Il cantante trapper neomelodico Niko Pandetta continua a far parlare di sé. Arrestato nei giorni scorsi nel quartiere milanese di Quarto Oggiaro, scovato dai poliziotti della Squadra Mobile del capoluogo lombardo in un b&b dove si era rifugiato, dopo aver reso noto in un video pubblicato su social network che la condanna a quattro anni di reclusione era diventata definitiva. Ciononostante, Pandetta ha fatto in modo che non calasse il sipario sulla sua carriera artistica, tant’è vero che nelle ore successive all’arresto è uscito il suo nuovo album dal titolo “Ricorso inammissibile” che allude in maniera esplicita proprio alla vicenda giudiziaria che lo ha rispedito in carcere.
Classe 1991, Vincenzo Pandetta in arte Niko ha iniziato a collezionare guai con la giustizia quando non aveva ancora neanche raggiunto la maggiore età, riuscendo poi ad affermarsi nel panorama musicale neomelodico soprattutto grazie ad un brano dedicato allo zio Salvatore Cappello, boss di primo ordine della mafia catanese detenuto al 41 bis.
Ad onor del vero, Pandetta balza agli onori della cronaca per la prima volta proprio per la canzone-tributo dedicata allo zio boss ergastolano.
La storia criminale di Salvatore Cappello, figlio di fiorai, comincia con un colpo messo a segno da giovanissimo, quando strappa un crocefisso d’oro dal collo dall’arcivescovo di Trapani, dopo aver simulato di essere stato investito dall’auto sulla quale viaggiava il prelato. Tanto gli bastò per imporsi come un giovane “capace” agli occhi dei boss catanesi.
Cappello, all’età di 35 anni, viene arrestato a Napoli l’8 febbraio del 1992, dove si trovava per incontrare don Carmine Alfieri, detto anche “o’ ntufato” (l’arrabbiato), boss di Piazzolla di Nola, capo indiscusso della Nuova Famiglia, il sodalizio criminale insorto per osteggiare la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. Latitante da tre anni, fu bloccato alla guida di una Citroen ZX a San Giovanni a Teduccio, alla periferia di Napoli. In auto, al suo fianco, c’era la sua donna, la napoletana Maria Rosaria Campagna, quella che secondo le cronache di allora, aveva conosciuto su un autobus durante una delle trasferte all’ombra del Vesuvio.
Nella città partenopea, Cappello doveva trattare grossi affari, forse l’acquisto di partite di armi come il carico di mitra Uzi spedite proprio da Alfieri in Sicilia e bloccato dai carabinieri agli imbarcaderi di Villa San Giovanni.
Di Maria Rosaria Campagna, la donna del boss, si torna a parlare tredici anni più tardi, nel luglio del 2005. La Campagna fu bloccata dai poliziotti della Mobile di Catania, appena sbarcata nel capoluogo etneo dal traghetto proveniente da Napoli. Per gli investigatori la donna teneva vivi i rapporti tra il capomafia al 41 bis nel carcere di Viterbo e gli esponenti della cosca.
Maria Rosaria Campagna, la moglie di zio Turi, è stata arrestata nel 2017, nell’ambito dell’operazione “Penelope” che ha decapitato la cosca Cappello-Bonaccorsi. La donna, ancora una volta, è risulta essere l’anello di congiunzione tra il boss Turi Cappello, il suo storico compagno da oltre 20 anni al 41 bis, e i vertici operativi a Catania. Dalla sua cella, “zio Turi”, continuava a ricoprire il ruolo di capo indiscusso della cosca grazie all’ausilio fedele compagna.
Secondo gli investigatori della squadra mobile di Catania, era la donna del boss che da Napoli, dove è titolare di una pizzeria, in via Alessandro Volta, a due passi da San Giovanni a Teduccio, dettava di persona gli ordini del suo uomo ai referenti catanesi della famiglia. La pizzeria ed altri beni intestati alla moglie e al figlio del boss Salvatore Cappello sono stati confiscati di recente.
L’arresto della moglie di “zio Turi” matura nel momento in cui la carriera artistica di Niko Pandetta va incontro ad una rapida ascesa nelle vesti di cantante neomelodico. Proprio accanto ad un altro noto artista napoletano, Anthony Ilardo, Pandetta consolida la sua presenza all’ombra del Vesuvio, così come comprova un video diventato subito virale che li ritrae comodamente seduti su un divano, propongono una serie di hit che inneggiano alla latitanza, all’omertà e alla malavita, oltre al “brano-tormentone” contro i collaboratori di giustizia.
Il suo primo disco, intitolato “E’ guagliuncelle” Anthony Ilardo l’ha inciso ad appena 12 anni, prodotto e distribuito dalla G.S. di Catania; cittadina d’origine di Salvatore Cappello e Niko Pandetta, allora si chiamava “Piccolo Anthony”. Alcuni suoi brani sono diventati dei cult fungendo da colonna sonora di Gomorra, seppure nel corso degli anni sia finito al centro di polemiche per saluti indirizzati a boss e per alcuni brani, i cui testi sarebbero stati scritti da alcuni esponenti della camorra napoletana.
In questo clima, nel periodo storico in cui Pandetta si fa ritrarre lontano dai palcoscenici, seduto accanto ad Anthony mentre si divertono ad intonare versi che inneggiano alla malavita, negli arsenali della camorra di Ponticelli circolano suggestive leggende metropolitane intorno alla figura del cantante catanese secondo le quali sarebbe al soldo di un boss del quartiere, anch’egli detenuto al 41 bis come suo zio e proprio come molti altri vecchi capi in quella condizione, si servirebbe dei testi del cantante per “mantenere viva” la propria fama tra le reclute del clan.
Inoltre, il boss avrebbe pianificato una serenata in pompa magna, tra le mura del rione-roccaforte del suo clan, commissionata proprio al cantante catanese. Un piano ambizioso, volto a preannunciare il ritorno in scena del clan in grande stile, stroncato dalla prorompente ascesa dei Mazzarella, capaci di prendere il sopravvento su tutto e tutti, stravolgendo così i piani camorristici di una delle famiglie d’onore più longeve di Ponticelli, appoggiando l’ascesa dei De Micco. Questo il profilo artistico di Niko Pandetta tracciato dai soggetti addentrati nelle dinamiche camorristiche di Ponticelli.
Per chiarire la situazione chiesi al diretto interessato delucidazioni in merito: Niko Pandetta accettò l’intervista, ma, una volta ricevute le domande, archiviò la pratica spiegando di non voler parlare della malavita.
Poche ore dopo, sul suo profilo facebook, pubblicò uno screenshot del messaggio contenente le domande che gli avevo rivolto, introdotto da una frase esplicita: “vorrei capire sei una giornalista? O con l’Antimafia??”
Tanto basta per innescare la reazione dei suoi follower:
“Niko sei grande, sono invidiosi di te”
“Stai attento leone non ti fidare che sono tutti sbirri”
“Antimafiosa giornalista”
“Gli manca solo la divisa, altro che giornalista”
“Questa non ne capisce di canzone”
“Sbirri siti sulu cani! Va capputtamuu!!”
“Famm’ nu b*****n! Viva la mafia!”
“Ti manca il distintivo… infamona di m***a… mi fai schifo, te e le tue parole di m****””
“Una persona del sud queste domande non le fa. Se le fa, fa sempre parte degli sbirri”: firmato “mamma di Vezzosi”.
Gianni Vezzosi è un altro cantante neomelodico assai legato a Pandetta, finito a sua volta al centro delle polemiche per il brano “o killer”.