La sera del 26 aprile del 2018 le strade del Parco Conocal di Ponticelli tornano a macchiarsi di sangue.
Nel fortino del clan D’Amico, in via al chiaro di luna, a finire tramortito al suolo, raggiunto da un proiettile alla schiena è Emanuele Errico detto “Pisellino”, un ragazzo di appena 19 anni.
L’omicidio è avvenuto nei pressi dell’abitazione del giovane, agli arresti domiciliari per reati di droga, mentre si trovava in compagnia del 30enne Rosario Ciro Denaro, residente nel vicino comune di Volla che resta ferito alla gamba sinistra.
Un giovane morto ammazzato nel cuore del bunker del clan D’Amico, quei “fraulella” che lo stesso 19enne venerava come delle divinità sui social network. Un insieme di elementi che portano i media a puntare fin da subito sull’omicidio di stampo camorristico. I post-tributo ad Annunziata D’Amico, la donna-boss uccisa in quello stesso rione ad ottobre del 2015, ma anche a Mariano Abbagnara, il 17enne balzato agli onori della cronaca in seguito alla partecipazione al documentario “Robinù”. E anche le foto in cui Errico commemorava Antonio Minichini, il 19enne figlio del boss “Cirillino” ed Anna De Luca Bossa, andato incontro al suo stesso destino, alla sua stessa età, in quello stesso contesto.
Una serie di elementi che delineano uno scenario ben preciso, sebene tra i palazzoni del bunker dei D’Amico, fin da subito, a tenere banco era la convinzione che su quell’agguato non ci fosse la firma della camorra. “Pisellino”, del resto, era un pesce piccolo, uno che si destreggiava tra rapine e spaccio di stupefacenti e che mai avrebbe potuto compiere azioni talmente eclatanti da finire nel mirino di un killer della camorra.
I residenti in zona raccontano che i due giovani, vedendo sopraggiungere i killer, avrebbero tentato la fuga, cercando di trovare riparo in uno dei palazzi del rione. Questo spiegherebbe perchè il 19enne è stato colpito alle spalle. Un dettaglio tutt’altro che di poco conto perchè, temendo di essere sorpreso in strada dalle forze dell’ordine, “Pisellino” era cauto nel violare i domiciliari, pertanto a stanarlo doveva essere stato qualcuno che godeva di una “postazione di favore” e che facilmente era riuscito a mettersi sulle sue tracce quella sera, non appena era uscito di casa.
Tre mesi dopo, quella “voce di popolo” si tramuta in un dato di fatto: in quella vicenda, la camorra aveva fatto solo da spettatrice al contenzioso nato tra giovani rapinatori dello stesso rione di Ponticelli: il Conocal.
Nonostante la modalità d’esecuzione e “la familiarità” che la vittima sbandierava sui social nei riguardi di figure di spicco della malavita locale, “Pisellino” viene assassinato per un regolamento di conti con due coetanei con i quali era entrato in contrasto per motivi d’affari.
Da un lato i fratelli Antonio e Nicola Spina, rispettivamente di 18 e 22 anni, dall’altro il 19enne Emanuele Errico e il 30enne di Volla Rosario Ciro Denaro.
Antonio Spina, soprannominato “o’ cecato” e suo fratello Nicola ed Emanuele Errico detto “pisellino” si conoscevano, si frequentavano ed erano “soci”. Entrambi erano cresciuti in quel contesto ed avevano intrapreso una “carriera” simile.
“Pisellino” era già stato pizzicato mentre spacciava e per questo stava scontando una pena ai domiciliari, seppure quella sera in cui ad attenderlo sull’uscio di casa ha trovato la morte, avesse violato le restrizioni previste da quel regime detentivo, come aveva fatto in altre circostanze, per mettere a segno furti e rapine. Anche la sera precedente all’agguato in cui ha perso la vita era uscito di casa per “dare una lezione” ai fratelli Spina, con i quali era entrato in rotta per questioni legate alla spartizione dei proventi dei furti dei motorini rubati e non solo. Insieme a Rosario Ciro Denaro, infatti, la sera del 25 aprile, il 19enne si recò nei pressi dell’abitazione degli Spina per dare fuoco agli scooter dei due fratelli, parcheggiati sotto al palazzo. Le fiamme arrivarono ad intaccare anche alcuni appartamenti dell’edificio rimasto coinvolto nell’incendio, tant’è vero che il fumo costrinse alcuni parenti degli Spina ad abbandonare le abitazioni.
I fratelli Nicola ed Antonio, pur di risalire all’identità dei responsabili di quel raid, avviarono delle vere e proprie indagini che giunsero ad una svolta decisiva quando si fecero consegnare le immagini del sistema di videosorveglianza di un supermercato situato nei pressi della loro abitazione. I fratelli Spina riconoscono senza esitazioni “pisellino”, soprattutto grazie alla sua camminata “penzolante” e pertanto decidono di attivarsi subito per chiudere definitivamente i conti con il 19enne.
Pur consapevoli che la stessa videocamera avrebbe ripreso anche quell’agguato e che, prima o poi, gli inquirenti sarebbero risaliti all’identità dei killer, i fratelli Spina impugnano la pistola per uccidere “pisellino”.
Nei giorni immediatamente successivi all’agguato, fu la madre del 19enne assassinato a riferire informazioni importanti agli inquirenti. La donna identificò Antonio Spina spiegando agli inquirenti che suo figlio frequentava i due fratelli e che aveva riconosciuto Antonio perchè non di rado si era recato a casa sua in compagnia di suo figlio Emanuele.
A sparare fu proprio lui, Antonio Spina, 18 anni compiuti pochi giorni prima dell’agguato, con l’ausilio del fratello Nicola, già marito e padre di due bambine, nonostante i suoi 22 anni.
Prima amici e complici nel mettere a segno furti e rapine, poi diventati nemici e rivali per preservare i reciproci interessi e rivendicare la propria autorità, fino all’estremo epilogo. La spartizione del “bottino di caccia” al centro del contenzioso andato avanti per qualche tempo con una serie di rappresaglie, scaramucce e screzi. Il punto di non ritorno sancito dal raid incendiario perpetrato ai danni degli scooter degli Spina e sul quale i fratelli scoprirono che vi era la firma di “Pisellino” e Denaro. Da lì la decisione di farli fuori, punendo quell’ennesimo sgarro con la morte. Nei rioni come il Conocal di Ponticelli, i ragazzi muoiono anche così.
Ad aggravare la loro posizione vi è il fatto che fin dalla sera del 26 aprile, i fratelli Spina si erano dati alla fuga, pianificando una serie di spostamenti, prima tra Casera e Napoli e poi in Calabria, mentre stavano progettando il definitivo espatrio in Germania.
Malgrado il suo status di fratello maggiore, Nicola fu coinvolto e trascinato “in quella tarantella” – così come trapela dalle intercettazioni dei dialoghi tra i familiari degli Spina – dal fratello Antonio.
“Non era il classico bullo del quartiere. Era un ragazzino che alle minacce preferiva i fatti”. Lo descrivono così, Antonio Spina, gli abitanti del Conocal. Non di rado aveva dato libero sfogo alla sua personalità “cattiva e feroce”. Emanuele Errico, invece, viene apostrofato come “un ragazzo predisposto a delinquere, ma non orientato ad entrare nell’orbita della malavita organizzata.”
I fratelli Spina sono stati condannati a 30 anni di reclusione per l’omicidio di “Pisellino” e il ferimento del 30enne Rosario Ciro Denaro.
Seppure siano state contestate le aggravanti della premeditazione, dei motivi futili e abietti e con l’uso delle armi illegalmente detenute, a far propendere per questa richiesta di condanna e non per l’ergastolo sono state diverse attenuanti, in primis la giovane età degli imputati.
A fare da sfondo all’intera vicenda è il Conocal: il rione dei D’Amico, ma anche dei ragazzi come Mariano Abbagnara, Antonio Minichini ed Emanuele Errico. Proprio tra le immagini di copertina del profilo facebook di quest’ultimo, campeggia un collage di foto del rione accompagnate da una frase premonitrice: “Qui sono nato e qui morirò. Rione Conocal”.