Quando Ciro Sarno era il boss indiscusso e incontrastato di Ponticelli, a tal punto da conquistare il soprannome di “sindaco”, disponeva di un esercito infinito di fedelissimi soldati, costituito soprattutto dai parenti, diretti e indiretti. I fratelli, i cugini, ma anche i cognati.
Correva l’anno 1990 quando ‘o sindaco venne arrestato, con non poche difficoltà nel suo fortino, il Rione De Gasperi, indagato in quanto mandante della strage del bar Sayonara avvenuta un anno prima e nella quale persero la vita due camorristi e quattro persone estranee alle dinamiche camorristiche.
Si era reso irreperibile dal giorno prima della strage, malgrado fosse detenuto ai domiciliari ed era latitante da un anno quando gli agenti della Squadra Mobile di Napoli, capeggiati da Giuseppe Palumbo, gli misero le manette con il supporto della narcotici.
Stanato dalla polizia nel suo fortino, tradito dalla più banale delle abitudini, quella di rintanarsi nel circolo del rione De Gasperi per scaricare la tensione giocando ai videopoker.
Quando si vede braccato, ‘o sindaco punta una 357 Magnum contro i poliziotti che con grande sangue freddo sventano il peggio esplodendo una raffica di colpi in aria, dissuadendo così il boss dall’intraprendere qualsiasi scellerata azione che altro non avrebbe fatto che aggravare la sua già fin troppo compromessa posizione.
In quel momento storico il boss Ciro Sarno è la figura camorristica più autorevole radicata a Ponticelli, oltre che il cuore pulsante, la mente, il fulcro dell’economia locale, motivo per il quale il suo possibile arresto veniva recepito anche dai civili come un pericolo da scongiurare ed infatti i residenti in zona, una volta rilevata la presenza dei poliziotti, quando compresero quello che stava accadendo, cercarono di ostruire la cattura del boss lanciando contro le forze dell’ordine piatti, bicchieri, suppellettili varie.
Una folla di donne inviperite si affacciò ai balconi, altre invece si precipitarono in strada per impedire che ‘o sindaco finisse in manette.
Ciononostante, i poliziotti, quella sera, misero fine alla latitanza di Ciro Sarno, arrestandolo nel cuore del suo regno, a pochi metri dall’appartamento dove periodicamente andava a trovare la moglie.
I poliziotti bloccarono prima Giovanni De Falco, il giovane guardaspalle del boss che stava facendo la vedetta fuori dal circolo. Anche lui era in possesso di una potente pistola che gli fu sottratta, poi fu allontanato in silenzio, ma in quegli anni, il rione De Gasperi era un arsenale blindato dalle sentinelle del clan Sarno. Quella manovra abile e discreta non passò comunque inosservata agli occhi delle vedette che immediatamente diedero l’allarme, segnalando la presenza delle “guardie”. In quel frangente, Ciro Sarno si precipitò fuori dal circolo, insieme all’altro guardaspalle che lo accompagnava, Antonio Ippolito, fratello di Patrizia, moglie di suo fratello Vincenzo. Quando imboccò la stradina che costeggia il circolo sperando di dileguarsi, trovò un cordone di poliziotti ad ostruirgli la strada.
Il gesto impulsivo di impugnare l’arma, pur vedendosi ormai in trappola, ben immortala l’istinto di sopravvivenza del camorrista che viveva in Ciro Sarno, fino a quando non ha scelto di collaborare con la giustizia, seguito a ruota dai suoi fratelli.
Quel regno che aveva forgiato a immagine e somiglianza delle sue velleità camorristiche ha scelto di distruggerlo con le sue stesse mani, quando la sua egemonia ha iniziato a vacillare.
Un gesto inaspettato che ha generato un vero e proprio terremoto a Ponticelli dal quale è scaturita una frattura insanabile anche tra i membri della stessa famiglia Sarno, ormai irrimediabilmente divisa in due fazioni: coloro che hanno appoggiato la scelta dell’ex boss assecondandolo anche nella scelta di collaborare con la giustizia, coloro che non hanno mai rinnegato la malavita.
Antonio Ippolito, il guardaspalle di ‘o sindaco, il cognato di Vincenzo Sarno, rientra nella seconda categoria: arrestato nel 2008 all’età di 40 anni dai “falchi” della squadra speciale della questura, perché sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale e sorpreso in via Purgatorio con un pregiudicato ritenuto vicino al clan Sarno, fu condannato all’ergastolo nel 2016, insieme ad Antonio De Luca Bossa, Roberto Schisa e Ciro Confessore. Etichettati come “macellai” dalla magistratura per sottolineare l’efferatezza degli omicidi compiuti quando il regno dei Sarno iniziava a scricchiolare, sotto la temibile minaccia dei primi segnali di cedimento esternati da alcuni affiliati al clan, intenzionati a collaborare.
Antonio Ippolito soprannominato ‘o stuorto è stato un fedelissimo dei Sarno, disposto anche ad incassare l’ergastolo pur di non rinnegare la malavita.
La storia contemporanea colloca invece i suoi eredi in uno scenario inimmaginabile negli anni in cui ‘o stuorto avrebbe dato la vita per i Sarno: suo genero è l’aspirante boss che sta cercando di farsi spazio tra i relitti del cartello camorristico composto dai clan alleati di Napoli est. Il marito della figlia dell’ex boss Vincenzo Sarno attualmente è impegnato a mantenere a galla quello che resta del clan capeggiato dai De Luca Bossa a Ponticelli, gli acerrimi nemici della cosca, un tempo capeggiata da suo zio e alla cui ascesa ha concorso anche suo suocero, a suon di omicidi.
Gli interpreti della camorra moderna seguitano a palesare una condotta che manifesta scelte in netta antitesi con quelle dei loro successori e questo è uno degli aspetti che suscita maggiore clamore, tra i civili e i camorristi, indistintamente.