Lea Garofalo nasce in provincia di Crotone, il 24 aprile 1974. Ad appena nove mesi rimane orfana del padre, un omicidio che segna anche la sua vita.
Lea cresce in una famiglia ‘ndranghetista, in cui la nonna le insegna che “il sangue si lava con il sangue”, e dove a nove anni il fratello le dice di togliere la pistola da sotto il cuscino, perché sarebbero arrivati da lì a poco i carabinieri per una perquisizione.
Si innamora appena tredicenne di Carlo Cosco, più grande di lei di quattro anni, e quando ne ha la possibilità decide di seguirlo a Milano, dove l’ambiente che trova non è molto diverso da quello che si è lasciata alle spalle, poiché Carlo gestisce insieme ai fratelli e per conto della famiglia Garofalo il traffico di droga della zona di via Paolo Sarpi. A diciassette anni Lea rimane incinta e nel 1991 nasce Denise, che cresce nello stabile di via Montello di proprietà dell’associazione ‘Cà Granda, dove i Cosco tra le altre attività subaffittano anche illegalmente a immigrati regolari.
Carlo viene arrestato nel 1996, nel corso dell’operazione “Storia infinita”. Lea, durante una visita al compagno in carcere, gli comunica l’intenzione di andarsene da casa e Carlo la aggredisce con una violenza tale che devono intervenire le guardie penitenziarie.
Lea e Denise si trasferiscono a Bergamo e per i primi tempi sembra andare tutto bene. Nel 2002 però la loro macchina viene bruciata: è un avvertimento del fratello Floriano. Lea decide di tornare a Petilia Policastro, ma a luglio viene aggredita sempre dal fratello che non accetta la sua scelta. Decide quindi di rivolgersi ai carabinieri, diventando una testimone di giustizia.
In particolare, interrogata dal Pubblico ministero Antimafia Salvatore Dolce, riferì dell’attività di spaccio di stupefacenti condotta dai fratelli Cosco grazie. Inoltre, Lea dichiara al Pubblico ministero «L’ha ucciso Giuseppe Cosco (detto Totonno U lupu), mio cognato, nel cortile nostro», attribuendo così la colpa dell’omicidio di suo fratello Floriano al cognato, Giuseppe, detto Smith (dal nome della serie tv “La famiglia Smith”) e all’ex convivente, Carlo Cosco, e fornendo anche il movente. Floriano viene punito per le scelte della sorella; nello stesso periodo Carlo esce di prigione e cerca immediatamente, senza successo, di conoscere l’indirizzo di Lea tramite un cugino che presta servizio nell’arma dei Carabinieri. Secondo i magistrati, con la morte del fratello Lea non sarebbe più in pericolo e per questo motivo fanno uscire lei e Denise dal programma di protezione testimoni. Lea non si arrende e si rivolge a Don Luigi Ciotti, che incontra nel corso di una conferenza di Libera, il quale la mette in contatto con l’avvocata Enza Rando.
Ammessa già nel 2002 nel programma di protezione insieme alla figlia Denise e trasferita a Campobasso, si vede estromessa dal programma nel 2006 perché l’apporto dato non era stato significativo in quanto ritenuta collaboratrice non attendibile. La donna si rivolge allora prima al TAR, che le dà torto, e poi al Consiglio di Stato, che le dà ragione. Nel dicembre del 2007 viene riammessa al programma (sempre come collaboratrice di giustizia e mai come testimone), ma nell’aprile del 2009 – pochi mesi prima della sua scomparsa – decide all’improvviso di rinunciare volontariamente a ogni tutela e di riallacciare i rapporti con Petilia Policastro rimanendo però a vivere nel capoluogo molisano per permettere alla figlia di terminare l’anno scolastico.
Madre e figlia rientrano nel programma di protezione testimoni, per uscirne quattro anni dopo. È un periodo particolarmente difficile per Lea, perché sente di aver fatto molti sacrifici per sette anni, senza aver ottenuto alcun risultato. Rimasta senza disponibilità economiche, decide di tornare in Calabria, non prima però di aver contattato la sorella per chiederle che sia garantita sicurezza da parte di Carlo sia per lei sia per Denise. Carlo acconsente e, per evitare di far perdere a Denise un altro anno scolastico, presta loro un appartamento a Campobasso, dove il 5 maggio 2009 avviene un tentativo di rapimento: Carlo chiama un tecnico perché si è rotta la lavatrice, ma in realtà si tratta di Massimo Sabotino. Lea si insospettisce e viene aggredita, ma la presenza in casa quella mattina di Denise la salva. Dalle intercettazioni ambientali in carcere si scoprirà che a Massimo Sabotino erano stati promessi venticinquemila euro per il rapimento e che era già pronto un furgone con i fusti di acido.
Dopo qualche mese Lea, che nel frattempo si trova a Firenze per testimoniare a un processo, chiama Carlo per chiedergli di contribuire al mantenimento della figlia. Lui le propone di salire a Milano, così Denise potrà anche salutare i parenti mentre loro discuteranno del futuro della figlia. L’avvocata Enza Rando sconsiglia a Lea di raggiungere il compagno, ma lei decide di fidarsi. Per i primi due giorni sembra che i vecchi rancori siano passati, ma la sera del 24 novembre 2009, il giorno prima della partenza delle due donne, Carlo accompagna Denise a far visita a cugini e zii, dicendo che così può restar solo a parlare con Lea. In realtà Carlo la fa salire con una scusa in un appartamento in Corso Sempione, dove la picchia e infine la strangola. Sotto lo aspettano Vito Cosco e Carmine Venturino, che hanno il compito di occuparsi del corpo di Lea. Dopo essersi cambiato, Carlo torna a prendere Denise, e quando lei gli chiede dove sia la madre, le risponde che gli ha chiesto dei soldi e se n’è andata, abbandonandola. Denise non crede alle parole del padre e, dopo averla cercata nei posti in cui era stata con lei nel pomeriggio, decide di andare dai Carabinieri, dove l’atteggiamento sbrigativo del padre e la disperazione della figlia vengono subito notati e portano a un’immediata apertura delle indagini. I Carabinieri chiedono a Denise di continuare a stare con il padre, fingendo di credere alla sua versione, in modo da poter raccogliere più prove possibili. Denise nei mesi successivi conosce Carmine Venturino –mandato dal padre per tenerla d’occhio – che diventa il suo fidanzato.
Nel frattempo le indagini proseguono e nel 2010 Carlo Cosco e i suoi fratelli vengono arrestati; il 6 luglio del 2011 inizia il processo, ma la scadenza il 28 luglio 2012 dei termini della custodia cautelare impone tempi ristretti. Alcuni ragazzi, ma soprattutto ragazze, dell’associazione Libera – associazioni, nomi e numeri contro le mafie – venuti a conoscenza del processo in cui una loro coetanea dovrà testimoniare contro la sua famiglia, decidono di partecipare alle udienze per sostenere Denise, che altrimenti rimarrebbe sola. Inoltre, grazie a un manifesto affisso fuori dal tribunale, riescono ad attirare l’attenzione del Presidente del tribunale, Livia Pomodoro, sulla data di scarcerazione: il cambio del Presidente della Corte significherebbe ricominciare il processo.
Queste azioni permettono la conclusione del processo con la condanna di sei imputati: Cosco Carlo, Cosco Giuseppe, Cosco Vito, Curcio Rosario, Sabatino Massimo, Carmine Venturino vengono condannati all’ergastolo nella sentenza di primo grado; la svolta arriva nell’estate del 2012, quando Carmine Venturino confessa ai magistrati la verità sull’omicidio di Lea. Il 9 aprile 2013 si apre il secondo grado di giudizio, durante il quale Carlo Cosco ammette l’omicidio di Lea, attribuendosi la colpa per salvare i suoi complici e per dimostrare il proprio “onore”. Ma l’avvenimento più sconvolgente è ciò che rivela Carmine Venturino durante la sua deposizione, in cui decide di far sapere a Denise come sono realmente avvenuti i fatti. Venturino racconta come era ridotto il corpo di Lea nell’appartamento di Corso Sempione, come abbiano trasportato il corpo fino al terreno di San Fruttuoso, come abbiano distrutto il cadavere, di cui sono rimasti pochi resti. Il processo si conclude con l’ergastolo per quattro degli imputati e venticinque anni di carcere per Carmine Venturino. Da allora Denise vive sotto protezione e nel più completo anonimato.
Lea Garofalo per lo Stato non è una vittima di mafia, perché per “problemi burocratici” non è stato applicato durante il processo l’aggravante di associazione a delinquere di stampo mafioso.
Fonti_ wikipedia; enciclopedia delle donne