Un colpo di pistola conficcato nell’auto del padre di Fabio Risi, 28enne contiguo al clan “XX” di Ponticelli, potrebbe rappresentare il primo sussulto destinato a minare nuovamente la serenità del quartiere che nei mesi scorsi è stato teatro di una faida di camorra, combattuta a più riprese.
Il clima di calma apparente, improvvisamente calato sui rioni in odore di camorra a Ponticelli, all’indomani della bomba esplosa nel cuore della notte in via Crisconio lo scorso 19 marzo, sembra destinato a cedere il posto, per l’ennesima volta, alle logiche camorristiche che seguitano ad indurre i clan, in lotta per il controllo del territorio, ad abbracciare le armi.
Una pax armata interrotta da colpo di pistola calibro 7,65 conficcato nell’auto di un uomo incensurato, padre di uno dei giovani più vicini e fedeli alla famiglia De Martino: Fabio Risi, che spegnerà 29 candeline il prossimo 27 novembre e che lo scorso 26 settembre finì nel mirino dei rivali, mentre si trovava in compagnia di Salvatore Chiapparelli detto “Toporecchia”. In quella circostanza, i due giovani, ritenuti due fedelissime reclute dei fratelli De Martino, scamparono al fuoco nemico fortuitamente. Tutt’altra sorte rispetto a quella alla quale sono andati incontro l’amico Giulio Fiorentino e Vincenzo Di Costanzo nella notte tra il 6 e il 7 marzo scorso. Mentre Fiorentino ha perso la vita, Di Costanzo è stato condannato a convivere con le tragiche conseguenze di quell’agguato che ha costretto i medici dell’Ospedale del Mare di Ponticelli a sottoporlo ad un delicato intervento chirurgico per asportargli un testicolo.
Un duplice agguato che ha inflitto un durissimo colpo al clan XX che si è visto privare di un tassello fedele e prezioso, motivo per il quale la compagine composta da giovani tatuati e con folte barbe ha iniziato a manifestare i primi segni di cedimento al cospetto della forza palesata dal clan Casella che può beneficiare del supporto dei reduci del clan De Luca Bossa. Un’alleanza che consegna alla cosca di via Franciosa il prezioso vantaggio di beneficiare di ottimi killer, in grado di non far patire l’assenza di Giuseppe Righetto detto ‘o Blob, arrestato lo scorso 21 marzo e accusato di essere l’esecutore materiale di due dei tre agguati che hanno animato la prima parte della faida, andata in scena tra settembre e novembre del 2020. Nella fattispecie, a finire nel mirino di Righetto furono Rodolfo Cardone e Rosario Rolletta. Proprio le recenti dichiarazioni rese da quest’ultimo, in veste di collaboratore di giustizia, stanno concorrendo a far luce sui fatti di sangue che negli ultimi mesi hanno animato la faida tra i clan che si stanno contendendo la leadership di Ponticelli.
Saranno le indagini della Procura di Napoli a far luce sull’ultimo episodio andato in scena la notte scorsa, seppure pochi dubbi vi siano sul fatto che possa essersi trattato di un avvertimento rivolto a Risi.
Tantissime le foto che sui social ritraggono Fabio Risi in compagnia dei fratelli Antonio e Salvatore De Martino.
In particolare, Risi condivideva con “XX” – questo il soprannome di Antonio De Martino, poi esteso alla cosca nata sui relitti del clan De Micco, in seguito al blitz che a novembre del 2017 ha tradotto in carcere 23 figure di spicco dell’organizzazione – la passione per il calcio e per il Napoli, la squadra per la quale fanno il tifo.
A guardarli nelle foto pubblicate sui social, Risi e “XX”, sembrano due ragazzi come tanti, che si scattano un selfie, seduti sul divano, in attesa che l’arbitro fischi il calcio d’inizio dell’atteso match. In realtà anche facendo leva sulla fede calcistica dei giovani che lo circondavano, Antonio De Martino ha collezionato proseliti e ha rinsaldato i rapporti, trasformando gli amici in affiliati, i compagni di tifo, con i quali condivideva le domeniche allo stadio e i pronostici sulle squadre sulle quali scommettere, in fedeli e servili reclute.
Un’eredità raccolta dal fratello minore, quando per “XX” sono scattate le manette, proprio contestualmente agli arresti delle altre figure di primo ordine del clan De Micco. Difatti, il boss Luigi De Micco, ipotizzando il suo arresto imminente, designò Antonio De Martino come suo erede. Il killer più fidato, il braccio destro del boss, un uomo d’onore per antonomasia, figlio di una famiglia camorristica rispettata e temuta, supportata perfino dalla madre, Carmela Ricci, anche lei finita dietro le sbarre, al pari del marito Francesco – vittima di un agguato durante un permesso premio – e del fratello Giuseppe. Il boss De Micco non aveva preventivato che anche “XX” sarebbe andato incontro allo stesso destino.
L’onore/onere di colmare quel vuoto di potere, quindi, è ricaduto sul più giovane membro della famiglia De Martino che sotto le direttive del fratello Antonio – che malgrado la carcerazione avrebbe ampiamente adempito al ruolo di “mente” del clan- avrebbe guidato e capeggiato la faida che ha poi portato alla guerra senza esclusione di colpi con i Casella-De Luca Bossa.
Una guerra nata per conferire al clan “XX” il lustro e il prestigio di un tempo: un intento per il quale decine di giovani sono disposti a dare la vita, pur di non deludere le aspettative di Antonio De Martino, il giovane che con le sue sanguinarie gesta è stato capace di consegnare una motivazione nella quale credere e un sogno per il quale combattere ai giovani dei rioni come il Lotto 1o, il rione Fiat e il rione Incis, ovvero, rioni fantasma, fagocitati dalla dispersione scolastica e dalla disoccupazione, mettendo così in piedi un esercito di fedeli soldati per cui è meglio vivere un anno da leader maximo della camorra che una vita da aspirante lavoratore.