I sicari della camorra entrati in azione la scorsa notte a Ponticelli hanno scritto una delle pagine più tristi della storia malavitosa di Napoli est.
Travolto da una pioggia di proiettili, sull’uscio della sua abitazione, in via Luigi Crisconio, all’altezza del civico 51, il 23enne incensurato Carmine D’Onofrio.
Il giovane è deceduto poco dopo l’arrivo al pronto soccorso dell’ospedale Villa Betania. Troppo gravi le ferite riportate. Sette i bossoli calibro 45 repertati sul luogo della tragedia dai Carabinieri della compagnia di Poggioreale e del Nucleo investigativo di Napoli che indagano per far luce sull’accaduto, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia.
Il 23enne stava rientrando insieme alla compagna, incinta di 8 mesi. I sicari non hanno esitato ad entrare in azione neanche al cospetto della donna in dolce attesa.
Un delitto efferato, sia per le modalità d’esecuzione, con i colpi esplosi a bruciapelo e a distanza ravvicinata, sia per la scelta del bersaglio finito nel mirino di killer, cinici ed esperti. Carmine D’Onofrio era il figlio illegittimo di Giuseppe De Luca Bossa, fratello del sanguinario boss ergastolano Tonino ‘o sicco. Malgrado quel legame di sangue con una figura di spicco della malavita locale, tornata in auge di recente, dopo un periodo trascorso lontano da Napoli, il 23enne, a carico del quale non risultano precedenti, era estraneo alle dinamiche camorristiche.
Tutti a Ponticelli sapevano che Carmine era il figlio di Peppino De Luca Bossa, anche se non portava quel cognome che da decenni nel quartiere è sinonimo di camorra. Tra i due intercorreva un buon rapporto e il ras di Ponticelli non nascondeva affatto l’identità di quel giovane, anzi. Con orgoglio e fierezza lo presentava come suo figlio, gli voleva bene e lo frequentava abitualmente.
Un legame di sangue costato la vita ad un ragazzo di 23 anni che tra un mese sarebbe diventato padre di un bambino. Carmine e la sua compagna aspettavano con ansia la nascita di quel figlio, al quale intendeva dare proprio il nome del nonno.
Muore così a 23 anni un ragazzo estraneo alle dinamiche camorristiche per assecondare le logiche di una faida infinita che necessitava di alimentarsi del sangue che scorreva nelle sue vene, quello dei De Luca Bossa.
Si allunga così l’elenco delle vittime innocenti collezionate dai De Micco tra i ranghi della famiglia De Luca Bossa.
L’omicidio di Carmine D’Onofrio, infatti, riporta alla mente quello di Antonio Minichini, figlio di Anna De Luca Bossa e del boss Ciro Minichini, giustiziato a 19 anni, la sera del 29 gennaio 2013.
A tenere banco, in quel momento storico, era la faida tra i De Micco e i D’Amico. Quella sera, i sicari del clan De Micco, capeggiati da Salvatore De Micco, – fratello di Marco, attuale reggente del clan – entrarono in azione in via Arturo Toscanini, nel Rione Conocal, bunker dei D’Amico. Reale ed unico obiettivo dell’agguato era Gennaro Castaldi, amico di Antonio Minichini. Il giovane figlio di due figure di spicco della malavita di Napoli est venne ucciso solo perchè era seduto sullo stesso scooter sul quale si trovava il giovane contiguo al clan D’Amico.
Seppure appartenente ad una famiglia camorristica di spicco del quartiere, Antonio Minichini era estraneo alle dinamiche malavitose. Desiderava una vita diversa, lontano dagli spari, dal sangue e da quelle stesse logiche che, invece, hanno spento per sempre i suoi sogni, all’età di 19 anni.