Un magazzino di stoccaggio della droga allestito nella casa di un’anziana vedova in una zona isolata isolata del vesuviano fungeva da centro nevralgico nella catena di rifornimento delle prolifere piazze di spaccio della zona orientale di Napoli, all’interno del quale i carabinieri di Castello di Cisterna hanno rinvenuto 10 chili di hashish, 3 di marijuana e 900 grammi di cocaina, oltre a materiale vario per il confezionamento delle dosi e 40 proiettili cal. 9×21 mm.
Una scoperta che tanto rivela sull’organizzazione e la gestione del business per eccellenza della malavita locale, soprattutto perchè nell’ambito della stessa operazione sono scattate le manette per Elisabetta Esposito, la figlia del boss di Marigliano Luigi Esposito detto “lo sciamarro”. La donna che in passato era legata sentimentalmente a Tommaso Schisa, il figlio dell’ex Sarno Roberto Schisa e della “Pazzignana” Luisa De Stefano che nell’estate del 2019 ha deciso di collaborare con la giustizia, istigato proprio dalla Esposito che aveva ordito una sagace trappola. Intenzionata a vendicarsi dopo aver scoperto che il compagno la tradiva, la figlia dello “Sciamarro” ha indotto il giovane Schisa a credere di essere stanca di dover relegare il loro amore in quattro mura, manifestandogli la mancata volontà di attendere un decennio prima che per lui si potessero aprire le porte del carcere, convincendolo così a passare dalla parte dello Stat0, per poi piantarlo in asso.
Ciononostante, Schisa è rimasto fermo sulla sua decisione di collaborare ed ha rilasciato dichiarazioni destinate ad incidere non solo sullo scenario camorristico ponticellese, ma anche su quello dell’entroterra vesuviano, proprio perchè insieme alla Esposito viveva in pianta stabile a Marigliano ed era pertanto legato a filo doppio agli affari e agli interessi del clan capeggiato da suo suocero.
Una famiglia-clan, quella dello Sciamarro, che annovera tra i suoi ranghi anche la presenza di altri elementi di spicco della malavita locale, uno su tutti Salvatore Alfuso, pezzo da 90 della camorra vollese, arrestato all’alba di lunedì 4 aprile, insieme al boss di Ponticelli Marco De Micco ed altre 4 persone, accusate a vario titolo di aver partecipato alla pianificazione e all’esecuzione dell’omicidio del 23enne Carmine D’Onofrio, figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa.
Alfuso è stato poi rilasciato in quanto il G.i.p. ha ritenuto insussistenti gli indizi a suo carico.
Un ritorno in libertà annunciato e festeggiato sui social da sua sorella, la moglie del boss di Marigliano Luigi Esposito detto “Lo sciamarro”.
“Il leone è ferito ma non è morto, fratm (fratello mio) pochi minuti di buio ma sei tornato fra noi”, una frase esplicita, affiancata da emoticon che esprimono l’aria di festa che si respira in casa Alfuso-Esposito per la mancata convalida del fermo, unitamente ad altri simboli sinonimo di forza e potenza.
Salvatore Alfuso soprannominato ‘o fuso, elemento di spicco del clan Veneruso-Rea di Volla, oltre ad essere il cognato dello “Sciamarro” di Marigliano è legato dallo stesso vincolo di parentela anche a Pasquale Matarazzo, reggente dell’omonimo clan operante a Volla, costola dei Veneruso-Rea, oggi collaboratore di giustizia.
Il nome di Salvatore Alfuso è una costante che si ripete in diverse dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, oltre che nelle ordinanze finalizzate a sgominare il business della droga all’ombra del Vesuvio.
Per questo motivo il ritrovamento del “magazzino della droga” destinato a rifornire le piazze della zona orientale di Napoli, contestualmente all’arresto della nipote di Alfuso, Elisabetta Esposito, concorre a delineare uno scenario tutto da decifrare.
Negli anni in cui i De Micco erano impegnati nella faida per il controllo del territorio che ha poi portato alla loro consacrazione, soprattutto grazie a due omicidi eccellenti, come quello del ras del Lotto O Salvatore Solla e soprattutto della donna-boss del Rione Conocal Annunziata D’Amico, Pasquale Matarazzo aveva organizzato un gruppo capace di controllare Volla e dedito principalmente allo smercio di cocaina, insieme a Flavio Salzano, ex fedelissimo del clan D’Amico, poi passato dalla parte dei De Micco, approdato a Volla da latitante e ucciso in circostanze ancora da chiarire il 30 agosto 2016. Il gruppo nascente nel confinante comune di Volla, capeggiato anche da un ex sodale dei De Micco sembrava destinato a dare filo da torcere pure a questi ultimi che nella rapida ascesa della loro ex recluta iniziavano ad intravedere una concreta minaccia. Le acredini tra le due fazioni sono ben note negli ambienti malavitosi locali, così come è altrettanto risaputo che le velleità espansionistiche della costola dei Veneruso-Rea in relazione al confinante quartiere Ponticelli furono ridimensionate proprio dall’omicidio di Salzano che giunse nel momento più propizio per i De Micco: poche settimane dopo il blitz che decapitò il clan D’Amico e contestualmente alla diffusione di voci sempre più insistenti circa l’ipotesi che l’ex affiliato al clan dei Bodo stesse cullando l’idea di pentirsi.
Il suo cadavere fu trovato in seguito ad una telefonata anonima all’interno di un’auto parcheggiata in una zona isolata al confine tra Ponticelli e San Giorgio a Cremano. Seduto al lato guida, Salzano è stato freddato da diversi colpi indirizzati al volto ed esplosi a distanza ravvicinata. Una alla tempia, uno alla nuca, due in pieno viso. Probabilmente il killer ha sparato mentre gli era seduto accanto. Un’esecuzione a tutti gli effetti, compiuta per sfigurare Salzano, tant’è vero che il volto era irriconoscibile e l’identificazione del cadavere è avvenuta grazie alle impronte digitali.
Salzano muove i primi passi sulla scena camorristica tra le mura del suo comune d’origine, Volla. Una cittadina vicina e confinante con quel Rione Conocal dove si trasferisce, dopo un periodo di sparizione dal contesto malavitoso.
Il giovane acquista una casa all’interno del rione fortino del clan D’Amico, dove si rileva la presenza di dozzine piazze di droga. Dopo il blitz maturato a marzo del 2015 e che portò all’arresto di 52 persone, nel Rione Conocal e nelle intenzioni di Salzano, si rompe qualcosa: Salzano comincia a passare parte del ricavato delle piazze di spaccio agli acerrimi rivali del clan De Micco, venendo meno a quel diniego di pagare il pizzo “ai Bodo” che nell’ottobre del 2015 costa perfino la vita ad Annunziata D’Amico, la “donna-boss” reggente del clan di famiglia, in seguito all’arresto dei fratelli Antonio e Giuseppe.
Fu proprio “la passillona”, Annunziata D’Amico – così come trapela dalle intercettazioni – a scoprire che Salzano stava venendo meno a quell’imposizione che rappresentava la pietra miliare sulla quale si basavano le fondamenta del clan.
Salzano aveva fiutato che il clan capeggiato dalla passillona era destinato a capitolare al cospetto della dilagante forza dei De Micco e animato dal desiderio di vivere una “carriera in ascesa” non voleva inimicarsi quella squadriglia di giovani cattivi e pronti a tutto. Quando “la passillona” scopre la manovra occulta di Salzano lo caccia di casa e dal rione. In questo momento di difficoltà, Salzano viene aiutato proprio da alcune leve dei De Micco. Tuttavia, dopo qualche tempo anche i rapporti con i nuovi alleati si incrinano ed è per questo che durante la latitanza torna alla casa madre e cerca riparo e protezione tra le mura amiche di Volla.
Salzano, la sera in cui è stato ucciso, è stato attirato in una trappola da qualcuno che conosceva e di cui si fidava, tant’è vero che tutto lascia presagire che sia stato freddato dalla stessa persona che gli aveva dato appuntamento in quella strada isolata e che aveva fatto salire in macchina, inconsapevole del fatto che avrebbe poi estratto una pistola per giustiziarlo.
Negli anni in cui matura l’omicidio Salzano, Pasquale Matarazzo è una figura influente della malavita locale, dedito principalmente all’approvvigionamento di sostanze stupefacenti con un canale preferenziale che aveva stabilito con Secondigliano ed era riuscito ad entrare in affari con diversi clan influenti dell’ala orientale partenopea. Inoltre, il clan Matarazzo era riuscito a riciclare il denaro investendolo in una serie di attività, come una società di vendita di porte all’ingrosso a Quarto e una di abbigliamento e accessori a Saviano.
Non è difficile capire perchè abbia destato non poco scalpore la vicinanza di ‘o fuso al boss di Ponticelli Marco De Micco, emersa contestualmente al blitz che ha fatto scattare le manette per quest’ultimo.
Una notizia che ha sortito clamore, non solo per i rumors che da sempre attribuiscono ai De Micco l’omicidio di Salzano.
Un rapporto, quello tra i De Micco ed Alfuso che desta perplessità e sgomento per un motivo ben più eclatante: il cognato di ‘o fuso, Pasquale Matarazzo e sua moglie, Monica Morino – entrambi poi passati dalla parte dello Stato – si allearono con le “pazzignane” del rione De Gasperi, Michele Minichini e Bruno Mascitelli detto ‘o canotto per uccidere Luigi De Micco, il fratello maggiore di Marco, negli anni in cui era reggente del clan.
L’agguato, maturato il 10 novembre del 2016, scaturì dall’esigenza condivisa da tutti i clan che ordirono il piano: eliminare il nemico comune per appropriarsi di Ponticelli. Luigi De Micco, in quella circostanza, rimase ferito insieme ad un altro fedelissimo del clan dei Bodo, Antonio Autore. Chi conosce bene l’indole intransigente e tutt’altro che incline al perdono di Marco De Micco, stenta a trovare una motivazione plausibile in grado di legittimare un rapporto in essere con l’esponente di un clan che ha palesato evidenti segni di ostilità verso la sua famiglia-clan e che per giunta ha concretamente messo a repentaglio la vita di suo fratello.
Motivo per il quale il legame tra Marco De Micco e Salvatore Alfuso resta un enigma ancora da decifrare.