Un’età compresa tra i 20 e i 24 anni, barbe folte, tatuaggi vistosi e il bisogno di ostentare sui social la fedeltà al clan “XX”: questo l’identikit dei quattro giovani arrestati a Ponticelli durante il primo pomeriggio di martedì 18 maggio, sul cui capo pende l’accusa di minacce aggravate dal metodo mafioso perpetrate ai danni dei gestori delle piazze di spaccio di Ponticelli. Sono loro gli esecutori materiali del piano ordito dal clan De Martino per inasprire i toni della faida in corso dallo scorso settembre e che vede il cartello camorristico costituito dai giovani che riconoscono in quella doppia X un simbolo d’appartenenza per il quale sono pronti a dare la vita, contrapporsi ai De Luca Bossa-Minichini-Casella.
Quattro reclute, quattro soldati, quattro storie che raccontano tanto della vita e del destino dei ragazzi nati e cresciuti in realtà come Ponticelli e tra le quali spicca la storia del “Gabibbo”, Vincenzo Di Costanzo.
23 anni compiuti lo scorso 11 novembre, Vincenzo Di Costanzo proviene da una famiglia umile e modesta che con la malavita non ha mai avuto niente da spartire. Gente abituata a spaccarsi la schiena per poco più di 20 euro al giorno, pur di non sporcarsi le mani con la droga.
“Gabibbo” è uno di quei ragazzi dall’indole tutt’altro che cattiva, ma che risente del peso dell’assenza di una vigile guida in grado di seguirlo negli studi, tant’è vero che a 16 anni inizia a lavorare come garzone in una macelleria del Parco Conocal. Guadagnava 120 euro a settimana, meno di 500 euro al mese, 20 euro al giorno. Davanti a sè, il Gabibbo vedeva una prospettiva di vita che, di giorno in giorno, somigliava sempre di più ad un punto interrogativo, ma sapeva farsi bastare quello che aveva e conduceva un’esistenza serena, tranquilla, felice.
Vincenzo Di Costanzo era il figlio di una famiglia onesta che frequentava ragazzi come lui. La camorra fungeva da sfondo alla sua vita, ma non c’era nessun contatto.
I ragazzi che lo hanno frequentato e vissuto negli anni dell’adolescenza, lo descrivono come un giovane generoso, umile, uno di quelli che danno il cuore alle persone che portano nel cuore. In molti pensavano che potesse essere omosessuale, perchè trascorreva gran parte del suo tempo con le ragazzine.
La scintilla tra il Gabibbo e la malavita la fa scoccare una ragazza, probabilmente quella sbagliata. Di Costanzo inizia a frequentarsi con la figlia di una donna che nell’isolato 3 del rione De Gasperi di Ponticelli tiene ben salde tra le mani le redini di una prolifera piazza di spaccio. Il macellaio lo licenzia ed è la sua fidanzatina a dargli un aiuto economico, ma come recita un vecchio proverbio “nessuno fa niente per niente”.
La ragazzina ufficializza la loro unione, presentandolo alla mamma e al suo compagno e fu così che Gabibbo finisce nel giro della droga. Tra i palazzoni del Rione De Gasperi si vocifera che la madre di Di Costanzo lo cacciò di casa, probabilmente perchè non approvava quell’unione, ma di fatto, così facendo, lo ha gettato in pasto alla malavita. Trasferitosi in pianta stabile in quella casa adibita a piazza di spaccio, il Gabibbo ben presto divenne un fedele e servile pusher, funzionale alla causa della suocera.
Dopo qualche tempo, per Di Costanzo, poco più che maggiorenne, scattano le manette e dopo qualche anno trascorso in carcere, gli vengono concessi gli arresti domiciliari.
Un marchio indelebile che gli sporca la fedina penale, ma il Gabibbo non sembra preoccuparsene, perchè dall’abitazione del rione De Gasperi nella quale sta scontando il resto della pena, continua a spacciare e ben presto finisce nuovamente in carcere.
Tornato in libertà, Di Costanzo è costretto ad andar via dal Rione De Gasperi, in seguito ad un diverbio con un giovane vicino alla famiglia delle “Pazzignane” ed è così che trova ospitalità ed accoglienza nel feudo dei De Martino, diventandone una fedele e servile recluta.
Il passaggio tra le fila dell’organizzazione camorristica rifondata sui relitti del clan De Micco, ispirandosi alle cruente gesta del killer ergastolano Antonio De Martino, il Gabibbo lo ufficializza palesando una sorta di “rottura con il passato”, creando anche un nuovo account sui social, quasi a voler annunciare l’inizio di una nuova vita.
L’affiliazione di Di Costanzo conferma l’attività di scouting compiuta dalla famiglia De Martino, quando all’indomani del blitz che ha fatto scattare le manette per le 23 figure di spicco del clan De Micco, sorse la necessità imminente di reclutare manovalanza per cercare di preservare quantomeno il controllo dei bunker controllati da questi ultimi. Non solo i giovani del rione Fiat, il fortino del clan De Martino, nati e cresciuti nel mito di Antonio “XX”, ma anche giovani facilmente influenzabili ed affascinati dalla figura carismatica di quest’ultimo. Un cordone umano erto a difesa dell’erede del clan de Martino, l’unico membro della famiglia ancora a piede libero. Un ragazzino nemmeno maggiorenne che sente forte il peso del cognome che porta e che gli grava sulle spalle come un macigno. Troppo acerbo e inesperto per guidare un clan, seppure spetti a lui lo status di “capo”, contornato da una solida cerchia di giovani esaltati da mandare al macello, pur di preservare l’incolumità del baby-De Martino.
Scaricato dalla famiglia e lontano da quel rione sinonimo di casa, Vincenzo Di Costanzo si disfa dei fantasmi di quel passato fatto di gioie semplici, come rifocillarsi dalle fatiche del pellegrinaggio al Santuario della Madonna dell’Arco, mangiando patatine in compagnia degli amici e cancella i tratti teneri ed acerbi del giovane garbato e dall’animo buono che tutti conoscevano, per sfoggiare un aspetto più cattivo, grazie alla barba folta, necessaria per sentirsi parte di quella “nuova famiglia” che riconosce in quella doppia X il senso più compiuto da conferire all’esistenza di ciascun affiliato. Vincenzo Di Costanzo smette di essere “il Gabibbo” e diventa “uno degli XX”.
Il murales-simbolo del clan, di recente cancellato in via Montale, diventa uno degli sfondi preferiti da Di Costanzo per scattarsi selfie da gettare in pasto ai social. Dopo circa due anni vissuti da clan satellite dell’egemone sodalizio tra le vecchie famiglie d’onore di Napoli est, a settembre del 2020, gli XX rompono gli accordi, perchè non più disposti ad accontentarsi di un’esigua fetta della torta farcita con i proventi dei traffici illeciti.
Scoppia così una faida di camorra, nell’ambito della quale sono i ragazzi come Di Costanzo ad avere la peggio. Quelli che sono confluiti tra le fila di quel clan esaltati all’idea di avere qualcosa in cui credere e una motivazione in grado di dare un senso a quelle vite, spente, assopite, marchiate da piccoli precedenti. La voglia di dimostrare di essere all’altezza delle aspettative di un camorrista vero come Antonio De Martino è tanta e rende i giovani contigui al clan XX irriverenti, sfrontati, incoscienti, inconsapevoli di andare incontro alla morte o forse, più che consapevoli, ma disposti a “morire da eroi”, pur di sfuggire a quella vita spenta e precaria.
Da garzone di macelleria a factotum di un clan camorristico. Di Costanzo mette la firma su diverse azioni eclatanti: è lui a contattare Rosario Rolletta, durante i concitati attimi che hanno segnato la notte in cui maturò la decisione di quest’ultimo di passare dalla parte dello Stato. Di Costanzo gli telefona, pur non avendo un appuntamento, gli chiede di scendere sotto casa, in tarda serata, perchè si trova lì e lo sta aspettando. Rolletta intuisce che c’è qualcosa che non va, seppure quel giovane sia una recluta del suo stesso clan d’appartenenza. Dopo l’agguato al quale è sopravvissuto, Rolletta non si fida di nessuno e nutre il forte sentore che la sua testa sia il prezzo da pagare per consentire agli XX di tornare a stringersi la mano con i Minichini-Casella-De Luca Bossa. Inventa una scusa, dice di non essere in casa, ma di lì a poco si accorge che Di Costanzo non è solo: dallo spioncino della porta, nota che è in compagnia di altri “XX” e sono armati. Motivo per il quale, Rolletta telefona ai carabinieri per esternare la sua volontà di diventare un collaboratore di giustizia.
Di Costanzo, seppure sia ancora vivo, è la recluta del clan XX ad aver pagato il prezzo più alto nell’ambito della faida in corso.
Durante la tarda serata di sabato 13 marzo, mentre si trova seduto su una panchina in via Esopo, bunker del clan De Martino, insieme a Giulio Fiorentino, “Giulione” come lo chiamavano tutti, viene sorpreso dall’incursione dei killer del clan rivale. I due vengono travolti da una pioggia di proiettili. Giulione, 29enne ex pescivendolo, paga con la scelta di lasciarsi affascinare dalla chiamata alle armi, mentre Di Costanzo resta ferito. Uno dei proiettili però, gli perfora un testicolo e i medici dell’ospedale del Mare di Ponticelli si vedono costretti a sottoporlo a due interventi chirurgici a distanza ravvicinata e soprattutto è necessario asportargli quel testicolo.
Una ferita indelebile, con la quale Di Costanzo sarà costretto a convivere per tutta la vita, ma non è abbastanza. Neanche quell’agguato scalfisce la sua volontà di seguitare a servire il clan XX.
All’indomani di quell’agguato in cui ha perso la vita “Giulione”, per la mente occulta del clan XX, trasformare il dolore in rabbia e la paura in desiderio di vendetta è stato fin troppo facile.
Tuttavia, acclarata la superiorità bellica del cartello camorristico rivale, a fronte di un morto e tre feriti incassati, la mente pensante del clan partorisce una strategia acuta che palesa tutta la sua esperienza in materia di malavita. Una mossa strategica voluta per preservare le vite dei soldati, pur non rinunciando alla necessità di mettere in ginocchio i nemici.
Una strategia che, ancora una volta, è Di Costanzo ad attuare, insieme agli altri giovani soldati del clan: minacciare i gestori delle piazze di spaccio del quartiere, puntandogli le pistole in bocca o alla testa, per fermare il business più redditizio di Ponticelli. Niente droga, niente soldi: è tutto fermo, fino a quando la disputa in corso non decreterà un clan egemone.
Per questo motivo, Di Costanzo è finito nuovamente in carcere nel primo pomeriggio di martedì 18 maggio.
Un testicolo e la sua libertà: questo il prezzo pagato dal 23enne per assecondare il piano ideato per assecondare il sogno preso in prestito da uno spietato killer della camorra.