25 aprile 1998: una data scalfita nella coscienza sociale di Ponticelli, quartiere della periferia orientale di Napoli che quel giorno conquistò un triste primato.
Quel giorno a Ponticelli si consumò il primo attentato stragista con autobomba in Campania.
Poco dopo le 23, un forte boato mandò in frantumi l’auto blindata guidata da Luigi Amitrano, nipote del boss Vincenzo Sarno, mentre transitava lungo via Argine.
La Lancia Dedra verde guidata da Amitrano, autista dello zio Vincenzo Sarno, non è completamente distrutta: motivo per il quale, gli investigatori fin da subito ipotizzano un difetto nella bomba a orologeria piazzata, presumibilmente, sotto la pancia dell’ auto. Vengono così allertati gli artificieri per sventare il rischio di un secondo scoppio.
Nel frattempo, scattano immediatamente le perquisizioni da parte degli uomini della squadra mobile di Napoli, diretta da Aldo Faraoni. Alcuni pregiudicati vengono portati in questura e interrogati. Gli inquirenti temono, vista la violenza dell’agguato, una risposta immediata e cruenta da parte del clan Sarno.
Un attentato con autobomba che giunge al culmine di quattro mesi animati da una sanguinaria faida che fece registrare decine e decine morti ammazzati per il controllo degli affari illeciti sui quartieri ad altissima densità criminale di Napoli est.
Una faida scaturita dalla scissione dal clan Sarno del sanguinario killer Antonio De Luca Bossa, soprannominato Tonino ‘o sicco per via della sua corporatura esile, intenzionato a fondare un cartello camorristico tutto suo che mira a scardinare la forza egemone dei suoi “ex fratelli”.
Dopo aver trascorso svariati decenni a collezionare omicidi che hanno concorso a consacrare la leadership dei Sarno e che gli valgono la fama di “macellaio” del clan, Tonino ‘o sicco rinnega i suoi “ex compari” e avvia una serie di trattative con gli altri clan napoletani, acerrimi nemici dei Sarno, che mirano a ridimensionarne il controllo del territorio.
L’egemonia dei Sarno, infatti, in quegli anni si estendeva ben oltre i confini del quartiere Ponticelli e forte dell’alleanza con i Misso e i Mazzarella, era riuscito a conquistare il centro della città ed estendersi fino alla periferia occidentale.
Antonio De Luca Bossa sapeva che per contestare l’egemonia dei suoi ex alleati, doveva beneficiare dell’appoggio di altri clan napoletani e trova il supporto in cui sperava nell’Alleanza di Secondigliano, un sodalizio camorristico ostile ai Sarno che mirava non solo a distruggere i rivali, ma anche ad appropriarsi del controllo dei traffici illeciti nel quartiere Ponticelli.
Nelle fasi iniziali, le indagini erano orientate sì nell’ottica della faida tra clan per il controllo del territorio, ma l’ipotesi più accreditata era che Luigi Amitrano fosse stato assassinato in un modo così eclatante semplicemente perchè i De Luca Bossa miravano ad annunciare in maniera plateale il loro debutto in autonomia sulla scena camorristica, lanciando al contempo un perentorio monito ai Sarno.
Con il passare dei giorni, le indagini delineano tutt’altro scenario: il reale obiettivo dell’agguato doveva essere il boss Vincenzo Sarno, attirato in un tranello, invitato a partecipare ad una riunione con i De Luca Bossa. L’autobomba fu confezionata a Giugliano una settimana prima dell’attentato ed inserita in un ruotino di scorta, poi nascosto in una Lancia Delta di proprietà dei Sarno. L’innesco era radiocomandato, doveva esplodere quando Vincenzo Sarno, come ogni domenica, si faceva accompagnare dal nipote Luigi Amitrano a firmare, perché era sottoposto alla sorveglianza speciale.
Amitrano lascerà l’ospedale intorno alle 23. Una tempistica calcolata alla perfezione dai killer che entrano in azione nel parcheggio, forzano il portabagagli e posizionano l’ordigno telecomandato all’interno di una ruota di scorta, intorno alle 21.