell’impresa di pulizie capeggiata dalla donna che nel dicembre del 2015, insieme a suo marito, Giuseppe Cirella, aggredì la giornalista Luciana Esposito. I De Micco avevano imposto che a lavare le scale dei palazzi del fortino dei De Luca Bossa fosse proprio quell’impresa di pulizie, perchè Cirella è il fratellastro di Raffaele, ex macellaio dei Sarno, oggi collaboratore di giustizia. Una sadica imposizione voluta per umiliare i rivali, costretti a versare nelle casse dei parenti degli odiati rivali la somma dovuta per il servizio offerto. Peppino vorrebbe lasciare intendere che quella violenta uscita di scena andava interpretata come un gesto di rispetto, voluto dai De Luca Bossa per punire la donna che aveva aggredito la giornalista. In realtà, la cosca del Lotto O, si disfò malamente di quell’impresa proprio nel periodo storico in cui, tornati in auge, erano tra i promotori della vendetta contro i parenti dei Sarno passati dalla parte dello Stato. Infatti, poche settimane dopo, la porta dell’abitazione della madre di Raffaele Cirella fu data alle fiamme.
I toni cambiano decisamente quando l’oggetto della conversazione è Carmine D’Onofrio, il figlio avuto da Peppino in età giovanile e mai riconosciuto, ma che ha ritrovato quando era già maggiorenne, non appena gli è stata rivelata l’identità del suo vero padre. Una scoperta che lo ha condotto verso una morte prematura e violenta: ucciso in un agguato all’età di 23 anni, nei pressi dell’abitazione della madre, sotto gli occhi attoniti della fidanzata all’ottavo mese di gravidanza. Dopo aver appreso che il suo vero padre era il boss che in quel momento dominava la scena camorristica del quartiere in cui era nato e cresciuto, Carmine è andato incontro ad una forte crisi d’identità, sfociata poi nell’affiliazione al clan De Luca Bossa, in seguito all’arresto di suo padre. “Dispiace a me più di chiunque altro, se fosse stato per me mio figlio non stava neanche a Ponticelli, ma fuori a lavorare in quanto mesi prima lo volevo far andare a lavorare da Amazon in Sardegna, lo pagavano bene. Purtroppo non ero libero, come ho sempre fatto nel farlo stare a sentire, imponendoglielo di andarsene lì a lavorare. Proprio perchè già da prima l’avevo fatto lavorare in diverse parti, poi in mia assenza non so più nulla. Che rabbia averlo perso (…) Marco poteva evitare di fare questa ignobile cosa a mio figlio. Io al posto suo me lo sarei chiamato e l’avrei mandato via da lì solo con una paura sapendo il buon ragazzo che era mio figlio”.
Ad onor del vero, Giuseppe De Luca Bossa aveva cercato di tenere lontano dalle insidie della camorra quel figlio ritrovato in età adulta, ma dopo la sua uscita di scena, lo scenario è ben presto mutato per espresso volere dei cugini, i figli di Tonino ‘o sicco. Dozzine di messaggi comprovano che Emmanuel, il secondogenito di Tonino ‘o sicco, mentre era detenuto ai domiciliari, si serviva del cugino Carmine comandandolo a bacchetta, impartendo ordini e mansioni ben precise.
“Come fai a perdonare i membri della tua famiglia che hanno permesso che a tuo figlio gli accadesse quello che gli è accaduto?”, chiede la giornalista Luciana Esposito a Giuseppe De Luca Bossa.
“Non so tutto questo perchè ero in carcere e non saprei che cosa sia accaduto nè attualmente so, perchè non ho visto nessuno quindi non vorrei parlare di cose che non sono chiare e comunque credo che la giustizia farà il suo corso, non devo parlare io o fare qualcosa. Non ce l’ho con nessuno e voglio bene a tutti, ma io sono diverso. E ti prego non vorrei che strumentalizzassi qualche mia parola, anzi se questo nostro parlare rimarrebbe riservato, voglio stare tranquillo. Non ci sono, me ne sono andato via”.
Eppure, pochi giorni prima, Martina Minichini aveva pubblicato una storia su TikTok in cui appariva sdraiata accanto a suo zio Giuseppe, accompagnata dalla frase: “i risvegli che amo”. Così come plurimi sono i video-tributo apparsi in quel frangente usi social network, in cui le foto di Giuseppe De Luca Bossa scorrono insieme a quelle delle altre figure apicali del clan.
Indulgente con i parenti, ma curioso e insistente quando si tratta di chiarire il ruolo dei soggetti contigui al clan De Micco arrestati proprio perchè accusati di aver partecipato all’omicidio del figlio. Chiede se è chiaro chi sia l’esecutore materiale e se può prospettarsi la possibilità che qualche collaboratore di giustizia possa fornire informazioni utili ad inchiodare gli imputati, ma non fa nulla per nascondere la poca fiducia nutrita nei confronti della giustizia: “Intanto a mio nipote Antonio sono stati assolti e mio nipote non ha avuto giustizia”.
Ancora più incalzanti le domande finalizzate a chiarire il ruolo ricoperto da Gianni Mignano, accusato di essere il complice che insieme a Carmine avrebbe materialmente eseguito il raid indirizzato al boss Marco De Micco a settembre del 2021 e che nei giorni successivi, durante un violento interrogatorio, avrebbe rivelato al boss l’identità del uso complice. Giuseppe De Luca Bossa ipotizza che il boss abbia graziato Mignano tenendolo in vita, perchè se ne sarebbe già servito in altre circostanze, tuttavia non riesca a contenere la necessità di apprendere anche il più irrilevante dei dettagli che potrebbe aiutarlo a chiarire la posizione di Mignano, ma anche quella dei suoi familiari.
Giuseppe De Luca Bossa sostiene di non aver mai conosciuto Tommaso Schisa e di non sapere chi sia, un atteggiamento frequentemente adottato nel contesto camorristico in casi analoghi per sminuire l’importanza del collaboratore al pari della credibilità delle dichiarazioni rilasciate.
Di tutt’altro avviso Tommaso Schisa che, invece, ha meticolosamente ricostruito ai magistrati l’assetto gerarchico ed organizzativo del cartello camorristico di cui anche lui e la sua famiglia sono stati parte integrante, attribuendo a ciascun affiliato il ruolo ricoperto.
Con il verso di una risata, Giuseppe De Luca Bossa, ammette la scarsa caratura camorristica del clan di cui è stato reggente.