Gli esiti di un recente studio sul Vesuvio, nello specifico sulle possibilità di un’imminente eruzione, consegnano notizie rassicuranti. Un team di ricercatori dell’ETH di Zurigo ha realizzato lo studio anche grazie alla collaborazione con ricercatori italiani, fornendo informazioni inedite pubblicate sulla rivista Science Advances.
Per la loro analisi i ricercatori hanno preso in considerazione quattro eruzioni:
- l’eruzione di Avellino avvenuta 3950 anni fa. È la più potente, quella che rappresenta il classico “scenario peggiore”. Fu un evento catastrofico che distrusse diversi piccoli centri abitati dell’età del bronzo. Prende il nome dal fatto che sono stati trovati depositi di pietre pomici risultanti dalla stessa eruzione nell’area di Avellino.
- L’eruzione del 79 d.C., quella più nota che seppellì Pompei ed Ercolano e che fu dettagliatamente descritta da Plinio il Giovane.
- L’eruzione del 472 d.C., detta anche eruzione di Pollena. Produsse una caduta di materiale abbastanza intensa su un’area abbastanza larga. Fu più debole dell’eruzione del 79 d.C. ma comunque più potente della recente eruzione di Tonga, giusto per inquadrare ciò di cui si parla.
- Eruzione dell’8890 a.C., un’eruzione più forte di quella del 472 d.C.
Il team di ricercatori, guidato da Jörn-Frederik Wotzlaw, l’autore principale dello studio, e dal professore Olivier Bachmann, ha analizzato in particolare l’età dei cristalli di granato che si trova nei depositi vulcanici del Vesuvio. Si tratta di un minerale che si forma nel magma e che ancora oggi si trova incorporato nella camera magmatica della crosta superiore del vulcano.
Capire l’età dei granati fornisce informazioni sui periodi di tempo durante i quali il magma rimane nella camera prima che ci sia una eruzione. Di solito per effettuare questa stima si fanno le analisi degli zirconi, un altro tipo di materiale che si trova nelle rocce ignee. Tuttavia, come spiega il comunicato dell’ETH, il magma del Vesuvio risulta troppo alcalino per analisi del genere.
Per effettuare l’analisi dei granati, i ricercatori hanno usato il rapporto tra gli isotopi uranio-238 e torio-230.
Sono quindi giunti alla conclusione che il magma fonolitico, il tipo di magma più esplosivo, si trova immagazzinato nel serbatoio della crosta superiore per alcune migliaia di anni prima dell’afflusso che poi innesca una eruzione.
I ricercatori hanno calcolato che il magma fonolitico è rimasto incorporato nella camera per circa 5000 anni prima delle due eruzioni preistoriche (l’eruzione di Avellino e l’eruzione dell’8890 a.C.). È rimasta invece immagazzinata per soli 1000 anni prima delle soluzioni del 79 d.C. e del 472 d.C..
Bachmann spiega che il Vesuvio è caratterizzato da un sistema idraulico molto complicato in cui una grande quantità di magma fonolitico che attualmente si trova nella crosta superiore sembra aver bloccato la risalita del magma più primitivo e più caldo posto più sotto. Diverse indagini sismiche, infatti, suggeriscono che sotto il Vesuvio c’è un largo serbatoio con una profondità di 6-8 km.
A fronte delle analisi che hanno effettuato e dei dati che hanno usato, i ricercatori credono che non sia probabile che il Vesuvio stia accumulando magma fonolitico, quello esplosivo e più pericoloso.
Secondo Wotzlaw, l’eruzione del 1944, avvenuta quasi ottant’anni fa, potrebbe comunque aver dato inizio ad un periodo di quiescenza prolungato, un periodo durante il quale si sta comunque accumulando del magma differenziato.
I dati inoltre suggeriscono che un’eruzione come quella della 79 d.C., dunque una abbastanza pericolosa, probabilmente necessita di un periodo di quiescenza molto più lungo. Un’eruzione di questo tipo, dunque, non dovrebbe avvenire a breve, probabilmente dovrebbero passare dei secoli di quiescenza dopo il 1944.
Lo stesso Wotzlaw però aggiunge che eruzioni come quella del 1944, più debole di quella del 79 d.C. ma comunque da non sottovalutare, o come quella del 1631, abbastanza simile a quella del 1944 in termini di potenza, potrebbero comunque verificarsi dopo periodi di quiescenza più corti.
Queste eruzioni più deboli di quella del 79 d.C. potrebbero però essere in parte previste grazie al monitoraggio che oggi si effettua e che potrebbe prevedere il risveglio del serbatoio di magma.