Il caso Moro è una dei grandi gialli irrisolti della storia d’Italia, giunto al culmine di una “stagione di piombo” che si è protratta dal dicembre del 1969 all’agosto del 1980 in corrispondenza di due avvenimenti che hanno sconvolto la nazione: rispettivamente le stragi di Piazza Fontana (12 dicembre 1969) e della stazione centrale di Bologna (2 agosto 1980). In quest’intervallo di tempo, denominato “Anni di Piombo“, l’Italia intera fu colpita da gravi atti terroristici “neri” e “rossi”.
16 marzo 1978, Via Fani ore 9.05: ” Un nucleo armato delle Brigate Rosse ha catturato e rinchiuso in un carcere del popolo Aldo Moro, presidente della DC. La sua scorta armata, composta da cinque agenti. E’ stata completamente annientata…“.
Con questo comunicato le Brigate Rosse, il 17 marzo, rivendicano il sequestro del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, appena uscito da casa accompagnato da cinque uomini di scorta. I brigatisti fanno strage delle guardie del corpo (Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Raffaele Iozzino, l’unico che è riuscito a metter mano alla pistola, e Francesco Zizzi) poi rapiscono Moro e si dileguano.
Interi quartieri di Roma sono circondati e rastrellati casa per casa, casale per casale. Migliaia di persone e veicoli fermati e perquisiti. Il ministero dell’Interno ha diffuso un elenco dei sospetti terroristi, che viene trasmesso anche alla tv, Il presidente del Consiglio, Giulio Andreotti studia un piano anti-Br con i cinque segretari della nuova maggioranza: Zaccagnini (Dc), Berlinguer (Pci), Craxi (Psi), Romita (Psdi), Biasini (Pri). Al termine dell’incontro, Biasini è l’unico insoddisfatto: il Pri chiedeva un decreto d’urgenza con norme straordinarie. Gli altri hanno preferito procedere con cautela, incaricando un comitato di esperti perché valuti i provvedimenti e stabilisca la loro urgenza.
Due giorni dopo il sequestro, le BR hanno lasciato una busta gialla con il Comunicato numero 1, il primo di una lunga serie, e una fotografia di Moro. Nella Polaroid in bianco e nero, il presidente della Dc è ritratto di fronte, la testa leggermente reclinata, la camicia aperta sul collo. Sul fondo la bandiera con la stella a cinque punte e la scritta Brigate rosse. Nessun ricatto nel comunicato. Solo un lungo proclama politico e l’annuncio del «processo» a Moro nella «prigione del popolo».
È la prima volta nella storia della Repubblica che reparti militari, in assetto di guerra, vengono impiegati in un’operazione di polizia giudiziaria.
Politici, industriali, operai, studenti, casalinghe; tutto il Paese è stato, per cinquantacinque giorni, coinvolto in un drammatico evento che ha scosso l’immaginario collettivo, facendo venire meno quei punti di riferimento che la società si era data: Stato, Nazione, Chiesa.
La certezza che Moro non si sarebbe salvato era molto alta, al punto di giungere ad affermare che Moro non è morto il 9 maggio 1978 ucciso dai colpi della pistola di Mario Moretti; Aldo Moro “è morto” il 22 aprile, quando il Santo Padre Paolo VI, decise di rivolgersi alle BR:
“Ed in questo nome supremo di Cristo, che io mi rivolgo a voi che certamente non lo ignorate, a voi, ignoti e implacabili avversari di questo uomo degno e innocente; e vi prego in ginocchio, liberate l’onorevole Aldo Moro, semplicemente, senza condizioni”
La lettera che Paolo VI scrisse agli “uomini delle Brigate Rosse” fu pubblicata sull’Osservatore Romano e, stando alle testimonianze dei brigatisti, segnò fortemente l’animo del Presidente.
ll Papa si era già rivolto ai sequestratori e non aveva mai chiuso la porta del dialogo. Quel giorno però, l’appello di Paolo VI, mise la parola “fine” alle trattative. Fu la presenza di due parole, “Senza Condizioni”, che fece cadere nel vuoto le ultime speranze di liberazione.
La Dc, per tutto il periodo del sequestro, mantenne ferma la decisione di non trattare e tentando al tempo stesso un richiamo estremo ai terroristi: sollecitando un intervento esterno al partito e al governo, quello di un’organizzazione umanitaria per esempio, che si faccia megafono dell’appello.
Dopo una prigionia di 55 giorni, durante la quale Moro fu sottoposto a un ‘processo politico’ da parte del cosiddetto “Tribunale del Popolo“, istituito dalle Brigate Rosse, e dopo aver chiesto invano uno scambio di prigionieri con lo Stato italiano, lo statista fu infine ucciso.
Il suo corpo fu ritrovato a Roma il 9 maggio, nel bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata in via Caetani, una traversa di via delle Botteghe Oscure, a poca distanza dalla sede nazionale del Partito Comunista Italiano e da Piazza del Gesù, sede della Democrazia Cristiana.
Il sequestro Moro ha rappresentato una delle peggiori pagine del libro della storia Italiana, viene ricordato ancora oggi mediante una corona simbolica in via Fani, a Roma, nel luogo dove il leader della DC venne sequestrato dalle Brigate Rosse.