Una sfilza di palloncini bianchi, alcuni dei quali riproducono la corona di un Rosario, lasciati volare all’esterno della chiesa di San Giuseppe, in via Fausto Coppi nel Rione Incis di Ponticelli, quartier generale del clan De Martino: così amici e conoscenti hanno festeggiato il 30esimo compleanno di Giulio Fiorentino, ucciso in un agguato lo scorso 13 marzo.
Una commemorazione alla quale hanno partecipato tanti giovani del rione in cui Fiorentino era cresciuto. “Giulione”, come lo chiamavano amici e conoscenti, è fin qui l’unico “soldato” ad aver perso la vita per assecondare le logiche della faida che, a fasi alterne, dallo scorso ottobre, seguita a tenere banco a Ponticelli.
Una morte che ha inflitto un durissimo colpo al clan De Martino, nato sui relitti del clan De Micco tra la fine del 2017 e i primi mesi del 2018 per appagare l’esigenza di contrastare l’ascesa dei Minichini-De Luca Bossa.
Ideatore ed ispiratore della fazione camorristica forgiata a immagine e somiglianza del suo credo camorristico, Antonio De Martino, soprannominato “XX”, cinico killer del clan De Micco è un giovane che ha fatto della malavita il principio ispiratore della sua esistenza. Figlio di Carmela Ricci e del ras Francesco De Martino, Antonio è il primo di tre figli cresciuti a pane e camorra. Suo fratello Giuseppe è detenuto così come suo Francesco che fu vittima di un agguato durante un permesso premio nel 2018: un episodio cruciale che conferma la perenne intenzione dei rivali di contrastare l’ascesa del clan “XX” che ha ereditato il nickname di Antonio De Martino, una figura camorristica che ha assunto un ruolo cruciale nel determinare le dinamiche che tuttora si avvicendano nel quartiere. Con il supporto della madre, Carmela Ricci, detta “donna Lina”, scarcerata di recente, Antonio “XX” De Martino ha dettato tempi e strategie al clan capeggiato dal fratello minore.
Una figura carismatica che ben presto è riuscita a beneficiare della fama del cattivo dal quale è bene tenersi alla larga, Antonio De Martino è stato condannato all’ergastolo per due pesantissimi omicidi che hanno segnato la faida che ha poi portato alla consacrazione del clan De Micco: quello di Salvatore Solla detto ‘o sadico, ras del Lotto O, fedelissimo dei De Luca Bossa che ha pagato con la vita il diniego di corrispondere la tangente sulla piazza di spaccio che gestiva e soprattutto quello della donna-boss Annunziata D’Amico, reggente dell’omonimo clan.
Antonio De Martino non è solo un killer dal sangue freddo, ma anche un facinoroso che facilmente perde le staffe, uno di quelli che sa “usare le mani” e che avrebbe contribuito a consolidare l’egemonia del clan De Micco convincendo imprenditori e commercianti a cedere alle minacce estorsive a suon di violenti pestaggi. Motivo per il quale era più comodo e facile chiamarlo “XX”, evitando così di pronunciare il suo nome a voce alta. Anche dietro le sbarre Antonio De Martino continua a far paura e seguita ad essere percepito come “un capo da rispettare.”
Agli occhi dei giovani cresciuti in quella che ormai è stata ribattezzata “la zona di XX”, Antonio De Martino è un idolo, temuto ed ammirato, perchè si è sempre fatto rispettare, perchè è andato incontro ad una rapida ascesa, anche se questo lo ha portato ad incassare due fine pena mai nel giro di pochissimo tempo. “XX” ha vissuto sulla cresta dell’onda gli anni di massimo splendore, ostentando quello stile di vita al quale mirano i giovani cresciuti nella desolazione di una periferia che poco o nulla ha da offrire ai “figli della strada”.
Antonio De Martino ha creato un brand camorristico caratterizzato da una serie di peculiarità: le barbe folte e i tatuaggi, sulla falsa riga di tutte le organizzazioni emergenti napoletane costituite da giovanissimi, al pari degli orologi costosi e degli abiti griffati da ostentare per far venire l’acquolina in bocca alle potenziali reclute da assoldare.
Le serate in discoteca, i viaggi, le gite in barca, le cene nei ristoranti lussuosi, le domeniche allo stadio: questo è quanto “XX” garantiva ai suoi sodali, in cambio di fedeltà eterna ed incondizionata.
Gli ordini di Antonio “XX” non si discutono, si eseguono e basta.
Facendo leva sul desiderio di riscatto di giovani inesperti in materia di malavita e che fino a quel momento si erano macchiati la fedina penale con reati minori, come furti, rapine o spaccio di stupefacenti, in seguito al suo arresto, Antonio De Martino ha allestito il “cerchio magico” che ha riportato in gloria il clan di famiglia e che tuttora seguita a fungere da scudo per preservare l’incolumità del fratello minore.
Con le figure apicali del clan De Micco costrette al carcere, “XX” placa l’esigenza di contrastare l’ascesa dei Minichini-De Luca Bossa assoldando manovalanza tra i giovani del rione, molti dei quali rispondono alla chiamata alle armi per non essere costretti a convivere con l’imbarazzo di vedersi schernire, perchè apostrofati come “uomini senza attributi”. Altri ancora vedono in “XX” una sorta di illuminato, il messia della camorra atterrato a Ponticelli per indicare la strada della consacrazione ai giovani disperati e senza speranza cresciuti tra la desolazione e il degrado di rioni-bunker. La paura viene smorzata e tamponata esaltando e galvanizzando quelle reclute acerbe ed insicure, inculcandogli un sogno condiviso: vedere la bandiera degli “XX” sventolare su Ponticelli. Conquistare il quartiere per acciuffare quella vita da leader, all’insegna dello sfarzo e del benessere, in grado di ripagare appieno le umiliazioni, gli stenti e le privazioni che segnano le giornate dei giovani di periferia, ancor più dopo il periodo vissuto in balia del clan rivale. Il richiamo di quella doppia X è talmente persuasivo che riesce perfino ad attirare giovani del quartiere che vivevano in altri rioni, ma affascinati dal carisma e dalla tempra criminale di Antonio De Martino, quel leader della camorra che gode di una fama leggendaria e che ha assunto le fattezze di un vero e proprio mito agli occhi dei giovani che strizzano l’occhio alla malavita.
Malgrado la carcerazione, Antonio De Martino si rivela un abilissimo mental coach, capace di far brillare di luce riflessa il fratello minore, garantendogli rispetto e credibilità, pur consapevole che non disponga della tempra camorristica confacente ad un vero boss e pertanto lo blinda, servendosi degli altri soldati, utilizzati come veri e propri scudi umani. Per quelle pecore mandate al macello, afferrare la pistola per mettere la firma su un’azione eclatante è un onore, un motivo di vanto, oltre che un’azione edificante, in grado di rendere il doveroso tributo alla mente ispiratrice delle loro gesta.
La strategia di Antonio De Martino si rivela vincente, perchè è riuscita a preservare l’incolumità del fratello minore che tuttavia beneficia dello status di reggente del clan di famiglia. In preda a questa logica, a finire nel mirino dei killer del clan rivale, quando scoppia la faida con i Casella-De Luca Bossa a settembre del 2020, sono sempre e solo “giovani vicini al ras De Martino”: Salvatore Chiapparelli detto “Toporecchia”, Fabio Risi, Rodolfo Cardone, Vincenzo De Costanzo detto “O’ gabibbo” e soprattutto Giulio Fiorentino, l’unico soldato ad aver perso la vita per consentire agli XX di conquistare Ponticelli.