Nell’estate del 1936, il San Francisco News chiese a John Steinbeck di indagare sulle condizioni di vita dei braccianti spinti in California dalle regioni centrali degli Stati Uniti, soprattutto dall’Oklahoma e dall’Arkansas, a causa delle terribili tempeste di sabbia e dalla conseguente siccità che avevano reso sterili quelle terre coltivate a cotone. Il risultato di quell’indagine fu una serie di articoli da cui l’autore americano generò, tre anni dopo, nel 1939, il romanzo Furore.
Quell’esperienza giornalistica, umana e politica è diventata grande letteratura e oggi un potentissimo Massimo Popolizio le presta corpo e voce, nell’adattamento firmato da Emanuele Trevi.
In Furore, così come nel suo fortunato Ragazzi di vita, andato in scena nel 2019 al Teatro Bellini, Popolizio si ritaglia il ruolo del narratore onnisciente per raccontare la più devastante migrazione di contadini della storia moderna, dando vita a un one man show epico e lirico, realista e visionario, drammatico e ironico, a cui i suoni dal vivo del percussionista Giovanni Lo Cascio e lo schermo su cui sono proiettati artwork e foto d’epoca in bianco e nero donano un interessante effetto cinematografico. Il risultato è un lavoro senza tempo, che racconta le dinamiche dell’ingiustizia sociale attraverso le storie e le emozioni dei singoli. Tutto, nel suo lungo racconto, sembra prendere vita con i contorni più esatti e la forza d’urto di una verità pronunciata con esattezza e compassione.
Quell’esperienza giornalistica, umana e politica è diventata grande letteratura e oggi un potentissimo Massimo Popolizio le presta corpo e voce, nell’adattamento firmato da Emanuele Trevi.
In Furore, così come nel suo fortunato Ragazzi di vita, andato in scena nel 2019 al Teatro Bellini, Popolizio si ritaglia il ruolo del narratore onnisciente per raccontare la più devastante migrazione di contadini della storia moderna, dando vita a un one man show epico e lirico, realista e visionario, drammatico e ironico, a cui i suoni dal vivo del percussionista Giovanni Lo Cascio e lo schermo su cui sono proiettati artwork e foto d’epoca in bianco e nero donano un interessante effetto cinematografico. Il risultato è un lavoro senza tempo, che racconta le dinamiche dell’ingiustizia sociale attraverso le storie e le emozioni dei singoli. Tutto, nel suo lungo racconto, sembra prendere vita con i contorni più esatti e la forza d’urto di una verità pronunciata con esattezza e compassione.
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