Carcere a vita per i responsabili dell’omicidio del boss dei Barbudos Raffaele Cepparulo e del 19enne Ciro Colonna, vittima innocente della criminalità. Anche la Corte di Cassazione ha confermato gli ergastoli per i sei imputati, scrivendo la parola fine all’iter giudiziario che ha concorso a ricostruire la dinamica del duplice delitto e il contesto malavitoso in cui è maturato.
Fine pena mai per il mandante, il boss di San Giovanni Ciro Rinaldi, i killer Michele Minichini e Antonio Rivieccio, la filatrice Anna De Luca Bossa e le “pazzignane” Luisa De Stefano e Vincenza Maione che hanno partecipato alle fasi organizzative dell’agguato, fornendo poi appoggio ai killer nelle fasi successive, favorendone la fuga.
Un verdetto dagli esiti scontati e prevedibili che stronca definitivamente ogni flebile speranza di poter beneficiare di una riduzione di pena, costringendo al carcere a vita diverse figure di spicco della scena camorristica della periferia orientale di Napoli.
In appello, altri due imputati erano riusciti ad alleggerire le loro posizioni: Giulio Ceglie fu assolto, mentre Cira Cepollaro, la madre di Michele Minichini, si è vista ridurre la pena a 20 anni, mentre la Cassazione non ha consegnato colpi di scena, confermando gli ergastoli.
Un verdetto definitivo dal quale potrebbero scaturire scenari destinati a riscrivere la storia camorristica della periferia est di Napoli e non solo.
Uno dei due killer, Antonio Rivieccio detto Cocò, contiguo al clan Sibillo e “prestato” ai clan alleati di Napoli est per uccidere Cepparulo, nell’estate del 2021 ha deciso di collaborare con la giustizia.
In virtù della conferma del fine pena mai da parte della Cassazione, l’ipotesi che altri possano decidere di optare per la stessa decisione, appare tutt’altro che remota, soprattutto considerando la posizione delle “lady camorra” costrette al carcere a vita.
Donne, madri, nonne che fuori dal carcere hanno una famiglia, dei figli e anche dei nipoti ad attenderle, consapevoli che accettando la pena incassata senza battere ciglio, solo per non rinnegare il credo camorristico, si condanneranno ad una vita lontana dagli affetti. Un peso che giace sullo stesso piatto della bilancia sul quale grava una sentenza onerosa come un macigno e che potrebbe sortire effetti imprevedibili per “le donne d’onore” dell’ala est di Napoli.
“La Pazzignana” Luisa De Stefano vive nella consapevolezza che il suo primogenito, Tommaso Schisa, nel 2019 è già passato dalla parte dello Stato e da allora sua figlia vive sotto protezione, quindi seguire le orme del figlio appare l’unica strada da intraprendere per ricongiungersi con la sua famiglia, consapevole del fatto che suo marito, Roberto Schisa, condannato all’ergastolo per la strage del bar Sayonara, intende morire da “uomo d’onore”.
Anna De Luca Bossa, la sorella del boss Tonino ‘o sicco, a sua volta condannato all’ergastolo, in passato, mentre scontava una pena di pochi anni per reati minori, aveva già manifestato la volontà di collaborare con la giustizia e iniziò a rendere delle dichiarazioni alla magistratura che di fatto hanno supportato delle indagini, ma poi ha ritrattato. Al cospetto della certezza della pensante pena ricevuta in via definitiva, la sua forza emotiva potrebbe nuovamente vacillare.
L’ipotetico pentimento di una delle figure di spicco del sodalizio camorristico costituito dalle famiglie d’onore di Napoli est potrebbe delineare scenari imprevedibili, in un momento storico già abbastanza concitato, in virtù del recente arresto del boss Marco De Micco, reggente dell’omonimo clan, attualmente egemone a Ponticelli.