Ponticelli si lascia alle spalle una giornata tragica, interminabile, densa di eventi concitati.
Dapprima il blitz che ha tradotto in carcere tre dei quattro responsabili del raid dello scorso 2 luglio in viale Margherita, poi il duplice omicidio compiuto in pieno giorno, poco prima delle 10 del mattino, nel Rione Fiat, il fortino del clan De Martino.
Il killer entrato in azione in un basso in fase di ristrutturazione ha ucciso il 56enne Antimo Imperatore e il 29enne Carlo Esposito soprannominato “Kallon”. Se l’affiliazione di quest’ultimo al clan De Micco-De Martino appare acclarata, ben diversa è apparsa, fin da subito, la posizione del primo. Imperatore era il factotum del Rione Fiat, un operaio dedito ai lavoretti di manutenzione, sempre pronto ad intervenire per guadagnare qualche decina di euro. Seppure l’uomo sia stato controllato più volte dalle forze dell’ordine in compagnia di esponenti della malavita locale, tutto lascia presagire che il solo “Kallon” fosse il reale obiettivo dell’agguato.
Il colpo di scena più clamoroso porta proprio la firma del killer entrato in azione per eseguire quello che a tutti gli effetti risulta un omicidio voluto per compiere un atto di epurazione interna al clan De Martino.
Il presunto autore del duplice omicidio, poche ore dopo l’azione delittuosa, si è costituito in procura. Si tratta di Antonio Pipolo detto Anthony, 38 anni, contiguo al clan De Martino. Si sarebbe consegnato alla giustizia con il probabile intento di passare dalla parte dello Stato temendo per la sua vita. Il delitto compiuto in pieno giorno, in un rione in cui è conosciuto da tutti: delle premesse che lasciavano poco spazio a scenari diversi dalla morte violenta o dall’arresto. Pipolo temeva la vendetta, vedendo la sua vita in bilico, sotto la duplice minaccia del regolamento di conti da un lato e delle manette dall’altro, ha optato per la soluzione più indolore. Gli inquirenti, infatti, erano già sulle tracce del killer che difficilmente avrebbe potuto beneficiare dell’omertà dei testimoni oculari dopo aver ucciso “per necessità” un padre di famiglia.
Secondo le prime ricostruzioni, è stato proprio Imperatore ad aprire la porta al killer, mentre “Kallon” è stato giustiziato mentre stringeva un trapano tra le mani. I due stavano facendo dei lavori di ristrutturazione nel basso in cui “Kallon” si era trasferito da pochi giorni insieme alla sua compagna, nonchè sorella di Ciro Uccella, contiguo al clan XX. In quello stesso basso piccolo ed angusto, fino a pochi mesi fa, viveva “il piccione” alias Giovanni Palumbo, uno degli affiliati al clan De Micco arrestati lo scorso aprile per l’omicidio di Carmine D’Onofrio, il 23enne figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa.
Pertanto, tutto lascia presagire che Pipolo sia entrato in azione per eseguire la sentenza di morte voluta per eliminare un elemento di primo ordine del suo stesso clan d’appartenenza, ma una volta giunto all’interno dell’abitazione, si è visto costretto ad uccidere anche Imperatore che sicuramente lo avrà riconosciuto. Di lì a poco la decisione di costituirsi, probabilmente dettata proprio dalla presa di coscienza della gravità dell’azione criminale compiuta poche ore prima.
Seppure i media fin da subito hanno collocato il duplice omicidio nell’ambito della faida in corso per il controllo del territorio tra il clan d’appartenenza di “Kallon” e i De Luca Bossa, troppi elementi lasciavano propendere per l’epurazione interna.
Seppure nei giorni successivi alla spedizione punitiva compiuta dai De Micco-De Martino nel Lotto O, in risposta al raid in viale Margherita, in cui rimase ferito Mario Sorrentino, i giovani affiliati al clan De Luca Bossa erano palesemente a caccia di un bersaglio da stanare per replicare all’affronto subito e rilanciare le proprie credenziali nell’ambito dell’ennesima faida per il controllo del territorio, appariva piuttosto improbabile che ci fosse la firma del clan del Lotto O su quel duplice omicidio.
In primis, difficilmente Esposito avrebbe aperto la porta ad uno sconosciuto, meno che mai lo avrebbe fatto Imperatore. Risulta chiaro che i due sono stati colti alla sprovvista, al cospetto di un ragazzo del rione che conoscevano e mai avrebbero potuto temere o prevedere le sue intenzioni.
Inoltre, difficilmente dopo una stangata sonora come quella inflitta ai De Luca Bossa dal blitz eseguito poche ore prima, questi ultimi potevano disporre della lucidità e della prontezza di riflessi per mettere a segno un agguato tanto eclatante, nel fortino del clan rivale, in pieno giorno, per giunta.
Le motivazioni che possono aver indotto i De Martino a sbarazzarsi di “Kallon” sono tutte da chiarire. Tornato in libertà da pochi mesi, il 29enne era riuscito rapidamente a ritagliarsi un posto di rilievo tra le briglie della malavita. Nella fattispecie, negli ultimi tempi, era indicato come “il ras” del rione. I gestori delle piazze erano tenuti a comprare la droga da lui, ma anche a versargli una tangente settimanale. Non appena era tornato in libertà, dopo un breve periodo di detenzione per aver partecipato ad una “stesa” insieme ad altre figure di spicco del clan De Micco, aveva immediatamente iniziato a taglieggiare i commercianti spiegando loro che dopo il periodo trascorso in carcere, necessitava di saldare alcune spese arretrate, in primis le bollette delle utenze. “Kallon”, dinanzi agli esercenti ai quali intendeva estorcere denaro, rivendicava l’impellente bisogno di racimolare soldi per “rimettersi in piedi”. Inoltre, si era anche recato presso le abitazioni dei familiari di alcuni affiliati al clan De Micco attualmente detenuti per elargire denaro.
Un atteggiamento dal quale trapelava l’intenzione di consolidare la sua posizione e che unitamente al carattere spocchioso ed irriverente può aver concorso a generare ruggini, malintesi e dissidi.
Seppure negli ultimi giorni era molto vicino alle figure apicali del clan De Martino, dietro la decisione di concedergli quell’alloggio, potrebbe celarsi un piano di morte ordito con lucido raziocinio.
“Kallon” infatti abitava nei pressi del locale commissariato di polizia, per i suoi sodali sarebbe stato ben più facile stanarlo nel cuore del fortino del clan, soprattutto perchè lo avrebbero colto di sorpresa.
Così doveva essere e così è stato.
Seppure l’astuta mente che ha ordinato la morte di Carlo Esposito non ha tenuto conto di due “imprevisti”: l’assassinio di un padre di famiglia, il tradimento del killer al quale è stato commissionato l’omicidio.