Un fiocco nero, simbolo di lutto, riposto tra mani semiaperte: queste l’immagine che Don Benedetto Toglia, sacerdote originario di Ponticelli, ha utilizzato sui social network per annunciare la morte del 22enne Alessio Bossis, il giovane raggiunto da sette proiettili di calibro nove nel parcheggio dell’area ristoro “In piazza” in via Monteoliveto a Volla, comune al confine con Ponticelli, nel tardo pomeriggio di lunedì 24 ottobre.
Una morte che ha colpito particolarmente il sacerdote, da sempre pronto a spendere parole di condanna e preghiera, al cospetto dell’assassinio di giovani ragazzi, ma che in questo caso si trova a vivere il lutto in prima persona: Don Benedetto è lo zio di Alessio Bossis.
Stimato e benvoluto da tantissimi ponticellesi, Don Benedetto ha sempre mantenuto un rapporto speciale con gli abitanti del suo quartiere d’origine, malgrado da anni si sia trasferito a Roma. Nel tempo ha saputo distinguersi per il sostegno e la vicinanza che non ha mai fatto mancare ai fedeli che invocavano il suo conforto, anche a centinaia di chilometri di distanza.
Il giovane sacerdote abituato a dispensare parole consolatrici, utili ad alleviare le sofferenze che franano nelle vite dei suoi fedeli, adesso è costretto a confrontarsi con un dolore straziante per tutti, anche per chi ha scelto di mettere la propria vita al servizio degli altri, come ha fatto lui.
Alessio Bossis non è un ragazzo cresciuto nei contesti desolati e degradati dei rioni di periferia, non è un “predestinato”, condannato a delinquere dal cognome della famiglia d’appartenenza, ma un giovane che ha scelto di affiliarsi per ben altre motivazioni. Figlio di un facoltoso imprenditore, proveniente da una famiglia estranea alle dinamiche camorristiche, così come comprova lo status di sacerdote dello zio materno che lo ha cresciuto come un figlio.
Ci hanno provato in tutti i modi i familiari a tenerlo lontano dalle insidie e dai pericoli della malavita, a breve il giudice avrebbe dovuto pronunciarsi in merito all’affidamento al lavoro, annullando il divieto di allontanarsi dal comune di residenza per consentirgli di seguire le orme del padre, permettendogli di iniziare a lavorare nell’azienda di famiglia. Un auspicio stroncato dalle feroci logiche della camorra che ha gettato la famiglia Bossis nello sconforto più totale.
La morte di Alessio impone riflessioni più critiche e profonde, perchè insegna che la camorra non fa gola solo ai giovani a caccia di soldi facili, ma anche a quelli che non hanno di questi problemi e che ciononostante vedono in quello stile di vita il modello al quale ispirarsi.
La carriera camorristica di Alessio è iniziata prestissimo, quando era poco più che un ragazzino e trascorreva i suoi giorni disseminare spari tra le strade di Ponticelli, coltivando il sogno di fondare un clan tutto suo. Una vita irriverente, vissuta sopra le righe e a suon di atti di scellerata violenza. Tantissimi gli episodi tutt’altro che edificanti emersi nelle ore successive al suo omicidio. Anche per stoppare la macchina del fango e richiamare i civili al buon senso nel commentare la morte violenta di un ragazzo di appena 22 anni, suo zio, senza svestirsi dell’abito sacerdotale, ha dato libero sfogo al suo dolore con la saggia compostezza di cui solo un prelato può essere capace:
“Questo è il tempo del silenzio non del giudizio,
Questo è il tempo della preghiera non dell’odio,
Questo è il tempo di chiedersi dove stiamo andando
Perdiamo ore a guardare il nostro smartphone senza accorgerci di chi ci siede accanto,
Parliamo con persone che sono dall’altra parte del mondo e non rivolgiamo parola al nostro vicino
Oggi i nostri giovani, credono di poter disporre anche della altrui vita ma la colpa è di chi gli ha insegnato solo bisogni e non valori.
A tutti chiedo una preghiera per mio nipote Alessio, la sua vita è finita questa sera per una mano folle,
Alessio avrà per sempre 22 anni”.
Queste le parole di cui si è servito sui social il sacerdote per esternare il dolore scaturito dalla morte violenta del nipote.
Non avrebbe mai voluto misurarsi con una prova così dura, Don Benedetto. Malgrado in passato abbia più volte parlato ai cuori della comunità ponticellese, all’indomani della morte di giovani uccisi dalla camorra, l’assassinio del nipote lo ha colto impreparato.
Esattamente un anno fa, quando fu assassinato Carmine D’Onofrio, un altro giovane che il sacerdote conosceva bene perchè abitava a San Rocco, nello stesso rione dove vive anche la sua famiglia, don Benedetto non aveva risparmiato parole di dura condanna per chi arma le mani dei giovani per uccidere altri giovani e aveva scritto un lungo e toccante post mosso dall’auspicio che le sue parole arrivassero al cuore dei ragazzi del quartiere, fin troppo soggiogati dalle logiche malavitose. Quei ragazzi che, proprio come suo nipote, si addentrano nelle logiche criminali per appagare dei bisogni, tralasciando i valori.