Una sacca di sangue invece delle due necessarie per la trasfusione. Centinaia di pazienti talassemici o con altre patologie ematiche impossibilitati a ricevere regolari trasfusioni. Carenza cronica di sangue. Personale medico e infermieristico insufficiente nei centri trasfusionali. Associazioni di donatori escluse dagli ospedali, proprio quando il loro apporto sarebbe stato prezioso. Istituzioni regionali e sanitarie silenti e indifferenti alle richieste di cittadini, pazienti e associazioni. Un caos sanitario e organizzativo che va avanti ormai da quattro anni. È il quadro disastroso, indegno di un Paese civile, dei centri trasfusionali in Campania, descritto da Enrico Martinelli, fondatore del Comitato “A Nostra Difesa” e consigliere della United Onlus, la Federazione Italiana della Thalassemia, Emoglobinopatie rare e Drepanocitosi, che rappresenta 25 organizzazioni locali e regionali, oltre 4500 pazienti sparsi su tutto il territorio nazionale.
La carenza di sangue riguarda un po’ tutti gli ospedali campani, ma particolarmente gravi sono i disagi dei circa duecento talassemici in cura alla UOSD di Malattie Rare del Globulo Rosso dell’A.O.R.N. “Cardarelli” di Napoli. «Vorrei precisare – prosegue -che il personale medico e infermieristico del reparto, da annoverare tra quelli di eccellenza, fa di tutto per cercare di rispettare i protocolli e fornire un’assistenza adeguata. Ma al “Cardarelli”, in alcuni periodi dell’anno, i pazienti, specie quelli con il gruppo sanguigno 0, hanno ricevuto una sola sacca di sangue a fronte delle due necessarie. L’ospedale non garantisce le trasfusioni ai talassemici come, invece, il “Ruggi d’Aragona” a Salerno e il “Vanvitelli” a Napoli. Più di un paziente ha dovuto recarsi in un’altra struttura per la terapia emotrasfusionale. Occasionalmente, fino allo scorso marzo si sono avuti dei rinvii della terapia. Notizia di oggi, alcune persone sono state rimandate a casa per mancanza di sacche di sangue. Situazioni, queste, che mettono a rischio la salute dei pazienti, ne peggiorano la qualità della vita e aumentano i costi a carico della Sanità pubblica. I pazienti, infatti, sono costretti a ripetere le trasfusioni a scadenze più ravvicinate, moltiplicando il numero di accessi in reparto e in Day Hospital. Il che si traduce in giornate di lavoro perdute per i pazienti e disagi per le loro famiglie». Questi disagi sono stati denunciati a gran voce anche dal Garante del diritto alla salute della Campania, Giuseppe Fortunato.
Non c’è nemmeno la scusante del Covid a giustificare la grave crisi dei servizi trasfusionali. L’emergenza pandemica ha comportato un calo delle donazioni di sangue e il trasferimento di medici prelevatori in altri reparti, ma i disagi risalgono almeno al settembre 2017. «I problemi – spiega Martinelli – sono cominciati quando i protocolli di donazione sono cambiati. E si è fatto poco o nulla per rimediare. Come è potuto accadere che una regione virtuosa nella raccolta sangue, che nel 2016 esportava materiale ematico, si sia ritrovata in poco tempo a vivere uno stato di crisi e di emergenza permanente che dura ormai da quasi quattro anni? Lo abbiamo chiesto alle istituzioni nazionali, al presidente della Regione Campania, all’Assessorato regionale, ai vertici della Sanità campana, ai direttori delle Aziende Ospedaliere. Non ci hanno mai risposto. Solo a luglio, dopo aver preannunciato che ci saremmo rivolti all’autorità giudiziaria se non avessimo avuto riscontri, la Direzione sanitaria del “Cardarelli” ha risposto, elencando gli interventi effettuati, le convenzioni in corso di attuazione e qualche vaga promessa d’impegno futuro». Troppo poco per tranquillizzare centinaia di pazienti che ogni giorno vedono negato il proprio diritto alla salute.
Eppure basterebbe programmare, applicare le buone pratiche già in uso in altre regioni. «Emergenza sangue? Vale per i mesi estivi – spiega Martinelli – Ma qui l’emergenza comincia a gennaio e si ripresenta a ondate per tutto l’anno. I talassemici sono pazienti cronici. Le trasfusioni sono programmate. Il fabbisogno di sangue è noto, così come i gruppi sanguigni necessari. In quattro anni, non si è riusciti a individuare soluzioni efficaci e a programmare interventi strutturali e di lungo termine. Abbiamo assistito solo a misure “tampone”, in un’ottica emergenziale. Come le convenzioni e le compensazioni interregionali attivate in ritardo, i centri di raccolta sangue nelle caserme per militari e forze dell’ordine, gli appelli a donare fatti quando la gente è già partita per le vacanze. Misure che, come era prevedibile, non hanno dato risultati. Alle emoteche, predilette dalla Regione, bisognerebbe affiancare un maggior numero di centri fissi accreditati. Servono un’attenta programmazione della raccolta in base ai piani terapeutici e massicce campagne di sensibilizzazione. In passato hanno dato risultati eccellenti. E invece nulla è stato fatto».
«Chiediamo con urgenza un incontro con i decisori politici e le istituzioni sanitarie regionali – dice Raffaele Vindigni, presidente United – per conoscere e concordare quali soluzioni e strategie intendano attuare per risolvere un problema che si trascina oramai da troppo tempo. Trovo inaccettabile e inspiegabile il silenzio delle istituzioni campane. I pazienti talassemici e con patologie del sangue che vivono quotidianamente sulla loro pelle una situazione insostenibile meritano e hanno diritto alle risposte. Vogliamo capire, trovare insieme delle soluzioni e siamo disposti ad andare fino in fondo per ottenere ciò che vogliamo. Ci auguriamo che, attraverso una fase di dialogo che finora non c’è stata, si possano superare le difficoltà e si riesca finalmente a restituire la serenità e il diritto alla salute a centinaia di pazienti campani».