“Scusami se ti scrivo a quest’ora…ma non so se ti hanno avvisata… hanno appena buttato un’altra bomba”.
“Questi maledetti hanno buttato un’altra bomba. I miei figli sono saltati nel sonno”.
“Hanno fatto un altro casino. Speriamo che non si è fatto male nessuno”.
“Un’altra bomba, ma dove viviamo? Tu lo devi scrivere che la brava gente non ne può più e che a Ponticelli non sono tutti come questi che la notte escono per andare a fare i danni. C’è tanta gente che la mattina va a lavorare e la sera vuole dormire.”
“Che botta tremenda, non so se l’hai sentita… abbiamo finito di stare quieti”.
Sono solo alcuni dei messaggi che segnalavano l’esplosione dell’ordigno lanciato in via De Meis a Ponticelli dalla rampa del sovrastante cavalcavia. Tantissimi i messaggi pubblicati anche sul gruppo facebook “Sei di Ponticelli” da parte di cittadini allarmati dal boato e da altri che, invece, avevano ben compreso quanto fosse accaduto e chiedevano maggiori notizie.
Paura ed angoscia i sentimenti dominanti, almeno fino a quando non giunge la conferma che non ci sono morti nè feriti. Allora, subentra la rabbia, legittima ed autoritaria, perchè nessuno sente di meritare di vivere in un territorio dilaniato dalle barbarie della camorra.
Un boato assordante ha svegliato i residenti in zona, rigettandoli nell’incubo delle bombe.
All’indomani dell’ennesimo raid che ha tutta l’aria di collocarsi nell’ambito della faida per il controllo del territorio tra clan in rotta di collisione, in via Angelo Camillo De Meis regna un assordante silenzio.
Un pezzo di strada diviso a metà. Un marciapiede appartiene al comune di Cercola, l’altro a Ponticelli.
Lì dove un tempo si estendevano vasti terreni incolti, nell’era del post terremoto sono sorti i plessi di edilizia popolare. Li ricordano bene quei campi ricchi di alberi, i residenti in zona più attempati.
Li ricordano bene gli anni in cui Ponticelli era un quartiere agricolo.
Li ricordano bene e li rimpiangono, soprattutto all’indomani dell’ennesimo raid che suggerisce che oggi Ponticelli è un quartiere in balia della camorra.
Nessuno ha voglia di parlare. Anche perchè “nessuno ha visto”, ma tutti hanno sentito quel fortissimo boato.
O meglio.
Nessuno ha voglia di parlare dell’accaduto e degli scenari che quella bomba potrebbe delineare sul fronte camorristico, ma tutti hanno voglia di esternare l’ira funesta che covano dentro.
“Sono una ragazza madre che si sveglia quando è ancora notte per andare a lavare le scale dei palazzi. Abito con i miei genitori perchè non posso permettermi una casa tutta mia, ma secondo te non vorrei crescere i miei figli in un altro posto? In un posto dove non si devono svegliare terrorizzati mentre dormono di notte?… Mi chiedo, quando saranno grandi e inizieranno a capire, come glielo spiego perchè succedono queste cose? Secondo te è bello che li devo abbracciare per farli smettere di piangere e li sento tremare?”
Poi ci sono i racconti dei ragazzi che vanno a scuola e all’università e che amano studiare. Confidano che ai loro compagni non hanno mai raccontato di vivere “nel posto dove esplodono le bombe”, perchè si vergognano. Loro hanno maturato gli anticorpi dell’indignazione e provano sincero ribrezzo per quello che accade fuori dalle finestre delle loro abitazioni, ma anche quel sincero sentimento di condanna e disprezzo sono costretti a covarlo dentro, perchè temono che i loro coetanei non capirebbero. Il timore di essere discriminati e di dover pagare per colpe di altri si tramuta in quella fuga di cervelli ansiosi di abbandonare questa realtà e lasciarsi alle spalle le notti da incubo, come quella appena trascorsa.
Poi ci sono le madri, i padri. Stanchi, rassegnati e soprattutto spaventati.
“Quando succede un fatto di questo, come fai a non avere paura per i tuoi figli? Ma come fai a vietargli di uscire la sera? Perchè devono rinunciare a vivere una vita normale? Perchè questi devono lanciare le bombe? Però come fai a non pensare a quello che gli può succedere, se si trovano in mezzo a un guaio di questi? Come fai a non pensarci e a dormire tranquillo la notte?”
“Quando ho capito quello che era successo, mi mettevo paura di affacciarmi alla finestra per vedere se la mia macchina avesse subito danni. Se me l’avevano distrutta o danneggiata avrei passato un guaio, perchè non avrei avuto i soldi per aggiustarla o per comprarne una nuova ed è tutto quello che mi resta per raggiungere il posto in cui lavoro. Ho pensato che se mi avevano distrutto la macchina, avrei sicuramente perso il lavoro. Mi mettevo paura di avvicinarmi alla finestra. Con tre figli da crescere, io e mio marito ci arrangiamo come meglio possiamo. Senza quello che riesco a portare a casa pure io, sarebbe ancora più difficile la nostra vita, ma che gliene importa a questi qua della povera gente come noi!?”
E ci sono anche gli imprenditori, come Luciano Bellanova, titolare della pizzeria “Reginella”, inaugurata nel 2000 a due passi dal luogo in cui è esploso l’ordigno, tant’è vero che molte persone stamattina lo hanno contattato, convinti che la bomba fosse esplosa proprio all’esterno del suo locale. Luciano è sopravvissuto all’emergenza covid e ancora prima, alla faida per il controllo del territorio tra i Sarno e i De Luca Bossa. E resiste, ancora. Nonostante la sua attività sia collocata in una zona di confine, tra Cercola e Ponticelli.
Il timore più grande è che i pregiudizi e la paura, all’indomani dell’ennesimo eclatante sussulto di camorra, possano allontanare i clienti, in un periodo storico di per sé già delicato per i ristoratori.
Già, perchè la camorra può distruggere ciò che gli sta intorno in tanti modi. Più o meno plateali. Con le bombe, ma anche con il silenzio.