Ad inasprire la faida di camorra riesplosa a Ponticelli, concorrono soprattutto gli episodi, meno fragorosi, ma molto più eclatanti che avrebbero portato il sodalizio composto da diversi clan della zona orientale partenopea a perdere la bussola, fino a giungere alla conclusione che la “tattica delle bombe” poteva essere l’unica soluzione da adottare per ridimensionare la brama di potere del clan De Martino.
Due “stese” nel Rione Lotto 0, storico arsenale del clan De Luca Bossa, una durante il pomeriggio di sabato 8 maggio e l’altra il giorno successivo, domenica 9 maggio, avrebbero indotto il gruppo camorristico in lotta con i De Martino a piazzare il primo ordigno, esploso intorno alle 23.30 di lunedì 10 maggio per appagare la necessità di mettere la firma su una replica eloquente. Disintegrata l’auto noleggiata da Francesco Clienti detto Tatà, parcheggiata in via Vera Lombardi, strada che costeggia il cosiddetto “Parco di Topolino”. Il 55enne suocero di uno dei fratelli De Martino, nonchè personaggio noto negli ambienti della malavita locale, è finito nel mirino dei Minichini-De Luca Bossa con il chiaro intento di inviare un messaggio intimidatorio al clan del quale risulta essere parte integrante.
La sera successiva, poco prima di mezzanotte, la malavita ponticellese ha mandato in scena lo stesso copione: da un’auto che percorreva la rampa della statale che sovrasta via Esopo, quartier generale del clan De Martino, sono state lanciate due bombe che hanno arrecato ingenti danni alle auto parcheggiate lungo la strada.
I clan intenzionati a costringere gli “XX” – sigla identificativa del clan De Martino – a deporre le armi, si vedono costretti ad alzare il tiro perchè questi ultimi stanno mettendo in campo una strategia a dir poco insidiosa, imponendo ai gestori delle piazze di spaccio di fermare le vendite a suon di minacce. Stoppando il business d’oro sul quale si fonda l’economia criminale del quartiere è tutto sempre più in bilico e le logiche malavitose rivendicano che, in un modo o nell’altro, a Ponticelli si giunga a decretare la leadership di un’organizzazione per ristabilire un nuovo equilibrio.
Tuttavia, l’episodio più rilevante avvenuto tra una bomba è l’altra, porta la firma dei De Martino e per una fortuita casualità non ha sancito la morte di un pezzo da 90 del clan Minichini-De Luca Bossa.
Un agguato mancato, solo perchè la pistola si sarebbe inceppata: questo il motivo per il quale la cosca del Lotto O avrebbe optato per l’esplosione del terzo ordigno, poco dopo le 23 di giovedì 13 maggio, ancora una volta in prossimità dell’abitazione di Tatà.
Nel mirino dei killer del clan De Martino, la figura apicale del cartello Minichini-De Luca Bossa, intercettato mentre transitava in auto lungo via delle Metamorfosi, nei pressi di via Curzio Malaparte, strada che conduce al Rione de Gasperi, ex bunker del clan Sarno. L’uomo si trovava in auto con la madre e la figlia, seduta accanto a lui. I killer gli avrebbero puntato l’arma alla tempia e non avrebbero esitato a premere il grilletto, seppure la pistola si sia clamorosamente inceppata. Neanche la presenza della bambina avrebbe dissuaso i sicari del clan XX dall’entrare in azione. Se dall’arma fosse partito il colpo, il proiettile, dopo aver perforato la tempia dell’uomo, avrebbe sicuramente raggiunto la piccola, seduta accanto a lui.
Un episodio destinato a non passare in sordina e che ha fatto schizzare la tensione alle stelle, concorrendo a far saltare gli equilibri, di per sè sempre più precari. Il clan Minichini-De Luca Bossa giura vendetta e non fa niente per nascondere il desiderio di punire quell’intenzione, stoppata solo da un clamoroso imprevisto e che ha sancito l‘ennesimo, clamoroso sventato agguato, figlio di una fortuita casualità. L’ultima di una lunga serie di azioni delittuose che non si sono tradotte in omicidi perchè l’arma ha fatto cilecca. Un dato di fatto che conferma la scarsa dimestichezza con le pistole da parte degli “improvvisati aspiranti leader della camorra” che animano le fila del clan De Martino. Giovani “alle prime armi”, senza esperienza, ma sopraffatti da un incontenibile senso di esaltazione che li fa sentire invincibili.