Svolta nelle indagini sull’omicidio di Luigi Galletta, meccanico 21enne, vittima innocente della criminalità: la Squadra Mobile della Questura di Napoli, al termine di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, ha notificato a Ciro Contini, 34 anni, ex reggente del clan Sibillo di Forcella e nipote del boss Eduardo Contini, un nuovo provvedimento che lo ha raggiunto nel carcere di Caltanissetta, dov’è detenuto.
Il giovane meccanico incensurato fu assassinato il 31 luglio 2015 per essersi rifiutato di rivelare il luogo dove si nascondeva il cugino Luigi Criscuolo, schieratosi con il gruppo dei Buonerba-Mazzarella, in conflitto con i Sibillo.
Le indagini svolte dalla Polizia di Stato, coordinate dalla Dda, hanno documentato la violenta contrapposizione tra il clan Sibillo e il clan Buonerba-Mazzarella finalizzata ad acquisire la supremazia e il controllo degli affari illeciti nei quartieri di Forcella, della Maddalena, di via dei Tribunali e, più in generale, sull’area dei Decumani nel centro storico di Napoli.
Secondo la ricostruzione del gip, basata in particolare sull’esame delle dichiarazioni di collaboratori di giustizia e intercettazioni, Luigi Galletta subì veri e propri pestaggi nei giorni precedenti l’omicidio avvenuto nell’officina dove lavorava: colpito più volte, con estrema violenza, alla testa, anche con il calcio della pistola, per costringerlo a rivelare il covo del cugino, vero obiettivo dei killer.
Il tragico epilogo il 31 luglio, quando Ciro Contini e Antonio Napoletano si recarono nell’officina e lo uccisero, con quattro colpi di pistola. Per l’omicidio di Luigi Galletta è stato già condannato a 18 anni di reclusione l’esecutore materiale Antonio Napoletano, minorenne all’epoca del fatto.
La storia del baby-boss di Forcella si lega a filo doppio a quella dei “bad boys” di Ponticelli, Tommaso Schisa e Michele Minichini. Fu proprio Schisa, il rampollo del clan delle “Pazzignane” del Rione De Gasperi di Ponticelli a rivelare alla magistratura, una volta diventato collaboratore di giustizia, che nel 2016, durante la latitanza, Contini trovò rifugio e accoglienza tra le fila del cartello camorristico costituito dalle vecchie famiglie d’onore di Napoli Est. Contini – secondo quanto riferito da Tommaso Schisa – accusato di associazione camorristica, porto abusivo di armi, tentato omicidio aggravato, estorsione, ricettazione, avrebbe soggiornato nel Rione De Gasperi di Ponticelli, nell’appartamento della sorella di Luisa De Stefano che vive in Germania, ma anche nel rione Pontecitra a Marigliano, fortino del clan di Luigi Esposito detto ‘o sciamarro, ex suocero di Schisa. In quell’occasione, Contini fu ospitato proprio nell’appartamento del boss di Marigliano, ubicato di fronte a quello di Schisa che in seguito all’arresto del suocero si era trasferito a Marigliano per gestire gli affari.
Nel periodo in cui ha beneficiato della protezione del clan alleati di Napoli est, Contini ha camminato a braccetto con Michele Minichini, il killer per antonomasia dell’organizzazione e per un periodo si trasferì a casa della madre a Barra.
Circostanze confermate anche da un altro collaboratore di giustizia, Antonio Rivieccio detto Cocò, contiguo al clan Sibillo per conto del quale partecipò all’omicidio del boss dei Barbudos Raffaele Cepparulo avvenuto a Ponticelli nel 2016, insieme a Michele Minichini. Un agguato voluto per stroncare le velleità del boss del Rione Sanità che, finito nel mirino dei rivali del clan Vastarella, aveva trovato rifugio nel rione Lotto O di Ponticelli – fortino del clan De Luca Bossa – e stava cercando di entrare nelle grazie dei De Micco e dei Mazzarella, gli acerrimi nemici del sodalizio camorristico di cui il clan che lo ospitava era un perno portante. Cepparulo mise la firma su una serie di “stese” indirizzate alla madre di Schisa, a Michele Minichini, motivo per il quale, il clan alleati decisero di assassinarlo mentre si trovava nel circolo ricreativo di Umberto De Luca Bossa, nel Lotto O. Ad uccidere Cepparulo fu Michele Minichini con l’ausilio di Rivieccio che, invece, sparò un colpo a bruciapelo dritto al petto di Ciro Colonna, un 19enne avventore del circoletto, erroneamente scambiato per un guardaspalle di Cepparulo. Un’altra giovane vita fagocitata dalle funeste logica della camorra.
Per inquirenti, nel tempo, Ciro Contini avrebbe mostrato spessore criminale, agendo in quella porzione del centro storico di Napoli in cui l’egemonia della “paranza dei bimbi” era preponderante, a viso scoperto senza nascondersi e partecipando in prima persona anche ad un tentato omicidio. Una vittima che doveva essere punita con la morte per avere tradito il rapporto di affiliazione al gruppo malavitoso e che era riuscita a sfuggire alla morte rifugiandosi in un commissariato. Un modus operandi assai affine a quello che ha segnato l’ascesa camorristica di Michele Minichini detto ‘o tigre, anche lui voleva essere riconosciuto quando entrava in azione. Tant’è vero che si tatuò un enorme tigre con le fauci spalancate sul capo che esibiva con orgoglio quando entrava in azione per compiere omicidi, “stese”, azioni violente.
Una delle tante analogie che accomuna la storia camorristica di due giovani che per consacrare l’ascesa dei rispettivi clan d’appartenenza hanno seminato sangue e morte, non facendo sconti neanche alle vite di persone estranee alle dinamiche malavitose.