Sia i De Micco che i De Luca Bossa sono pronti a colpire i familiari dei rivali estranei alle dinamiche camorristiche.
Questo il verdetto che emerge tra gli ultimi, concitati eventi che scandiscono l’eterna faida di Ponticelli, quella che vede i De Luca Bossa del Lotto O osteggiare i De Micco, i cosiddetti “Bodo”. Una guerra che vede le due fazioni osteggiarsi da decenni e che ha disegnato una lunga scia di sangue, alimentata soprattutto da due morti eclatanti: Antonio Minichini e Carmine D’Onofrio. Due giovani, rispettivamente di 19 e 23 anni, nelle cui vene scorreva il sangue dei De Luca Bossa. Il primo, figlio di Anna De Luca Bossa, sorella del boss Antonio, e di Ciro Minichini, braccio destro di quest’ultimo; il secondo era il figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa, fratello di Antonio, scarcerato di recente.
Estraneo agli affari di famiglia Antonio Minichini fu ucciso nel 2013, mentre si trovava in compagnia del reale obiettivo dei killer del clan De Micco, Gennaro Castaldi, mentre Carmine D’Onofrio è stato giustiziato ad ottobre dello scorso anno, quando il boss Marco De Micco lo ha identificato come l’attentatore che lanciò una bomba nel cortile della sua abitazione. L’omicidio di Carmine ha squarciato una ferita che sanguina ancora e che ha concorso ad intristire quella mai sanata, scaturita dalla morte del cugino. I due giovani, andati incontro ad una morte violenta per mano dello stesso clan, sono seppelliti l’uno sull’altro nel cimitero di San Giovanni a Teduccio. Il giovane Minichini fu inizialmente seppellito a Ponticelli, ma i familiari furono costretti a spostarlo altrove perchè la sua lapide veniva continuamente dissacrata e vandalizzata. Un tassello, uno dei tanti, che concorre a chiarire quanto siano aspri e concitati i toni della disputa e che soprattutto proietta le ostilità ben oltre i confini imposti dalle logiche degli affari criminali.
L’onore, la vendetta, la supremazia, la rivalsa. Sono solo alcuni dei princìpi ispiratori che seguitano ad alimentare le ostilità tra i due clan, tra due famiglie che si odiano.
A sancire il punto di non ritorno è un monito ben preciso: i De Luca Bossa non intendono riporre le armi, almeno fino a quando non restituiranno ai De Micco l’affronto subìto, mettendo la firma su una morte eclatante.
In quest’ottica è maturato il raid in viale Margherita dello scorso 2 luglio. Quattro giovani a bordo di due moto, capeggiati da Emmanuel De Luca Bossa, il figlio minore di Tonino ‘o sicco, aprirono il fuoco in pieno giorno, non appena arrivarono nei pressi del “Bar Super”, consueto luogo di ritrovo delle reclute del clan De Micco-De Martino. In quella circostanza, i gregari del clan rivale, riuscirono a trovare riparo tra le auto in sosta.
Un mancato agguato che, in virtù di quanto sta accadendo attualmente, ricopre un significato più nitido.
Nel mirino dei De Luca Bossa sarebbero finiti gli affiliati, ma anche i figli dei De Micco, giovani, giovanissimi. Al pari dei giovani eredi dei De Luca Bossa gettati in pasto alle funeste logiche dell’eterna faida.
Una “stesa” tra le palazzine di via Miranda, il nuovo quartier generale dei De Micco che ha portato al “ferimento” del motore di un condizionatore ubicato al terzo piano di un edificio, seguito poi dall’ormai celeberrima azione denigratoria indirizzata ai Bodo, ancora una volta in quella sede. Un’auto parcheggiata nei pressi dell’arsenale del clan, sulla quale erano riportate frasi e scritte offensive indirizzate al clan e sul cui tettuccio era collocato un water. La vettura, risultata rubata lo scorso maggio a Posillipo, è stata poi data alle fiamme.
Non è tardata ad arrivare la risposta dei De Micco che verosimilmente si è tradotta in un raid incendiario analogo.
A finire divorata dalle fiamme, l’auto nuova di zecca della sorella di Antonio De Luca Bossa, notoriamente estranea agli affari di famiglia. La donna aveva acquistato l’auto pochi giorni prima che finisse nel mirino dei rivali.
Un evento che assume una connotazione ben precisa e che indirizza ai De Luca Bossa un messaggio esplicito: se seguitano a perseguire la vendetta, mirando a colpire i parenti dei De Micco estranei alle dinamiche camorristiche, neanche loro saranno disposti a garantire l’immunità ai De Luca Bossa non invischiati negli affari di famiglia.
Una tesi avvalorata anche e soprattutto da un rumors che con particolare insistenza serpeggia negli arsenali della camorra ponticellese ormai da diverse settimane, secondo il quale, nel mirino dei De Luca Bossa sarebbe finito l’unico erede dei fratelli De Micco di sesso maschile che ha raggiunto la maggiore età. Non a caso, il giovane, di recente, ha lasciato il quartiere per concedersi un viaggio all’estero. Il giovane rampollo della famiglia De Micco, lo scorso 2 luglio, era anche tra gli avventori sopravvissuti al raid dei De Luca Bossa.
Motivo per il quale, all’indomani del raid indirizzato alla sorella di Antonio De Luca Bossa, anche tra i familiari del clan del Lotto O non addentrati nelle dinamiche malavitose serpeggia una comprensibile paura. Alcuni di loro si sarebbero già attivati per dissuadere le figure di spicco del clan dal seguitare ad alimentare le logiche della guerra in corso, cercando al contempo di convincerli a lasciare il quartiere.
Un retroscena che concorre a delineare uno scenario inquietante intorno all’ennesimo capitolo della faida senza logica e senza tempo che da ormai 10 anni anima le strade di Ponticelli.