Una sequenza di eventi tanto imprevedibile quanto efferata quella che ha portato al pentimento di Antonio Pipolo soprannominato Anthony, classe 1994, consegnatosi alla giustizia l’estate scorsa dopo aver compiuto il duplice omicidio del 29enne Carlo Esposito soprannominato “Kallon”, il 29enne affiliato ai De Micco-De Martino, stesso clan d’appartenenza di Pipolo, unico obiettivo dell’agguato e del 55enne Antimo Imperatore, vittima innocente della criminalità, factotum del rione che si trovava in casa di Esposito quando Pipolo è entrato in azione per ucciderlo solo per montare una zanzariera.
Poco dopo aver compiuto il duplice delitto, Pipolo si è presentato in procura per avviare il percorso di collaborazione, consapevole che quella fosse l’unica strada perseguibile per restare in vita.
La ricostruzione dello scenario camorristico fornita da Pipolo parte dal 2020, anno in cui è tornato in libertà dopo sei anni trascorsi in carcere per rapina.
Pipolo, a fronte della sua giovane età è già padre di una bambina, frutta di una relazione avuta in passato con la figlia di Luciano Sarno, deceduto qualche anno fa, dopo aver avviato il percorso di collaborazione, insieme ai fratelli con i quali per circa trent’anni ha dominato la scena camorristica della periferia orientale di Napoli. Motivo per il quale il pentimento di Pipolo ha concorso ad inasprire il di per sé alacre sentimento di odio nutrito nei confronti dei Sarno da parte dei clan tuttora attivi sul territorio, malgrado le sonore condanne inflitte alle figure apicali e scaturite proprio dalle dichiarazioni rese dagli ex boss di Ponticelli.
Il 28enne ha ricostruito il clima di pax armata che ha trovato ad accoglierlo nel dicembre del 2020 e che vedeva le diverse organizzazioni radicate nei rispettivi rioni di pertinenza, complice l’assenza delle figure di spicco del clan De Micco, tutte detenute in quel momento storico. Una pace frutto di un patto tra le famiglie malavitose che convergevano in un unico cartello, dove ognuno controllava una fetta di territorio. C’erano alcune ruggini tra Ciro Ricci e Giovanni Palumbo, legati a Roberto Boccardi, e i De Martino, per motivazioni riconducibili alla gestione delle piazze di droga.
Erano le settimane d’immobilismo in cui fu catapultata la malavita ponticellese dai concitati eventi che si erano alternati nei mesi successivi: l’agguato in cui rimase ferito Rodolfo Cardone, giovane vicino ai De Martino, al quale fece seguito il ferimento del cognato dei Casella, Luigi Aulisio, e infine anche Rosario Rolletta, contiguo ai De Martino, andò incontro ad analoga sorte, riuscendo fortunosamente a mettersi in salvo. Quando quest’ultimo si rese conto che le fazioni avverse avessero stipulato un accordo e il prezzo da pagare per tornare a fare affari insieme era la sua testa, Rolletta decise di pentirsi.
La notizia del suo pentimento concorse ad indurre entrambe le compagini ad adottare un profilo più prudente, almeno fino a quando i De Martino non scoprirono che i Casella-De Luca Bossa avevano fatto il giro di tutte le piazze di spaccio ritirando i soldi anche a nome loro.
Per sventare il pericolo di altre azioni di sangue, si rese necessaria la mediazione dei Mazzarella, storici alleati dei De Micco, che appoggiarono i De Martino per aiutarli a recuperare i soldi. Malgrado Luigi Austero non fosse d’accordo, in quel frangente, il cartello composto dai Casella-Minicini-De Luca Bossa s’impegnò a versare nelle casse degli “XX” la somma che gli avevano sottratto. Un accordo siglato pochi giorni dopo l’omicidio del 29enne Giulio Fiorentino, contiguo al clan De Martino. In un contesto concitato come quello che si respira sul versante camorristico ponticellese, gli equilibri sono destinati a mutare repentinamente ed infatti l’accordo siglato con la mediazione dei Mazzarella fu di fatto rispettato fino all’arresto di Giuseppe Righetto e Nicola Aulisio.
“So che successivamente è stato arrestato Luca La Penna (affiliato al clan De Luca Bossa, ndr) – dichiara Pipolo – mentre si trovava a bordo di una macchina rubata che stava parcheggiando nel Lotto 6 (zona di competenza del clan De Martino, ndr). Pensammo che parcheggiando quell’auto lì volessero organizzare un omicidio nei nostri confronti e che tale omicidio fosse stato organizzato da Luigi Austero, rimasto reggente. Chiamammo Austero, Palumbo gli chiese spiegazioni e lui gli attaccò il telefono in faccia.” Questo lo scenario che diede il via alla “stagione delle bombe”.
La prima bomba fu indirizzata alla Smart di Francesco Clienti detto Tatà, suocero di Giovanni Palumbo ed elemento di spicco del clan. Pochi giorni dopo, invece, si verificò l’azione più eclatante: l’ordigno lanciato dal cavalcavia della strada statale che sovrasta via Esopo, la strada che accoglie il quartier generale dei De Martino. L’onda d’urto generata dall’esplosione fu talmente forte che l’auto degli attentatori andò in panne e i quattro furono costretti a fuggire a piedi.