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Ponticelli: il temuto pentimento di Pipolo legittima la camorra ad azionare la macchina del fango

Luciana Esposito di Luciana Esposito
23 Luglio, 2022
in Cronaca, In evidenza
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Ponticelli: il temuto pentimento di Pipolo legittima la camorra ad azionare la macchina del fango
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I parenti del 37enne Antonio Pipolo hanno lasciato le abitazioni in cui vivevano nel comune di Volla per entrare nel programma di protezione destinato ai parenti dei collaboratori di giustizia, nella notte tra mercoledì 20 e giovedì 21 luglio, poche ore dopo il vortice di eventi che ha fatto schizzare alle stelle la tensione nei rioni di Ponticelli in balia della camorra.

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Pipolo, contiguo al clan De Micco, ha prima messo la firma sul duplice omicidio di Carlo Esposito, il 29enne affiliato al suo stesso clan, e del 56enne Antimo Imperatore che si trovava in compagnia dell’unico e reale obiettivo del killer per effettuare dei lavori di manutenzione all’interno della sua abitazione, per poi costituirsi direttamente in Procura ed avviare un percorso di collaborazione con la magistratura.

Quella stessa sera, la DDA ha emesso nei suoi confronti un provvedimento di fermo contestandogli i reati di detenzione e porto abusivo di arma da fuoco e di duplice omicidio. A riprova dell’attendibilità delle dichiarazioni che intende rendere agli inquirenti, il 37enne ha consentito il ritrovamento dell’arma utilizzata per compiere il duplice omicidio e al quale ha già attribuito una matrice ben precisa. La morte di “Kallon” era stata ordinata dai De Micco, presumibilmente per ragioni di natura economica.

Un omicidio che matura contestualmente alla scarcerazione del ras Francesco De Martino, 52enne reggente dell’omonimo clan, nel fortino del clan, per giunta. Pipolo ha stanato Esposito mentre era intento a ristrutturare – con l’aiuto di Imperatore – il basso nel quale doveva trasferirsi insieme alla sua compagna, la sorella di Ciro Uccella, fedelissimo affiliato al clan De Martino. Il quel basso viveva Giovanni Palumbo detto “il piccione” ed è lì che la polizia di stato lo ha arrestato lo scorso 4 aprile, reo di aver partecipato all’omicidio di Carmine D’Onofrio, il 23enne figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa. Appena tre giorni prima dell’omicidio in cui ha perso la vita anche l’innocente Imperatore, in quello stesso basso in cui è stato giustiziato, “Kallon” aveva festeggiato il suo 29esimo compleanno in compagnia della sua fidanzata, dei familiari e degli amici, tra i quali anche Pipolo, il 37enne che pochi giorni dopo lo ha ucciso su commissione del clan al quale entrambi erano parte integrante.

A riferire questo dettaglio ai media è la compagna di “Kallon”. La donna, insieme ad altri familiari, ha inveito contro i rappresentanti delle associazioni anticamorra che all’indomani del duplice omicidio hanno organizzato una fiaccolata in quello stesso rione: “Ve ne dovete andare, che siete venuti a fare qui? Mio marito non è stato ucciso per camorra. La fiaccolata è stata organizzata contro la camorra? E di qui non deve passare perché l’omicidio di mio marito non c’entra nulla con la criminalità. È vero che questo è il quartiere dei De Micco, qua siamo tutti amici, ma mio marito è stato ucciso da un tossicodipendente spostato con la testa”. Queste le parole rivolte agli attivisti che hanno aderito alla fiaccolata, stando a quanto riportato da “Il Mattino”.

Nelle ore successive al duplice omicidio, quando ha iniziato a serpeggiare con forte insistenza la notizia del pentimento di Pipolo, i parenti del neodefunto “Kallon” hanno prontamente azionato la “macchina del fango”, nel pieno rispetto dei dictat imposti dal codice d’onore della camorra.

Pipolo è stato descritto come un soggetto instabile per effetto della copiosa dose di stupefacenti della quale era solito fare abuso. Una pasticca tagliata male, si narra tra i palazzi del Rione Fiat, lo avrebbe gettato in pasto alle allucinazioni già da diverso tempo. Anche quella mattina “stava tutto fatto” ed avrebbe agito per “motivi di gelosia” e non per conto del clan. Questa la versione dei fatti portata avanti con ferma convinzione dalla “famiglia acquisita” di “Kallon”.

Carlo Esposito era il figlio di una brava famiglia, nato e cresciuto da due genitori estranei alle dinamiche camorristiche che mentre era in carcere hanno cercato in tutti i modi di convincerlo ad andare via da Napoli, consapevoli del tragico destino al quale sarebbe andato incontro tornando a Ponticelli. Arrestato per aver preso parte ad una “stesa”, una delle tante azioni dimostrative volute per favorire l’ascesa del clan De Micco, “Kallon era tornato in libertà da pochissimi mesi, ma non aveva perso tempo. Si era guardato bene dall’assecondare le richieste dei suoi familiari ed aveva iniziato fin da subito a darsi da fare per conquistare un posto di rilievo tra le briglie della malavita locale. Era solito andare a taglieggiare gli esercenti con tanto di bollette delle utenze accumulate durante la detenzione per rivendicare “un aiuto”. Richieste estorsive di diverse migliaia di euro che sono rimaste scalfite nella mente degli esercenti, pure perchè “Kallon” chiedeva con insistenza di vedersi elargire la cifra richiesta, in quanto necessaria per aiutarlo a rimettersi in piedi. La percezione che quegli esercenti hanno avuto è che il 29enne stese cercando di recuperare il “tempo perso” durante la detenzione per farsi spazio tra i ranghi della malavita, forse anche a discapito del suo stesso clan d’appartenenza. In barba a questo stesso principio, si è recato presso le abitazioni di alcuni affiliati al clan De Micco, attualmente detenuti, per elargire denaro, non a nome del clan. Un gesto giustificato come “un regalo” fatto di sua spontanea volontà e che potrebbe aver dato adito a sospetti. Nel gergo malavitoso quel modus operandi è sinonimo di “campagna di consensi”, non è escluso che “Kallon” mirasse a mietere consensi tra gli amici di vecchia data con l’intento di “scipparli” al clan De Micco, forse per creare un sodalizio autonomo o per ringalluzzire il clan De Martino.

Inoltre, era lui a gestire il business dello spaccio di stupefacenti nel Rione Fiat, ma anche nel Lotto 10. I gestori delle piazze presenti in quei rioni, non solo versavano a lui la tangente dovuta alla camorra, ma erano tenuti a rifornirsi anche da lui.

Nel giro di pochi mesi “Kallon” era diventato una figura autorevole del clan. Sono plurime le motivazioni plausibili che possono aver generato dissidi ed incomprensioni che i vertici del clan De Micco hanno deciso di sedare con gli spari, eliminando Esposito. Inoltre, legandosi sentimentalmente alla sorella di Ciro Uccella, il 29enne aveva fatto un passo importante verso il clan De Martino.

Acclarato che se fino a poco tempo fa i De Micco e i De Martino hanno finto un’unione pacifica, l’omicidio di “Kallon” ufficializza la rottura e l’avvio di una temibile faida interna. Le frizioni tra le due compagini erano già evidenti all’indomani dell’arresto del boss Marco De Micco. Prima di finire in manette, temendo di avere i giorni contati, il boss di Ponticelli ha designato come suo erede un elemento di primo ordine del clan Mazzarella, a discapito del giovane Salvatore De Martino. Una decisione che ha suscitato vivo malcontento tra le fila del clan capeggiato da quest’ultimo fino alla recente scarcerazione del padre.

Il pentimento di Pipolo, però, delinea uno scenario inaspettato che mira a configurare un vortice di eventi destinato a travolgere i destini di plurimi personaggi addentrati nelle dinamiche camorristiche della periferia orientale di Napoli, ne sono consapevoli i De Martino che stanno cercando in tutti i modi di screditare il neopentito, con il chiaro intento di minarne la credibilità agli occhi degli inquirenti. E non solo.

Palese è il tentativo dei “familiari acquisiti” di Esposito di sminuire l’entità del danno, a maggior ragione al cospetto del cadavere di una vittima innocente, un padre, un nonno, un marito, che era in compagnia del reale obiettivo dell’agguato per sistemare una zanzariera. Addirittura ci sono testimoni oculari che narrano di aver visto Pipolo bussare a più porte quella mattina, a caccia di un affiliato al clan De Martino qualunque da uccidere, inscenando una sorta di roulette russa sfociata nel duplice omicidio di “Kallon” e del 56enne.

La parola “camorra” è bannata, la reputazione dell’assassino viene screditata, mentre la vittima viene beatificata ed associata ad una “brava persona”, al pari del 56enne morto solo perchè in quel momento si trovava in sua compagnia.

Il paradosso più grande di chi si nutre del verbo della malavita è tutto qui: rivendicano con orgoglio e fierezza l’irriverente rispetto che è doveroso tributare a un pezzo da novanta della malavita locale, finchè è in vita, perchè gli assicura facili guadagni. In seguito alla morte, la scena cambia in maniera rocambolesca e quello stesso camorrista diventa “una persona molto brava”.

I De Martino puntano il dito contro l’instabilità mentale di Piscopo, alterato dalle droghe e abbagliato “dalla gelosia” che covava nei confronti di Esposito, nel pieno rispetto di una delle strategie più comuni inscenate dalla camorra in situazioni affini.

Uno stratagemma dal quale trapela tutta la paura covata dagli esponenti della malavita locale, all’indomani dell’inaspettato pentimento di Pipolo.

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