Rientra nel vivo la faida tra clan per il controllo del territorio a Ponticelli. Un clima di tensione che non si è mai del tutto sedato, malgrado la protratta assenza di agguati e spari.
La ripresa delle ostilità è stata ufficializzata da un fragoroso episodio: un ordigno fatto esplodere poco dopo la mezzanotte di lunedì 10 maggio. La bomba ha mandato in frantumi una Smart parcheggiata in strada, in via Luca Pacioli e di proprietà di un personaggio di spicco della malavita locale, residente nelle cosiddette “case di Topolino”.
La vettura divorata dalle fiamme è riconducibile a Francesco Clienti detto “Tatà”, 55enne suocero di uno dei tre fratelli De Martino. La camorra ha rotto gli indugi per mettere la firma su un raid esplicito che assume le temibili connotazioni dell’agguato a scopo intimidatorio, ancor più per il fatto che pare sia stato preceduto da una sequenza di spari, quella che nel gergo camorristico viene definita “stesa”, accompagnata da una frase ben chiara: “Qua comandiamo noi”.
Una frase che lascia spazio a poche ipotesi investigative in merito all’identità degli autori del raid: il cartello Casella-De Luca Bossa che dallo scorso settembre è impegnato a preservare l’egemonia territoriale, tenendo a bada il malcontento del clan De Martino, intenzionato a scalzare il clan subentrato ai de Micco tra la fine del 2017 e i primi mesi del 2018.
Gli “XX”, questo il marchio di fabbrica del clan De Martino, ereditato dal soprannome di Antonio De Martino, mente dell’organizzazione capeggiata dal fratello più piccolo, sotto le direttive da lui impartite, malgrado la carcerazione, sono un’organizzazione composta da giovani cresciuti in via Montale e nella zona del Rione Incis che hanno ceduto al richiamo delle armi per soddisfare l’esigenza di scongiurare l’estinzione del clan De Micco, all’indomani del blitz che fece scattare le manette per 23 fedelissimi della cosca dei tatuati, tra i quali spiccava anche il nome di Antonio De Martino, killer temutissimo dell’organizzazione. Un giovane con la tempra da camorrista che godeva della massima fiducia da parte dai fratelli De Micco. Tant’è vero che il boss Luigi De Micco, temendo gli esiti di un arresto che di giorno in giorno diventava sempre più imminente, indicò proprio il giovane XX come suo predecessore, destinato quindi ad ereditare le redini del clan quando per lui sarebbero scattate le manette. Un presagio che ha trovato riscontro nella realtà, ma che ha introdotto un inaspettato colpo di scena, in quanto tutte le figure apicali del clan, compreso Antonio De Martino, sono state tradotte in carcere insieme al boss, fondatore del clan insieme ai fratelli Marco e Salvatore De Micco.
Il clan De Martino si quindi è rifondato sui relitti del clan De Micco, sotto la sagace ed esperte regia di Antonio De Martino e di sua madre, Carmela Ricci detta “donna Lina”. Gli “XX” hanno tentato di contrastare la forza egemone dei clan alleati – Minichini-Schisa-De Luca Bossa – ma sono stati costretti a capitolare, pur preservando il controllo delle storiche roccaforti: Rione Incis e Rione Fiat, in primis.
Limitandosi a curare i traffici illeciti nelle loro zone da “stipendiati” del clan egemone, i De Martino hanno garantito un equilibrio camorristico durato fino allo scorso settembre. Il mancato accordo rispetto al sussidio da garantire alle famiglie dei detenuti, la motivazione che ha portato alla rottura tra gli “XX” e il sodalizio camorristico costituito dalle vecchie famiglie d’onore di Napoli est, messe alla berlina dai De Micco.
Una faida che ha fin qui penalizzato i De Martino: ben quattro gli agguati subiti da questi ultimi che hanno messo la firma su un’unica replica, seppure eclatante, che ha portato al ferimento di Luigi Aulisio, cognato dei fratelli casella, reggenti dell’omonimo clan.
Gli “XX” hanno subito il ferimento di Rodolfo Cardone, Rosario Rolletta – oggi collaboratore di giustizia – e soprattutto il duplice agguato in cui è rimasto ferito Vincenzo Di Costanzo, mentre Giulio Fiorentino ha avuto la peggio. Proprio la morte di quest’ultimo avrebbe inflitto la stangata più dura da digerire per la compagine camorristica costituita principalmente da giovani con piccoli precedenti a carico e con scarsa dimestichezza in materia camorristica. Un’inesperienza che i giovani aspiranti leader della malavita locale stanno pagando a un prezzo altissimo, ma ciononostante ad inasprire la faida mai placata è subentrato anche il desiderio di vendetta.
Far pagare ai rivali la morte di Fiorentino, quell’amico giustiziato all’età di 29 anni, seguita ad essere l’intenzione cavalcata dai De Martino e sbandierata anche e soprattutto sui social network, dove i giovani dalle barbe folte e con il corpo intriso di tatuaggi sovente fanno riferimento al “giorno della vendetta”.
Una velleità percepita dai Casella-De Luca Bossa che stanno braccando i giovani XX, proprio come era accaduto nei mesi scorsi, durante i quali si sono registrati anche diversi mancati agguati, dovuti a “problemi tecnici”, come l’inceppamento della pistola quando i sicari entrarono in azione per colpire Risi e “Toporecchia”. Per questo motivo, dopo la bomba indirizzata al suocero di De Martino, a meno di 24 ore di distanza, i ras di Ponticelli hanno alzato il tiro, mettendo la firma su un altro raid eclatante, nuovamente rivolto al clan XX.
Intorno alle 23 di martedì 11 maggio, due ordigni sono stati lanciati dal tratto di rampa della SS 262 dir al di sopra di via Esopo, in direzione del fortino dei De Martino.
Proprio via Esopo è stata frequentemente teatro di episodi eclatanti, di recente, ed è proprio lì che i sicari entrarono in azione per uccidere Fiorentino lo scorso marzo.
I due ordigni hanno danneggiato almeno 8 vetture parcheggiate lungo la strada, oltre ad un’automobile che transitava lungo la statale 262 al momento dell’esplosione. Illeso l’automobilista che si è comunque visto costretto ad arrestare la marcia per riprendersi dal comprensibile spavento provocato da quella surreale scena da far west.
Secondo quanto riferito dai residenti in zona, i due ordigni potevano essere indirizzati ad uno o più bersagli umani che sostavano lungo la strada teatro dell’accaduto al momento del raid. Quindi gli autori del gesto sarebbero entrati in azione per mettere la firma sull’ennesima intimidazione, animati dall’intento di stroncare la brama di potere e il desiderio di vendetta dei De Martino.