71 misure cautelari contro esponenti di camorra e ‘ndrangheta, sequestri di beni per un ammontare complessivo di circa un miliardo di euro: questi i dati che sintetizzano l’esito delle indagini condotte su una duplice direttrice investigativa dalle Direzioni Distrettuali Antimafia di Napoli, Roma, Reggio Calabria e Catanzaro – con il coordinamento della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e di Eurojust – che hanno fatto emergere la gigantesca convergenza di strutture e pianificazioni mafiose originariamente diverse nel business della illecita commercializzazione di carburanti e del riciclaggio di centinaia di milioni di euro in società petrolifere intestate a soggetti insospettabili, meri prestanome.
Impegnati nell’operazione, oltre mille militari dei rispettivi Nuclei PEF e dello SCICO della Guardia di Finanza, nonché su Catanzaro dei ROS dei Carabinieri.
L’operazione Petrol-mafie Spa ha consentito di appurare che il traffico illecito di carburanti può essere definito il nuovo business d’oro delle mafie, in grado di garantire il riciclaggio di ingenti somme di denaro, frutto di traffici illeciti, non solo nella economia legale per “ripulirlo”, ma anche nell’economia criminale per produrre ulteriori proventi illeciti, in questo caso specifico attraverso frodi fiscali nel settore degli oli minerali.
La fitta e complessa attività d’indagine che ha fatto scattare le manette per oltre 70 persone ritenute contigue alle cosche della camorra napoletana, oltre che della ‘ndrangheta calabrese, ha altresì smascherato una forte sinergia tra mafie e colletti bianchi, in questo modo i clan hanno messo le mani sul business della illecita commercializzazione di carburanti e del riciclaggio di centinaia di milioni di euro investendo in società petrolifere intestate a soggetti insospettabili, che altro non erano che dei meri prestanome.
Sul fronte anti-camorra hanno operato la DDA di Napoli e Roma concorrendo a far luce sul ruolo ricoperto dal clan Moccia e dalla Max Petroli SRL. Ne emerge un quadro piuttosto chiaro che colloca il clan Moccia una tra le più potenti e pericolose organizzazioni camorristiche del panorama nazionale, particolarmente abile nello stringere patti con esponenti di rilievo dei settori pubblico e privato per agevolare profittevoli investimenti di capitali illeciti nell’economia, legale e illegale.
A conferma dell’importanza attribuita al nuovo canale “legale” di investimento, a curare il business era un esponente di vertice del clan, Antonio Moccia, attraverso contatti, ampiamente intercettati, con l’imprenditore di settore Alberto Coppola, coi commercialisti Claudio Abbondandolo e Maria Luisa Di Blasio e col faccendiere Gabriele Coppeta. Infatti Coppola utilizzava nelle proprie relazioni commerciali la sua parentela con Antonio Moccia, presentandosi all’occorrenza come suo cugino.
La base logistica per lo svolgimento delle attività fraudolente era ubicata negli uffici napoletani di Coppola da dove venivano coordinate le commesse di materiale petrolifero e organizzato il giro di fatturazioni per operazioni inesistenti e i movimenti finanziari (esclusivamente on-line). Per il gruppo criminale, infatti, una volta disposti i bonifici relativi al formale pagamento del prodotto energetico sorgeva la necessità di monetizzare in contanti le somme corrispondenti all’IVA non versata all’erario dalle società cartiere.
Per la raccolta delle ingenti somme liquide derivanti dalla frode, il clan Moccia si avvaleva di una vera e propria organizzazione parallela, autonoma e strutturata, atta al riciclaggio di elevate risorse finanziarie, gestita da “colletti bianchi”, attiva sia sul territorio partenopeo che su quello romano. In pratica, le società “cartiere” gestite dal gruppo Coppola, una volta introitate le somme a seguito delle forniture di prodotto petrolifero, effettuavano con regolarità ingenti bonifici a società terze, simulando pagamenti di forniture mai avvenute. Quest’ultimo, mediante la propria organizzazione territoriale, provvedeva ai prelevamenti in contanti e alle restituzioni tramite “spalloni”. Nello svolgere tale attività, questo gruppo tratteneva per sé una percentuale su quanto incassato.
Si trattava, quindi, di soldi provenienti dalle attività illecite dei clan reinvestiti in un settore economico legale, quello dei petroli, per produrre altri proventi illeciti attraverso le frodi fiscali: un effetto moltiplicatore dell’Illecito che finisce per annichilire la concorrenza, sia per i prezzi alla pompa troppo bassi per gli operatori onesti, sia perché questi ultimi indietreggiano quando capiscono che hanno di fronte imprenditori mafiosi.
Come emerso dalle indagini, la rilevanza del business capeggiato dai Moccia nel settore degli oli minerali, nel quale quel clan era diventato egemone proprio grazie ai prezzi super-competitivi ottenuti grazie alle frodi, provoca reazioni anche violente da parte di altri clan della camorra. Alberto Coppola subisce due attentati con esplosione di colpi di pistola, a seguito dei quali non esita a chiedere aiuto al suo referente e parente Antonio Moccia che si attiva. Ne consegue una pax mafiosa, imposta dai Moccia e suggellata con la cessione di una quota dell’impianto di carburanti al clan Mazzarella.
Tant’è vero che tra i nomi delle 70 persone arrestate, spiccano quelli di Salvatore D’Amico detto “O’ Pirata”, nato a Napoli il 01/08/1973 e Francesco Mazzarella, nato a Napoli il 14.05.1971.
Nella fattispecie, i familiari di “o’ pirata” sarebbero proprietari di due stazioni di servizio nella zona di Napoli est. Inoltre, adottando il modello di business che tanti introiti ha fruttato ai Moccia, i Mazzarella hanno messo in piedi un’attività illecita ugualmente prolifera nella quale avrebbero investito diversi clan, soprattutto di Barra e Ponticelli, ma anche dei comuni vesuviani limitrofi.
Un dato confermato anche dalle intercettazioni che hanno portato all’arresto dell’imprenditore edile Salvatore Abbate detto “a’ cachera” che rivolgendosi all’ispettore Vittorio Porcini faceva riferimento alla necessità di recuperare un milione di euro versato nelle casse di Antonio Di Dato e Vittorio Esposito – rispettivamente genero di Luigi De Micco e figlio dell’ergastolano Pacifico Esposito – proprio per la compravendita di gasolio di contrabbando con l’intento di ammortizzare iva ed accise. Un business, quindi, consolidato e radicato in maniera capillare anche nell’area orientale di Napoli, presumibilmente sotto l’occhio vigile dei Mazzarella che seguitano a palesare una struttura camorristica consolidata e ben allestita, forgiata a immagine e somiglianza delle organizzazioni mafiose “old style” e ben lontano dal “Modello Gomorra”, ben più in voga tra i rioni capeggiati da squadriglie di giovani incapaci di spingersi oltre la mera attività di spaccio e le pratiche estorsive.
Diversi, dunque, i clan dell’ala orientale partenopea che avrebbero investito nel business del contrabbando del gasolio, oltre che nel riciclaggio di auto di lusso, comprando automobili importanti che poi fornivano in conto vendita a delle concessionarie.