A meno di una settimana di distanza dalla notizia dell’arresto del sostituto commissario Vittorio Porcini – ora agli arresti domiciliari – che ha generato un vero e proprio terremoto a Ponticelli, quartiere in cui l’ispettore di polizia gode di un’ottima fama, a tenere banco sono i rumors di quartiere, ma anche la diffusione di ricostruzioni dei fatti distorte ed inesatte, volte più a gettare fango ed ombre sulla reputazione dello stimatissimo poliziotto e, di riflesso, sulle forze dell’ordine. Non stupisce affatto che la malavita locale abbia fatto tesoro del preziosissimo assist fornito dalla magistratura per screditare la credibilità dell’esponente delle forze dell’ordine più rispettato, temuto ed ammirato a Ponticelli, affinchè la collettività possa perdere fiducia nelle istituzioni e nello Stato.
La camorra in queste ore si sta servendo di fake news e della manipolazione distorta dei fatti di cui Porcini è accusato per insinuare dubbi e minare la credibilità di quell’ispettore che per 40 anni ha goduto della fama del poliziotto integerrimo per consentire al verbo della malavita di guadagnare terreno, gettando fango ed ombre sull’intera vicenda.
Il nome dell’ispettore di Ponticelli è emerso nell’ambito della maxi-inchiesta che ha acceso i riflettori sulla Sma Campania, società in house della Regione Campania che si occupa di risanamento ambientale, ed orientata, tra le tante cose, a far luce sul business dello smaltimento illecito di rifiuti, giungendo alla ricostruzione di un complesso intreccio tra politica, imprenditoria e criminalità. Tra gli imprenditori coinvolti nell’inchiesta figura anche Salvatore Abbate detto “Totore ‘a cachera” ed è proprio il rapporto confidenziale emerso tra quest’ultimo e Porcini ad aver indotto gli inquirenti a sviluppare un filone investigativo parallelo. Ovvero, insospettiti dal fatto che Abbate citasse continuamente il sostituto commissario, le fiamme gialle hanno avviato un altro filone investigativo, volto ad appurare la natura di quel rapporto. Una vicenda che si sviluppa secondariamente allo smaltimento illecito di rifiuti, dunque.
Secondo gli inquirenti il sostituto commissario avrebbe fornito informazioni riservate rispetto a indagini in corso, che non riguardavano, però, l’attività sommersa di Abbate, che agli occhi di tutti era un affermato imprenditore edile, con un passato chiacchierato e tormentato, ma che era sempre riuscito a provare la sua estraneità ai fatti contestati. Accusato – insieme ad altre 5 persone – di aver praticato un’estorsione alla ditta dedita alla costruzione del centro commerciale di via Argine, Abbate è stato scagionato da ogni accusa.
Seppur legato da un vincolo di parentela al clan Sarno – in quanto cugino di Patrizia Ippolito, moglie di Vincenzo Sarno – negli anni d’oro della cosca del Rione De Gasperi, ‘a Cachera viveva in condizioni disagiate. Gli abitanti del rione, detentori della cosiddetta “memoria storica” dell’ex buker dei Sarno, ricordano che negli anni di massimo splendore della cosca, Abbate si recava nel rione per chiedere “un sussidio” ai fratelli Sarno, esibendo un’immagine ben diversa da quella attuale: abiti modesti, zoccoli al piede, alla guida di un’auto trasandata. Riusciva a comprare da mangiare, letteralmente grazie all’elemosina dei boss. Una ricostruzione fortemente in contraddizione con lo status di “elemento di spicco” o “affiliato al clan Sarno” che gli viene attribuito, non solo da chi in queste ore ha interesse ad infangare la figura di Porcini per ringalluzzire le quotazioni della camorra. Che Abbate abbia costruito la sua carriera facendo leva su quel vincolo di parentela, viene rimarcato proprio dal suo soprannome: “‘a cachera”. L’atteggiamento sborone e spocchioso con il quale Abbate millantava la vicinanza ai Sarno, ben spiega il modo di fare di un uomo che con la stessa foga amava farsi vanto dell’amicizia tra lui e Porcini. Principalmente perchè, avendo la possibilità di fare “i soldi veri”, Abbate mirava a discostarsi dagli ambienti malavitosi per ripulire la sua immagine anche e soprattutto per beneficiare di una credibilità utile a supportare la sua scalata sociale. Questo, agli occhi degli abitanti di Ponticelli che conoscono bene entrambe le parti coinvolte nella vicenda, appare chiarissimo. Verosimilmente, Abbate si è servito della credibilità di Porcini per allontanare lo spettro della paura e delle minacce estorsive, soprattutto facendo “girare quella voce” nel quartiere, proprio come ha fatto agli albori della sua carriera, millantando un ruolo all’interno del clan Sarno e un rapporto confidenziale con le figure cardine della cosca che in realtà non ha mai ricoperto.
Dalle intercettazioni emerge che Abbate consultava il sostituto commissario per conoscere l’esito delle indagini scaturite da una denuncia per estorsione che aveva sporto presso il commissariato in cui Porcini prestava servizio fino a pochi giorni fa.
Contrariamente a quanto i clan locali stanno affermando con forza con il chiaro intento di minare la reputazione e la credibilità del sostituto commissario di Ponticelli, Porcini non ha mai “coperto” o favorito lo sversamento illecito dei fanghi in mare, supportando condotte volte ad inquinare l’ambiente, in cambio di denaro.
L’ispettore Porcini, nel corso di una carriera lunga 40 anni, non si è mai occupato di reati ambientali nè ha mai condotto indagini relative allo smaltimento illecito di rifiuti.
Gli agenti Vittorio Porcini e i colleghi Domenico Brenzi e Domenico Sabatino, – ai danni dei quali è stata disposta la sospensione dal servizio per sei mesi per aver rivelato al sostituto commissario di essere intercettato – non hanno mai condotto “indagini per conto proprio”, perchè assoldati da Abbate, per favorire il business dello smaltimento illecito di rifiuti. Gli inquirenti hanno acceso un riflettore su diverse conversazioni intercorse tra Porcini e Abbate e su alcune affermazioni rilasciate da quest’ultimo ad alcuni amici e conoscenti, riferendosi proprio al sostituto commissario e che vertono in tutt’altra direzione.
I video divulgati dalle forze dell’ordine e che mostrano le ingenti quantità di “mazzette” di denaro sequestrate, non sono state girate a casa del sostituto commissario, ma nella villa di Abbate, in quanto era l’imprenditore edile a disporre di quel denaro del quale, secondo l’accusa, si serviva per corrompere tutti. Ad onor del vero, l’ordinanza che ha fatto scattare i domiciliari per Porcini spiega che quest’ultimo avrebbe favorito Abbate in cambio di “presunti favori e benefici”.