“Allarmante la personalità degli imputati nonostante la loro giovane età: la sconcertante perpretazione di gravi reati posti in essere in un’inquietante escalation di illegalità, l’adesione a modelli comportamentali devianti, l’esaltazione delle droghe e l’ostentazione di armi e denaro quali simboli di affermazione documentati dalle immagini rinvenute sui loro telefonini, evidenziano la indubbia capacità criminale di entrambi”. E’ quanto si legge nelle motivazioni della sentenza dei giudici della prima Corte d’Assise di Roma, presieduta da Marina Finiti, con cui il 5 maggio scorso hanno condannato all’ergastolo i due americani Finnegan Lee Elder e Christian Gabriel Natale Hjorth per l’omicidio del vicebrigadiere dei carabinieri Mario Cerciello Rega ucciso con undici coltellate il 26 luglio del 2019. Una sentenza che aveva accolto le richieste della procura di Roma con il pm Maria Sabina Calabretta.
“Entrambi al processo continuano a manifestare sostanziale distacco dalle vicende di quella notte e dal loro tragico epilogo, mai manifestano segni concreti di ravvedimento, nessuna rielaborazione in chiave critica di quelle condotte, al contrario fanno di tutto per diminuire le loro obiettive responsabilità. Nessun atteggiamento convinto e convincente di rielaborazione critica di quanto commesso, nessun pentimento. A fronte di tali risultanze non si ravvisano elementi positivamente apprezzabili per riconoscere le circostanze attenuanti generiche. I due imputati hanno agito all’interno di un programma condiviso e voluto da entrambi, l’azione delittuosa inizia insieme e termina insieme”, scrivono ancora i giudici.
“Sia Elder che Natale infatti, hanno agito secondo un programma preordinato in cui l’evento letale costituisce una prevedibile, probabile conseguenza della condotta attivamente posta in essere da due correi – sottolineano i giudici nelle 346 pagine di motivazioni – che hanno integralmente condiviso i fatti di quella sera”. “Nel caso in esame deve escludersi la sussistenza di un atteggiamento difensivo. I due imputati sono ben consapevoli di trovarsi in una situazione di illiceità da loro stessi provocata e dalla quale non possono ritenersi legittimati ad uscire mediante il ricorso a una simile violenza, non siamo di fronte ad una reazione armata ma al contrario ad un’azione finalizzata all’offesa volta ad evitare il verosimile arresto da parte delle forze dell’ordine intervenute sul posto e qualificatesi”.