L’assassinio del 22enne Alessio Bossis, l’ultimo bersaglio dell’eterna faida di Ponticelli, ha scosso notevolmente i ragazzi del quartiere, soprattutto per la ferocia dell’esecuzione, per la sua giovane età, ma anche per le circostanze in cui è maturata. Bossis è stato infatti raggiunto da una raffica di proiettili mentre si trovava nel parcheggio di un’area ristoro a Volla, suo comune di residenza.
Il commando che ha eseguito ed orchestrato una vera e propria azione militare, studiata nei minimi dettagli, lo ha colto alla sprovvista, seppure nei rioni in balia della camorra di Ponticelli, l’omicidio di Bossis viene etichettato come “la cronaca di una morte annunciata”.
Ucciso a 22 anni in un agguato di chiaro stampo camorristico, seppure fosse nato in una famiglia benestante e lontana dal cliché dei rioni di edilizia popolari fatiscenti e dominati dalla malavita: Alessio Bossis era figlio di un facoltoso imprenditore e vantava un passato da mancata star del calcio alle spalle. Le sue doti calcistiche, infatti, lo avevano condotto ad un passo dalla firma con un prestigioso club del nord, ma il mancato accordo tra le parti fece sfumare quel sogno. Di lì a poco, Bossis archivia pallone e scarpette e debutta tra le fila della malavita ponticellese, al soldo del clan De Luca Bossa. Riesce subito ad attirare l’attenzione delle forze dell’ordine, rendendosi autore di una serie di “stese” e non solo. Seguita a collezionare episodi che confermano una disinvolta predisposizione alla malavita che ben presto lo porta a finire in carcere, poco più che maggiorenne.
All’indomani di una rissa in discoteca, tra “la sua paranza” e quella dei Mariano dei Quartieri Spagnoli, Bossis e i suoi vanno a mettere la firma su una “stesa” nei pressi di Piazza Trieste e Trento, nella zona di competenza della cosca dei rivali. Prima di compiere quel raid, però, si rifocillano in uno dei tanti locali presenti in zona e anzichè pagare il conto, aggrediscono il proprietario davanti alla moglie e alla figlia, una bambina di pochi anni.
Gli anni trascorsi in carcere non hanno scalfito le velleità di Bossis che negli ultimi tempi era riuscito a guadagnare rapidamente un ruolo di primo ordine sullo scacchiere dei De Luca Bossa, malgrado fosse sottoposto al divieto di allontanarsi dal suo comune di residenza.
Il gruppo di Bossis, o meglio, “dei Bossis”, così ribattezzato nel Rione De Gasperi, si era per l’appunto insediato nell’ex fortino dei Sarno, per conto dei De Luca Bossa che attualmente annovera una serie di clan satelliti sui quali punta per scalzare la forza egemone dei De Micco-De Martino. Non a caso, Bossis fu sorpreso proprio nel rione De Gasperi dagli agenti del commissariato di Ponticelli e per lui si riaprirono nuovamente le porte del carcere per aver non aver rispettato l’ordine restrittivo al quale era sottoposto. Tuttavia, fu scarcerato nel giro di poche ore, perché il suo avvocato riuscì a dimostrare che si stesse recando all’ospedale del mare per sottoporsi ad una visita medica.
Secondo quanto testimoniano gli abitanti dell’ex fortino del clan Sarno, nel rione era il 22enne a battere cassa: il business dello spaccio, le mesate ai detenuti, era tutto nelle sue mani, perfino le richieste estorsive. Così come comprova “il cavallo di ritorno” propinato ad uno dei “vecchi uomini d’onore” del rione, in seguito al furto della sua auto. Un’azione dimostrativa a tutti gli effetti voluta per sedare il potenziale malcontento di quel focolaio di camorristi che aveva osato contestare la forza egemone dei De Micco, in un passato recente che sembra lontano anni luce, ormai.
Una condotta sfrontata e sopra le righe che suscitava malcontento e che lo sovraesponeva al pericolo di un agguato. Bossis ha erroneamente pensato di poter beneficiare di una sorta di immunità da parte dei De Micco per due ragioni ben precise. La prima va ricercata proprio nel fatto che non abitasse a Ponticelli e pertanto supponeva che difficilmente i rivali si sarebbero spinti nel limitrofo comune di Volla per mettere a segno un punto nell’ambito della faida in corso, privilegiando quindi potenziali bersagli relegati nel quartiere. Ragion per cui ha ipotizzato che gli bastasse adottare una condotta prudente quando si recava a Ponticelli per mettersi al riparo dal fuoco nemico. Forte del vincolo di parentela che lo legava indirettamente ai De Micco, in quanto cugino della moglie di Salvatore De Micco, Bossis non immaginava di essere il prossimo obiettivo dei killer del clan rivale.
Nonostante l’insistenza con la quale nei giorni successivi all’assassinio di Bossis circolassero voci che lo volevano a capo di un clan distinto e distante dai De Luca Bossa, in primis a rafforzare questa tesi ha concorso proprio il fatto che il suo gruppo si muovesse autonomamente nel Rione De Gasperi, tuttavia di recente sono emersi numerosi dettagli che disegnano un assetto camorristico ben diverso. Bossis aveva sicuramente intorno a sé un gruppo di giovanissimi, originari di Volla, suo stesso comune di provenienza e a lui molto legati, finanche affascinati dal suo modo di condurre gli affari illeciti e con i quali stava accarezzando l’idea di fondare un clan autonomo, ma per il momento erano parte attiva ed integrante del clan De Luca Bossa. Una delle tante ramificazioni della cosca del Lotto O nel quartiere. La più vistosa, ma non di certo la più autorevole.
L’alleanza tra i De Luca Bossa e i reduci del clan D’Amico del Rione Conocal non è confermata solo dal “patto di sangue” tra gli eredi delle due famiglie che hanno messo al mondo già due figli, ma anche dai messaggi che si susseguono sui social network.
Diversi membri della famiglia Aprea, storico clan di Barra radicatosi nel rione Conocal contestualmente al ritorno in auge dei De Luca Bossa nel 2018, hanno pubblicato sui social una serie di video commemorativi dedicati a Bossis. Un segnale che comprova il forte legame che intercorreva tra quest’ultimo e i giovani che costituiscono lo zoccolo duro del focolaio camorristico che sopravvive tra i relitti di quello che un tempo fu “il regno” del clan “fraulella”.
Eloquente è il botta e risposta registrato tra i commenti di uno dei tanti video dedicati a Bossis.
“Avanti il prossimo”, scrive in maniera provocatoria un utente senza nome, “mi raccomando venite con i carro armati da me”, replica Aprea junior, alias il figlio minore di Gennaro Aprea soprannominato “‘o nonno”, reggente del clan, attualmente detenuto.
A sbugiardare l’ipotesi della scissione dai De Luca Bossa concorre anche un altro messaggio che appare in coda allo stesso video.
“Bossiiiii chi ha sbagliato paga te lo prometto”, scrive un account riconducibile ai De Luca Bossa. E non è l’unico messaggio che la cosca del Lotto O ha indirizzato ai responsabili dell’agguato servendosi, ancora una volta, di TikTok.
“Piano piano li tolgo tutti”, si legge nel video pubblicato su un altro profilo riconducibile ai De Luca Bossa, due giorni dopo l’omicidio di Bossis, e che ritrae la sagoma di una persona intenta a sradicare i tanti chiodi che gli trafiggono la schiena. Concetto in piena sintonia con quelli esternati dagli amici di Bossis che costituivano lo zoccolo duro del suo clan-satellite. Particolarmente eloquente il video pubblicato da uno dei due ragazzi che ha accompagnato il 22enne all’appuntamento con la morte in cui aveva riportato le ultime parole che Bossis gli aveva rivolto, invocando di vendicarlo. Il video fu poi rimosso pochi minuti dopo la pubblicazione.
Una vendetta che la cosca del Lotto O potrebbe aver già cercato di portare a compimento pochi giorni dopo l’omicidio di Bossis, mettendo la firma sul raid avvenuto nella zona di competenza del clan De Martino.
Del resto, la faida in corso a Ponticelli è contraddistinta anche dai tanti “colpi virtuali” che i clan in guerra si scambiano a suon di video pubblicati sui social network per schernire i rivali o per annunciare la prossima mossa.