Il 20 marzo 1994, a Mogadiscio, un commando uccideva l’inviata del Tg3 Ilaria Alpi e l’operatore Miran Hrovatin, che si trovavano in Somalia per documentare la guerra tra fazioni e lavorare ad un’inchiesta sul traffico d’armi e di rifiuti tossici.
Nata a Roma il 24 maggio 1961, Ilaria Alpi era una giornalista del TG3. Uccisa insieme all’operatore Miran Hrovatin, mentre si trovavano a Mogadiscio Nord a bordo della loro auto con l’autista e la guardia del corpo, entrambi illesi. Un commando, composto da sette persone, ha sbarrato loro la strada e ha aperto il fuoco. Si è trattato di un’esecuzione, anche se con gli anni si è cercato di screditare questa tesi. Termina così il settimo viaggio di Ilaria Alpi in Somalia, tornata lì per l’ennesima volta il 12 marzo 1994, insieme all’operatore Miran Hrovatin. Ci sono andati per seguire il ritiro del contingente italiano, ma non solo: ci sono andati per approfondire le notizie sui rifiuti tossici e il traffico d’armi sui quali la giornalista stava indagando.
L’aereo arriva a Ciampino alle 2 di notte del 22 marzo 1994. L’autorità giudiziaria non è presente ma si procede lo stesso: le salme vengono trasferite dalle bare metalliche a quelle di legno, ciò per ottemperare a norme sanitarie. Le due salme vengono separate: quella di Miran procede il suo viaggio a Trieste, quella di Ilaria Alpi viene trasferita nella camera ardente allestita dalla Rai a Saxa Rubra. Né la borsa di Ilaria né la valigia hanno più i sigilli: mancano i documenti medici, manca l’elenco degli oggetti personali che è stato stilato prima del viaggio. Inizia così un lungo calvario che infittisce le ombre ei misteri sulle circostanze in cui è maturata la morte di Alpi e Hvrovatin.
La salma di Ilaria Alpi, il 22 marzo 1994, viene sottoposta ad un esame esterno. Il consulente esterno scrive: “ferita penetrante al capo da colpo d’arma da fuoco a proiettile unico: mezzo adoperato pistola, arma corta […]“. Quanto ai mezzi che produssero il decesso, si identificano, in un colpo d’arma da fuoco a proiettile unico esploso a contatto con il capo. Il magistrato De Gasperis, primo a seguire l’inchiesta, ritenute esaurienti le risposte fornite dal medico, non dispone l’autopsia. Sarà anche necessario riesumare il corpo per effettuare l’autopsia per sedare il valzer di perizie contrastanti che confermano o smentiscono l’ipotesi dell’esecuzione.
Le indagini hanno subito il condizionamento di numerosi depistaggi, a cominciare da chi era presente sul luogo dell’agguato che cambierà continuamente versione, si faranno scomparire documenti importanti e tutto per chiudere il caso. Un caso che ha visto succedersi quattro magistrati, sino ad arrivare alla conclusione del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Roma, Emanuele Cersosimo, che contrasta con quella fatta dalla Commissione parlamentare d’inchiesta di febbraio del 2006 secondo la quale si è trattato di “un sequestro finito male”, che ha ristretto il campo d’azione sulla probabile pista da seguire, ovvero quella dell’omicidio su commissione. Seppure Ilaria sia stata uccisa da un commando di sette persone, l’unico “colpevole” è Ashi Omar Hassan, recluso al carcere di Rebibbia con l’accusa di concorso in duplice omicidio e che verrà poi scarcerato dopo una lunga battaglia, condotta anche e soprattutto da numerosi giornalisti, fortemente convinti della sua innocenza. Un omicidio voluto per impedire di diffondere le notizie da lei raccolte in ordine ai rifiuti tossici e ai traffici d’armi avvenuti tra Italia e Somalia.