Christian Marfella, il figlio della lady-camorra di Ponticelli, Teresa De Luca Bossa e del boss di Pianura, Giuseppe Marfella, è tornato in libertà.
Le porte del carcere per il rampollo di casa De Luca Bossa si sono spalancate esattamente tre giorni fa, mercoledì 29 giugno. Una scarcerazione celebrata a suon di video pubblicati su TikTok. Seppure fino a settembre Marfella sarà sorvegliato a distanza mediante il bracciale elettronico, la sua scarcerazione non è passata di certo in sordina.
La notizia è stata segnalata al direttore del nostro giornale, Luciana Esposito, da una telefonata anonima.
Un evento destinato a mutare gli equilibri camorristici di per sé precari che si respirano tra le strade di un quartiere in cui la malavita seguita a far sentire la sua presenza.
Figlio di due personaggi di primo ordine della camorra partenopea, fin dai primi vagiti, Christian ha deciso di seguire le orme del fratellastro, marcando la scena camorristica della periferia orientale partenopea, a differenza degli altri figli di Giuseppe Marfella che, invece, si sono insediati a Pianura.
Arrestato a febbraio del 2013, all’età di 19 anni per associazione di tipo mafioso, omicidio e reati di droga, Marfella jr è stato condannato a 10 anni e 18 mesi ed è tornato in libertà poco più che trentenne, dopo aver trascorso gli anni migliori della sua giovinezza in regime detentivo. Il segno distintivo di Christian Marfella è il vistoso tatuaggio che sfoggia sul collo: “Tonin’ ‘o sicc'”, il soprannome del fratellastro, Antonio De Luca Bossa, detenuto al 41 bis e condannato all’ergastolo in via definitiva.
Marfella ha ritrovato la libertà nel momento più propizio per il clan fondato da quel fratellastro che ha deciso di emulare ben presto, quando era ancora un ragazzino.
Con il clan De Micco fortemente indebolito dall’arresto del suo leader, Marco De Micco, maturato lo scorso aprile, la brama di potere dei De Luca Bossa, tutto ad un tratto, appare meno utopistica. Al pari di quel regolamento di conti che il clan del Lotto O sogna di portare a compimento dalla fredda sera del 29 gennaio del 2013, quando i sicari del clan De Micco uccisero suo nipote Antonio Minichini, figlio della sorellastra Anna De Luca Bossa. Come se non bastasse, la scia di sangue da vendicare si è allungata lo scorso ottobre, quando il 23enne Carmine D’Onofrio, figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa, è andato incontro allo stesso destino. Proprio le indagini scaturite in seguito all’omicidio di quest’ultimo hanno spalancato le porte del carcere al boss Marco De Micco.
Un agguato che ha riaperto una ferita mai sanata per i De Luca Bossa, inasprendo vecchie ruggini e fomentando l’astio e il rancore contro i rivali di sempre.
Forti del supporto di un leader ben più avvezzo alla malavita e con la tempra e il carisma necessari per intraprendere azioni efferate, i De Luca Bossa potrebbero sentirsi legittimati a sfidare i De Micco.