Aveva cercato di sottrarsi all’ennesimo arresto, ma l’irruzione dei militari poco prima dell’alba di mercoledì 7 dicembre non gli ha lasciato scampo ed è finito nuovamente dietro le sbarre, dopo essere stato scarcerato lo scorso 11 settembre: si sintetizza così l’ultimo atto della carriera camorristica di Domenico Amitrano soprannominato Mimì a puttana, nipote dei fratelli Sarno e ritenuto tra le figure di maggiore spessore dello scenario malavitoso delineatosi di recente sul versante orientale della città di Napoli.
La prima condanna per affiliazione risale agli anni 2001/2002 e Amitrano l’ha incassata in veste di soldato del clan Sarno, fondato e capeggiato dagli zii, mentre a chiarire la sua posizione nell’ambito dello scacchiere camorristico contemporaneo sono i tre collaboratori di giustizia passati dalla parte dello Stato più di recente: Tommaso Schisa, Rosario Rolletta e Antonio Pipolo. I tre collaboratori lo indicano tra le figure apicali del cartello camorristico costituito dai clan alleati di Napoli est.
Una posizione conquistata siglando un accordo con i parenti dell’assassino di suo cugino Luigi Amitrano, il giovane nipote ed autista del boss Vincenzo Sarno che perse la vita nell’attentato con autobomba pianificato da Antonio De Luca Bossa nell’aprile del 1998 per ufficializzare la scissione dai Sarno.
Quella mattina, quando Luigi Amitrano fu fermato da una voltante della polizia mentre era diretto all’ospedale Santobono di Napoli, dove era ricoverata la sua bambina di 4 anni, era proprio in compagnia del cugino Domenico. L’ordigno fu piazzato nel ruotino di scorta dell’auto blindata guidata da Luigi Amitrano mentre era parcheggiata all’esterno dell’ospedale. L’ordigno telecomandato doveva esplodere il giorno seguente, quando il nipote ed autista del boss Vincenzo Sarno lo avrebbe accompagnato al commissariato a firmare, come ogni domenica. Invece, complice il dissesto del manto stradale, l’esplosione avvenne la sera precedente, mentre il giovane Amitrano stava rincasando, al termine di un’intera giornata trascorsa al capezzale della figlia. L’ordigno esplose mentre l’auto transitava lungo via Argine, generando la morte di Luigi Amitrano a pochi chilometri di distanza dal Rione De Gasperi, il fortino del clan Sarno dove viveva anche il giovane nipote dei boss di Ponticelli.
Solo per una fortuita casualità Domenico non ritornò a Ponticelli insieme a suo cugino. Accettò il passaggio di un altro conoscente che si era recato in ospedale per sincerarsi delle condizioni di salute della figlia di Luigi Amitrano e che si offrì di riaccompagnarlo per lasciare a suo cugino la possibilità di trattenersi più a lungo in compagnia della bambina. Solo per questo motivo Domenico Amitrano è sopravvissuto all’attentato ordito da Antonio De Luca Bossa.
A trent’anni di distanza da quello che di fatto fu il primo attentato stragista con autobomba in Campania nel quale perse la vita suo cugino, Domenico Amitrano entra in affari prima con Giuseppe De Luca Bossa e poi con il nipote Umberto, primogenito del boss condannato all’ergastolo in via definitiva per l’omicidio di suo cugino Luigi.
Un’alleanza clamorosa e chiacchierata che nel corso degli anni si è prestata alle ipotesi più disparate. Il giovane neopentito Tommaso Schisa ha infatti rivelato che inizialmente i clan alleati dubitarono della fedeltà di Amitrano decretandone la morte. A minarne la credibilità, in quel frangente, non concorse esclusivamente quel pesante precedente legato alla morte di suo cugino, ma anche la sua precedente affiliazione ai De Micco. Durante gli anni trascorsi in carcere da ex recluta del clan Sarno, infatti, il nome di Domenico Amitrano figurava nell’elenco degli affiliati al clan De Micco che la cosca s’impegnava a mantenere in carcere. L’ordine di uccidere Amitrano fu poi ritirato, quando la sua posizione si fece meno ambigua.
In effetti, le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia trovano riscontro nell’episodio che fece scattare le manette per Amitrano nel 2020: il tentativo di estorsione ai danni del proprietario di una concessionaria di auto di Pollena Trocchia. In quella circostanza fu arrestato insieme a Giuseppe ed Umberto De Luca Bossa per estorsione aggravata dal metodo mafioso.
Le intercettazioni dimostrano che anche durante la detenzione Domenico Amitrano ha continuato a ricoprire un ruolo di rilievo nell’ambito del contesto malavitoso, seguitando anche a dimostrare fedeltà ai clan alleati, poichè la disputa nata tra i vertici del cartello camorristico al quale era affiliato e i gestori delle piazze di spaccio del rione De Gasperi furono sedate solo in seguito al suo intervento. Ancora più emblematico è il suo comportamento quando il figlio Romualdo inizia a gestire autonomamente il business della droga, generando malcontento da parte dei De Luca Bossa. Il padre, ancora una volta, intervenne a favore di questi ultimi, chiedendo al figlio di non pestare i piedi ai suoi alleati, privandoli di una fonte di guadagno cruciale.
Una fedeltà che, dal loro canto, i clan alleati hanno ripagato tentando di gettare in pasto all’ira funesta dei De Micco il figlio di Domenico Amitrano, Romualdo, attribuendo a lui la paternità della bomba esplosa in via Crisconio a marzo del 2021 e quella indirizzata al boss Marco De Micco a settembre dello stesso anno. L’evoluzione delle indagini, invece, pochi dubbi lascia in merito alla responsabilità di colpa dei De Luca Bossa, in particolare, trapela in maniera abbastanza nitida il coinvolgimento di Carmine D’Onofrio, il 23enne figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa. Particolarmente significative le intercettazioni che ricostruiscono i dialoghi avvenuti in casa De Micco, all’indomani del raid, dai quali trapela l’insistente volontà con la quale Romualdo Amitrano chiedeva di incontrare il boss per discolparsi ed assicurarsi che non ci fossero dubbi circa la sua estraneità ai fatti. Fin dalle ore successive al raid, infatti, il boss Marco De Micco aveva avviato la caccia al responsabile con l’annunciato intento di eliminarlo. Motivo per il quale Amitrano junior temeva per la sua incolumità e sentiva il forte bisogno di discolparsi e sedare quei ruomors di popolo montati ad arte proprio per depistare il boss. Un piano che non andò a buon fine, perchè Marco De Micco decretò la morte di Carmine D’Onofrio, non appena entrò in possesso delle prove che lo indicavano come l’esecutore del raid.
Scarcerato insieme a Giuseppe De Luca Bossa lo scorso 11 settembre, Amitrano ha adottato un profilo bassissimo durante la sua breve permanenza a Ponticelli, guardandosi bene dal mostrarsi in giro. Un atteggiamento che sarebbe scaturito dal timore di essere finito nel mirino di entrambi i clan in lotta per il controllo del territorio. L’unico dato certo è che malgrado abbia provato ad evitare di finire nuovamente in carcere dopo appena 78 giorni, quando i militari hanno fatto irruzione nel suo nascondiglio non ha potuto fare altro che consegnarsi alla giustizia.