Una sentenza attesa per 27 anni dai parenti delle quattro vittime innocenti che la sera dell’11 novembre 1989 persero la vita solo perchè si trovavano nel Bar Sayonara a Ponticelli, quando un commando di killer del clan Sarno fece irruzione per eliminare l’affiliato ad un clan rivale.
Un agguato che doveva stroncare sul nascere le velleità del clan Andreotti e al contempo fungere da replica all’omicidio di un affiliato alla cosca del Rione De Gasperi, Vincenzo Duraccio, freddato dai killer il 6 ottobre dello stesso anno, mentre si trovava all’interno del negozio “Italia 90”. L’obiettivo principale dell’agguato, infatti, era Antonio Borrelli, un fedelissimo di Andrea Andreotti detto o’ cappotto che, mentre il boss Ciro Sarno era detenuto, aveva risposto male al fratello Giuseppe “’o mussillo”. Un pretesto che fa da sfondo ad uno scenario ben più ampio e che conduce alla guerra tra clan per il controllo dei business illeciti che in quegli anni vanno ben oltre il mero spaccio di droga: racket delle estorsioni, tangenti, toto-nero, subappalti della ricostruzione e opere pubbliche. Un piatto ricco e succulento al quale nessuna delle due compagini vuole rinunciare.
Determinanti nel ricostruire le fasi salienti dell’agguato, le dichiarazioni rese dal mandate della strage, il boss Ciro Sarno, una volta passato dalla parte dello Stato: “Non volevo che venissero coinvolte persone innocenti. È una strage che ancora mi pesa. Anche in ragione del fatto che, sebbene sia stato il mandante dell’azione, di certo non volevo gli esiti che poi si sono avuti. Prima che i killer partissero venni chiamato da parte da mio cugino Pacifico Esposito, che era preoccupato per il fatto di aver notato che quelli di Barra erano tutti drogati e quindi poco lucidi per un’azione del genere. Gli dissi di non preoccuparsi e diedi il via all’azione. Le prime notizie che mi giunsero, portatemi da mio cugino Esposito Giuseppe, erano drammatiche per due ordini di ragioni, sia perché mi diceva che non era stato ucciso nessuno degli uomini dell’Andreotti sia perché mi aggiungeva erano state uccise persone innocenti. Solo successivamente si apprese che invece, era rimasto a terra, oltre a quattro vittime innocenti, anche Borrelli Antonio, ed era stato colpito Vincenzo Meo, che morì dopo qualche giorno in ospedale”.
Le vittime designate erano due uomini di Andreotti: Antonio Borrelli e Vincenzo Meo, che furono finiti con il classico colpo di grazia alla testa. Le quattro vittime innocenti invece sono Gaetano De Cicco, Domenico Guarracino, Salvatore Benaglia e Gaetano Di Nocera.
Fine pena mai per undici imputati: Ciro Sarno, Antonio e Giuseppe Sarno, Giovanni, Ciro e Gennaro Aprea, Vincenzo Acanfora, Luigi Piscopo, Gaetano Caprio, Roberto Schisa, Pacifico Esposito. Sedici anni per Giuseppe Esposito.
Un verdetto definitivo scaturito grazie al contributo fornito dalle deposizioni dei fratelli Ciro, Giuseppe, Vincenzo, Pasquale e Luciano Sarno, tutti collaboratori di giustizia.
Un pentimento, quello dei Sarno, che ha generato un vero e proprio terremoto all’interno delle famiglie d’onore legate al clan che non hanno voluto intraprendere la via del pentimento.
Una condanna che ha cambiato le sorti di tante vite. I familiari dei condannati all’ergastolo hanno tentato in tutti i modi di indurre i fratelli Sarno a ritrattare per evitare che i loro cari andassero incontro ad un ergastolo sicuro. E non hanno risparmiato le vite di altri innocenti per esortare i pentiti a ritrattare.
Le settimane precedenti all’atteso verdetto che giunse il 13 febbraio del 2016 furono infatti segnate da un’escalation di violenza. Nel mirino dei parenti degli imputati finirono i familiari dei Sarno che vivevano ancora a Ponticelli, convinti di essere immuni a ritorsioni e vendette, perchè estranei alle dinamiche camorristiche.
Quando in quel vortice di violenza finisce imbrigliata la vita di Mario Volpicelli, il cognato dei fratelli Sarno che si guadagna da vivere spaccandosi la schiena in una merceria, quella certezza crolla clamorosamente.
E’ la sera del 30 gennaio 2016, la vigilia di “San Ciro”. La malavita di Ponticelli augura buon onomastico a Ciro Sarno, il “pentito per eccellenza”, uccidendo come un boss il marito di sua sorella. Quel sabato sera, Mario stava rincasando al termine dell’ennesima giornata di lavoro. Stringeva le buste della spesa tra le mani quando fu freddato da un colpo alla testa.
Un omicidio che funge da avvertimento, ma anche da vendetta. Era ormai scontato che nulla potesse evitare agli imputati di andare incontro a quel destino già scritto. La sentenza che sarebbe giunta dopo due settimane dall’omicidio Volpicelli, era già scritta. Andava solo resa ufficiale.
Una condanna all’ergastolo incassata soprattutto per punire la morte di 4 vittime innocenti, lavata con il sangue di altre vittime innocenti.
Nelle settimane seguenti, la sera tra il 7 e l’8 marzo, anche Giovanni Sarno, il fratello disabile ed alcolizzato dei Sarno, andò incontro allo stesso destino di suo cognato Mario.
Freddato nel sonno all’interno della sua abitazione, un basso nel Rione De Gasperi di Ponticelli, l’ex fortino del clan fondato dai suoi fratelli. “Giannino” non chiudeva mai la porta di casa per permettere alle sorelle di portagli il cibo. Nessuno avrebbe mai immaginato che qualcuno potesse uccidere proprio lui, il più inoffensivo dei fratelli Sarno.
Una vendetta che si sarebbe protratta ulteriormente, mietendo altre vittime, se i familiari dei Sarno non fossero stati costretti a lasciare il quartiere per entrare in un programma di protezione.