La nascita dell’alleanza tra le vecchie famiglie d’onore di Napoli est, l’ascesa delle pazzignane e le minacce ai collaboratori di giustizia per indurli a ritrattare, la presenza sul territorio di un clan facente capo a Roberto Boccardi alias Recchiolone, poi confluito tra le fila dei Bodo, in seguito alla scarcerazione di Marco De Micco, il business della compravendita delle case popolari, ma anche le estorsioni alle piazze di spaccio e alle altre attività illecite, retroscena legati a rapine, omicidi, alleanze, mancati agguati, l’appoggio fornito ai latitanti, la strategia utilizzata dai detenuti per comunicare con l’esterno tramite l’utilizzo di telefoni cellulari, ma anche avvalendosi di veri e propri messaggeri del clan che dopo i colloqui in carcere si facevano portavoce di direttive ed indicazioni impartite dalle figure apicali del clan, simbologia e parole in codice utilizzate dagli affiliati: sono solo alcuni degli scenari meticolosamente ricostruiti nell’ordinanza di oltre 1.500 pagine che lo scorso lunedì 28 novembre ha fatto scattare le manette per più di 60 interpreti della malavita dell’area orientale di Napoli.
Determinanti le intercettazioni, ma anche le dichiarazioni rese da ben undici collaboratori di giustizia legati a diversi clan dell’ala est di Napoli. Dialoghi e verbali che delineano un quadro chiaro attribuendo a ciascuno dei soggetti arrestati il ruolo ricoperto all’interno dell’organizzazione. Passaggi significativi dai quali trapelano scenari inimmaginabili.
In primis, il ruolo delle donne, tra le quali spiccano “le pazzignane” Luisa De Stefano, Vincenza Maione e Gabriella Onesto che da temprate “mamme camorra” impartiscono direttive e linee guida alle giovani leve, senza scrupoli e con sfrontato cinismo, anche quanto si tratta di commissionare omicidi e perfino di colpire il loro stesso sangue. Tra i dialoghi avvenuti all’interno dell’abitazione della matrona del clan Luisa De Stefano s’intravede lo scenario che ha introdotto la stagione della “vendetta contro i parenti dei Sarno”, nell’ambito di una conversazione in cui si pianifica l’omicidio di Domenico Amitrano, cugino di Luigi, vittima dell’attentato di via Argine ordito da Tonino ‘o sicco per annunciare la scissione dai Sarno. Proprio per questo motivo la sua alleanza con le vecchie famiglie d’onore di Napoli est è stata fortemente criticata negli ambienti camorristici ed è stata perennemente affiancata proprio dall’ipotesi di un possibile attentato indirizzato alla sua persona o viceversa. Forte è il sentore che l’ordine di uccidere Mario Volpicelli e Giovanni Sarno, rispettivamente cognato e fratello degli ex boss di Ponticelli poi passati dalla parte dello Stato, sia stato impartito proprio tra le mura di casa De Stefano. Due delitti eccellenti che si incastonano in un vortice di sangue innescato dal livore di vendetta alimentato proprio dal desiderio di “punire” gli infami. Del resto, in più di una circostanza trapela l’odio covato dai membri dell’alleanza verso i fratelli Sarno, oggi collaboratori di giustizia. Michele Minichini arriva ad affermare che “se i Sarno non si fossero pentiti, suo fratello Antonio sarebbe ancora vivo“. Un meccanismo violento che si ritorce contro le “pazzignane” quando Tommaso Schisa, il figlio di Luisa De Stefano decide di emulare le gesta degli odiati Sarno diventando a sua volta un collaboratore di giustizia. Un evento inaspettato che andava fermato in tutti i modi, così come comprovano le minacce indirizzate ad Elisabetta Esposito ex compagna di Tommaso Schisa, nonchè figlia del boss di Marigliano Luigi Esposito detto lo “sciamarro”. Elisabetta Esposito era accusata dalle “pazzignane” di essere la responsabile del pentimento del giovane Schisa e pertanto si accanirono su di lei e sul suo nuovo compagno Francesco Cristofaro, a sua volta oggetto di minacce inquietanti, tra le più eclatanti il pestaggio in strada a Marigliano e il tentativo di rapimento di suo figlio. A riprova del momento da incubo vissuto dalle “mamme camorra” di Ponticelli vi è la confessione di Gabriella Onesto alla sua servile collaboratrice: gli era apparso in sogno suo fratello Antonio, ucciso in un agguato camorristico dai Mazzarella. La Onesto percepisce quell’apparizione come una premonizione che non annuncia eventi positivi.
I concitati dialoghi che si alternano nei giorni in cui “le pazzignane” apprendono che Tommaso sia stabilmente detenuto nelle celle di sicurezza – chiaro segnale dell’incipit della sua collaborazione – lasciano intravedere il crudo ed anaffettivo cinismo delle donne di casa De Stefano: “ti meriti di finire in un pilastro di cemento”, “Non ti preoccupare, ci vediamo tutti domani mattina e ti ammazziamo”, queste alcune delle frasi indirizzati alla ex di Tommaso Schisa e al suo nuovo compagno, unitamente al messaggio recapitato agli affiliati in carcere di picchiare Tommaso, laddove lo avessero intercettato.
“All’inizio del bordello Tommaso ha fatto un patto con Michele, disse ‘se io mi butto pentito tu uccidi Rosa (sorella di Tommaso Schisa), se tu ti butti pentito io uccido Martina (sorella di Michele Minichini)”. Questo il retroscena inquietante che induce Rosa, la sorella di Tommaso Schisa, prima a rifugiarsi in Germania, insieme al suo fidanzato e alla loro bambina, nata da poche settimane, e poi ad accettare di entrare nel programma di protezione riservato ai parenti dei collaboratori. Alla giovanissima neomamma voltano le spalle tutti i parenti, finanche sua madre Luisa, rea di aver “incoraggiato” suo fratello a proseguire il percorso di collaborazione accettando a sua volta di vivere lontano da Ponticelli e sotto protezione. Quanto sia importante per le sorelle De Stefano marcare il territorio e ancor più vedere sbandierare la bandiera del loro clan sul Rione De Gasperi, quello stesso rione che un tempo fu il fortino degli odiati Sarno, lo spiega bene una delle frasi pronunciate da Luisa De Stefano, ignara di essere intercettata: “Questo è il rione mio!”
Motivo per il quale, i reduci del clan delle “Pazzignane” resta arroccato nelle loro case per preservare quella forma di predominio faticosamente conquistata, riservandosi di andare incontro a veri e propri periodi di resilienza vivendo da segregate in casa per sottrarsi al pericolo di ritorsioni ed agguati.
Quando la notizia del pentimento del rampollo del clan delle “Pazzignane” si era ormai ampiamente diffusa, Vincenza Maione e Gabriella Onesto con la complicità, tra le altre, anche delle parenti estranee agli affari del clan di famiglia, Vincenza De Stefano e Fortuna Ercolano, rispettivamente zia e cugina di Tommaso Schisa, si recano nell’appartamento in cui Elisabetta Esposto viveva a Marigliano per cacciarla di casa, in quanto non più degna di occuparla perchè quell’abitazione era di proprietà degli Schisa. Le donne prelevano alcuni televisori e soprattutto compiono un’azione dimostrativa eloquente: tagliano i cavi stendibiancheria per palesare agli abitanti del rione che quella casa non è più occupata. Di contro, la casa di Tommaso Schisa nel Rione De Gasperi viene vandalizzata dai cugini, i figli di Antonella De Stefano, sorella di sua madre. Particolarmente indicativo, in quest’ultimo episodio, il coinvolgimento dei “pupilli” di Tommaso. Il fatto che quell’azione dimostrativa sia stata compiuta, in particolare da Alessandro, il cugino prediletto del neopentito, assume un duplice significato: un umiliazione plateale inflitta da un membro della famiglia al quale, per giunta, tiene particolarmente e che così prende le distanze dalla sua decisione in modo vistoso, anche con l’intento di sventare possibili vendette trasversali.
Una camorra che parla anche attraverso azioni simboliche, quindi, così come trapela da un altro dettaglio ben preciso: Francesco Audino, alias ‘o cinese, indicato tra le figure apicali del clan, abita nell’alloggio popolare che un tempo fu del boss Marco de Micco.
Di caratura analoga l’episodio che vede protagonista Alessio Bossis, all’indomani dell’arresto del suo mentore Alfredo Minichini: Bossis, insieme al suo fedelissimo Ciro Postiglione, sfilò tra le strade del quartiere a bordo del Transalp di Alfredo Minichini, ben nota negli ambienti malavitosi con il chiaro intento di annunciare “il passaggio del testimone”. “Stavo tutto a Sibillo”, dichiara Ciro Postiglione parlando al telefono con un amico, lasciando intravedere il delirante senso di esaltazione che animava le gesta dei due giovanissimi, intenzionati ad emulare il boss della “paranza dei bambini di Forcella” Emanuele Sibillo, morto in un agguato camorristico all’età di 20 anni nell’estate del 2015. Nei paragrafi dedicati a due tra gli interpreti più giovani della malavita ponticellese, spicca l’atteggiamento in antitesi delle due madri: da un lato la madre di Postiglione che arriva a minacciare il figlio, annunciando la sua volontà di denunciarlo, se dovesse continuare a delinquere, dall’altro la madre di Bossis che si prodiga a nascondere i seimila euro che il figlio le consegna, spiegandole che serviranno per il suo mantenimento in carcere, occultandoli in un pigiama rosa. Inoltre, la madre di Bossis incontra personalmente le figure apicali del clan, Francesco Audino prima e Gabriella Onesto poi, per farsi consegnare il denaro versato dal clan per il mantenimento del figlio in carcere, contribuendo materialmente, quindi, a consolidare lo status di affiliato del figlio 19enne.
Tra le azioni che assumono una forte carica simbolica spiccano i baci a stampo con i quali si salutano i membri del gruppo facente prima capo a Boccardi e poi confluiti sotto le direttive di Marco De Micco. Un rituale mafioso che simboleggia “il legame eterno tra i membri della famiglia” e che assume particolare rilevanza, perchè avviene in presenza di diversi avventori all’interno del “Bar Royal” ubicato nel Rione Incis, quartier generale del clan De Martino.
“I cattivi”: questa la parola utilizzata per indicare la presenza delle forze dell’ordine; “lancio di noci” per le stese; “stavamo tutti neri” ovvero “eravamo armati”. Sono solo alcune delle frasi in codice contenute nel vocabolario della camorra.
L’inchiesta rivela che “le pazzignane” erano anche coinvolte nel business dei finti matrimoni. Finanche Vincenza Maione e Gabriella Onesto avevano contratto matrimonio con due extracomunitari al fine di regolarizzare la loro presenza in Italia in cambio di soldi.
Le cruente pratiche legate alla compravendita delle case popolari, ma anche la gestione del business delle imprese di pulizie, le controversie legate al controllo delle piazze di droga, i rapporti tesi e conflittuali tra i due rampolli di casa De Luca Bossa, Umberto ed Emmanuel che vede nitidamente prevalere il livore di denaro sull’affetto fraterno, le difficoltà patite dai detenuti in carcere e le tensioni sorte tra loro che inevitabilmente si sono ripercosse sulle dinamiche esterne, l’eterna faida con i De Micco sul versante ponticellese e con i Mazzarella per il controllo della zona di Piazza Mercato, in particolare, le estorsioni indirizzate a due soggetti notoriamente invischiati nel business del contrabbando del gasolio, oltre ai gestori delle macchinette, ovvero i videopoker (business, quest’ultimo, introdotto ed avviato dai De Micco), ma anche quelle estese ad una prostituta che in passato aveva avuto una relazione con un affiliato al clan De Luca Bossa, oltre che a soggetti dediti ad attività illeciti, arrivando a taglieggiare anche persone dedite ad attività che in passato non erano mai finite nel mirino della camorra, come trapela dalla vicenda del barbiere “Lello Afrodisiaco Orsini” che esercita la professione in un negozio nel Lotto O, ma anche a domicilio.
Sono solo alcuni dei retroscena che emergono dall’inchiesta che ha tradotto in carcere diverse figure di spicco della malavita locale.