Un agguato voluto dalla mafia per diramare un esplicito segnale di forza, dentro e fuori dal carcere di Catania, quello in cui perse la vita l’agente penitenziario Luigi Bodenza.
La notte tra il 24 e il 25 marzo 1994 la Volkswagen in cui viaggiava Luigi Bodenza, agente di polizia penitenziaria che tornava a casa dopo una giornata di lavoro al carcere di Catania, fu affiancata da un’auto a bordo della quale c’erano i suoi sicari. I due spararono molti colpi d’arma da fuoco che mandarono in frantumi i lunotti laterali della vecchia auto che percorse ancora qualche metro, prima di essere ancora raggiunta dagli spari dei sicari che esplosero altri sei colpi: i proiettili colpirono Bodenza al volto e al tronco. L’agente penitenziario morì quasi subito.
Sposato con due figli, inizialmente frequentò la scuola di avviamento professionale e lavorò come idraulico per un’azienda nel Nord Italia. Successivamente al servizio di leva decise di partecipare al concorso indetto dalla Polizia Penitenziaria, vincendolo. Nel 1993 ottenne il trasferimento nel carcere di Catania.
Un omicidio voluto per alimentare una strategia di tensione e scontro diretto con lo Stato, commissionato dal boss di Cosa Nostra Giuseppe Maria Di Giacomo mentre gli esecutori materiali risultarono essere Salvatore Troina e Alfio Giuffrida. Quello di Bodenza fu un omicidio commissionato a tutti i costi senza preoccuparsi di chi doveva cadere. Non ci fu, infatti, una ragione specifica per cui fu scelto proprio lui. Fu una vittima emblematica, presa a caso per dimostrare a chi lavorava nelle carceri, ma anche a chi stava fuori, che la potenza di Cosa Nostra era ancora intatta anche dopo le grandi operazioni di polizia e magistratura che avevano portato dentro le sbarre moltissimi appartenenti alla mafia catanese.
Bodenza era una figura limpida, un uomo costretto ogni giorno a confrontarsi con esponenti mafiosi che in carcere cercano di riprodurre condizioni di privilegio di cui godono all’esterno.
Lo Stato ha conferito a Bodenza la medaglia d’oro al valor civile per il suo mirabile esempio di elette virtù civiche e di alto senso del dovere spinti fino all’estremo sacrificio ed ha onorato il suo sacrificio, con il riconoscimento concesso a favore dei suoi familiari, costituitisi parte civile nel processo, dal Comitato di solidarietà per le vittime dei reati di tipo mafioso. E’ stato, inoltre, riconosciuto dal ministero dell’Interno, “Vittima del Dovere”.