All’indomani dell’ordigno artigianale esploso nel cuore della notte in via Crisconio a Ponticelli, una notizia ben più fragorosa si diffuse rapidamente nel quartiere: la scarcerazione di Marco De Micco.
Leader e fondatore dell’omonimo clan, fratello di Salvatore e Luigi, entrambi detenuti, Marco De Micco detto Bodo è una delle figure camorristiche più influenti ed autorevoli dell’ala orientale di Napoli nell’era post-Sarno.
Classe 1984, Marco De Micco detto “Bodo”, fondò il suo clan proprio all’indomani del vuoto di potere generato dal pentimento dei fratelli Sarno con l’intento di irrompere sulla scena camorristica del quartiere ed appropriarsi del controllo dei traffici illeciti. Figlio di una famiglia modesta e dignitosa, estranea alle dinamiche camorristiche, quel giovane, poco più che 20enne, intravede nella malavita un’opportunità di business nella quale investire in un momento storico più che propizio.
In effetti, in breve tempo, seppure con un notevole dispendio di mezzi e di uomini impiegati in un’alacre faida contro i rivali del clan D’Amico, i fratelli De Micco sono riusciti nel loro intento, conquistando il controllo camorristico di Ponticelli.
Un piano criminale avviato da Marco, il più carismatico dei fratelli, in grado di adulare e conquistare centinaia di giovani, affascinati dal suo mito e per questo pronti ad abbracciare le armi per giurargli fedeltà eterna, poi rilanciato dai fratelli Salvatore e Luigi, proprio in seguito al suo arresto avvenuto il 10 maggio 2013. Marco De Micco fu arrestato durante un banchetto di nozze, in un ristorante in provincia di Napoli, nel bel mezzo di un ricevimento di nozze, al quale partecipava come invitato, sfoggiando un look da boss e un Rolex da oltre 30mila di euro. Uno status che nel gergo camorristico assume una connotazione ben precisa: era lui l’ospite d’onore della festa. Era lui “il boss”.
Arrestato all’età di 29 anni, a De Micco sono contestati i reati di estorsione e violenza privata aggravata in concorso. Secondo la Questura, De Micco, è da ritenersi il capo zona referente del clan camorristico Cuccaro-Andolfi per il quartiere di Ponticelli.
Gli sono addebitate estorsioni nei confronti di alcuni imprenditori operanti nel settore dei videogiochi da sala e del gioco scommesse on-line ai quali veniva imposto il pagamento di tangenti per poter svolgere le proprie attività imprenditoriali.
Per gli investigatori Marco De Micco era un vero boss, al comando di tutto: strategie, affari illeciti, azioni violente. Il capo indiscusso del sodalizio: questo il ritratto che di lui emerge nelle varie inchieste che l’Antimafia ha condotto sui “Bodo” di Ponticelli. Marco De Micco la “fama” del boss da idolatrare, rispettare e venerare l’ha costruita e conquistata, trasformando i giovani che lo affiancavano in un vero e proprio esercito di camorra e, al contempo, conquistando il controllo di zone cruciali del quartiere ed estendendo progressivamente le mire espansionistiche del clan, fino a conseguire il controllo dell’intera Ponticelli, saldamente custodito dai suoi fratelli fino al 23 novembre del 2017, allorquando quegli stessi poliziotti hanno messo la firma su un blitz che ha fatto scattare le manette per tutte le figure di spicco del clan dei “Bodo”.
Trasferito in un carcere di massima sicurezza nel febbraio del 2016, Marco De Micco è stato ritenuto troppo pericoloso per scontare una pena da “detenuto comune”. Finì così al 41bis, il regime detentivo più severo dell’ordinamento penitenziario, che eleva al massimo le restrizioni e i controlli e riduce al minimo i contatti del detenuto con l’ambiente interno ed esterno al carcere.
Una libertà che il fondatore del “clan dei tatuati” ha riabbracciato un anno fa: scarcerato durante la giornata di giovedì 19 marzo 2021, la notizia è stata festeggiata con un lungo spettacolo pirotecnico andato in scena in tarda serata, in prossimità dell’abitazione dello stesso De Micco.
Un colpo di scena che giunge nel momento più concitato della faida tra i De Martino – gli eredi del clan De Micco – e i Minichini-De Luca Bossa- Casella, i relitti dei clan alleati di Napoli est che scalzarono proprio “i Bodo” contestualmente al maxi-blitz che mise in ginocchio la cosca.
L’assassinio di Giulio Fiorentino, 29enne recluta del clan De Martino, fece registrare il primo omicidio nell’ambito della faida esplosa pochi mesi prima e che fino a quel momento si era combattuta a suon di avvertimenti, moniti e ferimenti. Poche ore prima della scarcerazione del boss, per l’appunto, in via Crisconio, arteria cruciale della zona di “San Rocco”, potenziale fortino del clan De Micco, un ordigno artigianale esploso nel cuore della notte aveva danneggiato diverse auto parcheggiate lungo la strada. Un episodio verosimilmente avulso dalla logica della faida tra clan, ma piazzato per regolare i conti tra i figli di due “uomini d’onore”, entrambi detenuti, tra i quali era volata qualche parola di troppo nei giorni precedenti.
Gli interpreti della malavita locale, così come i civili, si aspettavano che il leader del clan De Micco tornato in libertà si facesse carico dell’onere di responsabilità insito in quella faida, scendendo in campo in prima linea al fianco dei suoi eredi, i De Martino, per sedare la disputa, ma così non fu.
Consapevole delle rogne che si sarebbe accollato, ereditando gli strascichi di una faida che non sentiva sua, Marco De Micco resta impassibile a godersi lo spettacolo, dimostrando di aver affinato ulteriormente le sue doti di abili stratega durante il periodo detentivo. Un’esigenza dettata anche da un’altra circostanza. Non appena si diffuse la notizia del ritorno in libertà di “Bodo”, gli scagnozzi del clan Minichini-De Luca Bossa presero di mira la sua abitazione, inscenando vere e proprie ronde, intenzionati a chiudere un conto perennemente aperto con la famiglia De Micco: l’omicidio del 19enne Antonio Minichini, figlio della lady-camorra Anna De Luca Bossa del boss Ciro Minichini, maturata proprio per mano dei killer del clan De Micco.
In quel momento storico, in virtù dello scenario fortemente incerto che trovò ad accoglierlo, “Bodo” comprese che restare inerme osservando il naturale corso degli eventi fosse l’atteggiamento più saggio da adottare.
Una strategia che si è rivelata premiante, in virtù degli arresti che di lì a poco hanno rimaneggiato sensibilmente entrambe le compagini, delineando un flebile scenario, orfano di vincitori, che ha concorso a designare le circostanze più propizie per il suo ritorno alla ribalta.
Senza eccessive difficoltà, Marco De Micco è riuscito a riconquistare il controllo del territorio. Un’egemonia consolidata a suon di azioni eclatanti e che tuttora seguita ad ostentare, tenendo sotto scacco i focolai camorristici ostili e suscitando vivo timore nella gente comune.