In un clima dilaniato dall’assordante silenzio dettato dall’assenza di spari ed azioni eclatanti, ma imbruttito da estorsioni praticate con metodi violenti, a Ponticelli si disegna un nuovo assetto camorristico che vede la convivenza di tre clan, relegati nelle zone di rispettiva pertinenza, apparentemente senza pestarsi i piedi.
Il declino dei De Luca Bossa, introdotto dall’ennesima stagione di agguati e raid intimidatori quando sul clan del Lotto O già scorrevano i titoli di coda, dopo un primo periodo di fibrillazioni, ha fatto poi registrare un brusco e sonnacchioso silenzio, senza decretare vincitori nè vinti, perchè le compagini coinvolte nella faida hanno preferito adottare una condotta più prudente per privilegiare il buon esito degli affari illeciti, in primis lo spaccio di stupefacenti, attività cardine dell’economica criminale ponticellese.
L’assenza di un clan egemone non va interpretata come un patto di non belligeranza tra le parti, ma come una condizione dettata dalle circostanze e necessaria per limitare i danni, soprattutto al cospetto della concreta minaccia rappresentata dal pentimento di figure-cardine della malavita locale che fino a pochi mesi fa erano tra i protagonisti della faida per il controllo del territorio e che oggi stanno fornendo agli inquirenti dichiarazioni ed informazioni preziose per decapitare le cosche di Napoli est.
In particolare, il pentimento di Rosario Rolletta, vittima dell’ultimo agguato avvenuto a Ponticelli prima che sul quartiere calasse un inaspettato silenzio tombale, rappresenta una concreta minaccia per tutti i clan attivi nel quartiere, non solo perchè friariello – questo il soprannome di Rolletta – ha riconosciuto il sicario che gli ha sparato lo scorso novembre, ma soprattutto per il ruolo di primo ordine che ha ricoperto nelle dinamiche camorristiche locali, fino a quando non ha deciso di passare dalla parte dello Stato.
Deporre le armi per evitare di attirare l’attenzione delle forze dell’ordine, in un momento in cui la magistratura lavora per vagliare l’attendibilità delle dichiarazioni rese dai nuovi pentiti è la strategia adottata dai tre clan che, di certo, non rinunciano all’ambizione di conquistare la leadership camorristica di Ponticelli.
Una priorità tacitamente condivisa da tutte le parti coinvolte nella disputa che allo stato attuale preferiscono limitarsi a curare gli affari nelle zone di competenza, disegnando così dei perimetri territoriali ben definiti.
Il rione Incis, il rione Fiat e il Lotto 10 restano il fortino del clan “XX”, sigla in cui convergono gli eredi del clan De Micco- De Martino, capeggiati dal fratello minore di Antonio De Martino detto “XX”. Sfrontati, impulsivi, violenti, temuti e temibili, il clan “XX” annovera tra le sue file giovani che pur di marcare la scena camorristica da protagonisti sono pronti a tutti e che per conferire terrene spoglie ai loro sogni di gloria hanno abbandonato le retrovie dei clan in cui militavano. Esempio lampante di quest’ondata migratoria verso “il nuovo che avanza” è Rodolfo Cardone, un giovane del Rione De Gasperi, cresciuto nel mito di “XX” e che ha rinnegato il clan De Luca Bossa per dar man forte agli eredi di quella cosca al quale il suo idolo ha conferito onore e timore a suon di agguati. Un gruppo di giovani dietro i quali si celerebbe il disegno cinico e razionale dettato da una mente pensante: “l’uomo nascosto”, così è soprannominata dai ponticellesi la mente occulta del clan “XX”. Un camorrista esperto e temprato che starebbe dettando azioni e tatticismi ai giovani eredi dei Bodo. Un mix di impeto e raziocinio che concorrono ad accrescere la fama di “bad boys” che già aleggia intorno ai giovani affiliati al clan “XX”.
Il rione Conocal e via Argine, fino al locale di “Mimmotto dei Panini”, ovvero, la paninoteca “Il boss dei panini” è sotto il controllo del clan costituito dai giovani eredi del clan D’Amico, legati a filo doppio ai fratelli “frauella”, dopo aver ingravidato le loro figlie. Un’egemonia che si estende per circa 3 chilometri e ben oltre lo storico bunker del clan D’Amico, per giunta lungo una delle arterie cruciali del quartiere, a riprova della rapida ascesa conquistata dal nuovo cartello costituito dai giovanissimi generi dei fratelli “fraulella”, capeggiati dal giovane con velleità da boss che circa un anno fa ha iniziato a dare filo da torcere ai De Luca Bossa, palesando le sue ambizioni da leader a suon di “stese” e agguati intimidatori. Giovani, giovanissimi, poco più che maggiorenni e con blande esperienze camorristiche, galvanizzati dal vincolo di parentela con i fratelli D’Amico e motivatissimi a calcare le orme dei suoceri, oltre che dei padri in galera, chiamati a scontare pesanti condanne a seguito dei reati commessi per ossequiare la malavita, al pari dei fratelli Giuseppe ed Antonio D’Amico. “Eroi di guerra”, leoni in gabbia che con il loro instancabile esempio condito di omertà e rispetto del codice d’onore della malavita, continuano a rappresentare un esempio da emulare.
Tra due focolai camorristici, costituiti da anime giovani ed affamate di potere, i Casella appaiono braccati dal temibile impeto delle nuove leve della camorra che in più circostanze hanno già palesato ai figli di “Pachialone” tutta la loro temibile sfrontatezza. Seppure, allo stato attuale, i Casella rappresentino il clan più longevo e datato di Ponticelli, si vedono costretti a rinunciare al diritto di rivendicare la loro anzianità per conquistare il controllo dei traffici illeciti dell’intero quartiere, limitandosi a curare i loro interessi nella zona di via Franciosa, storico quartier generale del clan, unitamente a qualche sporadica piazza di spaccio istituita nelle adiacenze del loro bunker. Assolti e scarcerati nell’ottobre del 2019, i fratelli Eduardo, Vincenzo e Giuseppe Casella, insieme al fratellastro Giuseppe Righetto e agli altri 10 imputati, arrestati nell’ambito di una maxi-operazione condotta dai carabinieri di Napoli Poggioreale nell’ottobre del 2018, sono tornati a via Franciosa in un momento storico piuttosto concitato sul fronte camorristico. L’egemonia dei De Luca Bossa è durata poco più di un paio di anni e seppure dopo gli arresti delle figure apicali del clan avvenuti lo scorso ottobre, le reclute del sodalizio fondato da Tonino ‘o sicco nel Lotto O siano passati alla corte dei Casella per dar man forte agli alleati del loro vecchio clan, non è bastato a consacrare l’egemonia della cosca di via Franciosa a Ponticelli.
I Casella, cresciuti nel rispetto delle “vecchie regole” della camorra, in quanto figli di Salvatore Casella detto “Pachialone”, una delle figure di primo ordine della malavita locale, mai avrebbero immaginato che un gruppo di giovani acerbi e alle prime armi, avrebbe osato fare irruzione nel loro fortino per mettere in discussione la loro autorità.
Figli e figliastri di Pachialone si vedono così costretti a circoscrivere le loro ambizioni, restando relegati entro i confini tacitamente riconosciuti sotto il loro controllo. Quando nell’aria si respirava già il presagio che la fine dei De Luca Bossa fosse dietro l’angolo, i Casella hanno vissuto momenti di seria preoccupazione, in quanto avevano più di una motivazione per temere un’incursione armata da parte delle giovani leve del rione Conocal prima e del clan “XX” poi.
In un clima di crescente tensione, gli equilibri sono saltati quando lo scorso ottobre i sicari della camorra sono entrati in azione per ferire il giovane Rodolfo Cardone. Un agguato che si consuma nel cuore del Rione Incis, fortino del clan “XX”. La replica di questi ultimi, pochi dubbi lascia in merito alla paternità di quell’agguato: a finire nel mirino degli eredi della cosca dei tatuati è Luigi Aulisio detto Alì, cognato dei Casella, attinto da un colpo d’arma da fuoco alla schiena mentre si trovava in strada intorno alle 21, nei pressi di via Argine. Un agguato che fa perdere letteralmente la testa al clan di via Franciosa. Tant’è vero che Alì è talmente in preda al desiderio di replicare ai rivali da invocare l’aiuto della stampa: mentre si trovava nella sala d’attesa dell’Ospedale “Villa Betania” per farsi visitare, Aulisio contatta la nostra redazione invitandoci a rassicurare tutti circa le sue condizioni di salute. “Sto bene, non mi hanno fatto niente”, scrive Alì. Un messaggio principalmente indirizzato ai sicari e finalizzato a sottolineare l’inoffensività dell’agguato indirizzatogli.
In realtà, quell’agguato, infligge un duro, durissimo colpo ai Casella, perchè sottolinea la spregiudicatezza e l’impeto di quelle giovani leve, affamati di un livore nn condiviso dalla cosca di via Franciosa, sì intenzionata ad avere la meglio in quella faida per il controllo del territorio, ma non disposta a rischiare la vita per realizzare quel sogno.
A fare la differenza è proprio lo stile di vita agli antipodi, al pari del modo di vivere e concepire la malavita. Più estrema e fugace la visione delle “nuove leve”, più morigerata e calcolatrice quella dei Casella.
L’unico dato certo è che l’agguato in cui resta ferito Rosario Rolletta verosimilmente era stato ordito dai Casella per dare una lezione definitiva e perentoria agli “XX”, mirando a sancire un punto di non ritorno e, di fatto, così è stato.
In seguito a quell’agguato, Rolletta decide di dire addio alla malavita, già fomentato da una serie di malumori sorti con i membri del clan “XX”. Friariello vantava una carriera camorristica marcata da diversi episodi pesanti e viveva male l’idea di lavorare al soldo di un giovane, a capo del clan solo nel rispetto delle logiche dettate dai legami di sangue.
Quando nel quartiere si diffonde la notizia che Rolletta si stato avvistato mentre caricava le valigie su un’auto dei carabinieri a bordo della quale, insieme alla sua famiglia, aveva lasciato l’appartamento in via Matilde Serao in cui viveva, cala il gelo che cristallizza il livore che scorre nelle vene dei giovani. Un armistizio forzato che non dispiace ai Casella, storicamente poco avvezzi ad abbracciare le armi, anche se consapevoli che quel labile equilibrio possa saltare in qualsiasi momento.
Un clan stretto nella morsa delle due più giovani compagini che scalpitano per conquistare Ponticelli: così appaiono, oggi, i Casella.
Una storia che si ripete e per questo concorre ad accrescere timori e paura tra le reclute della cosca di via Franciosa.
Secondo quanto riferito agli inquirenti dal collaboratore di giustizia Gaetano Lauria, infatti, ad avere la peggio nell’ambito della faida per il controllo del territorio tra D’Amico e De Micco, furono proprio i Casella. In un’escalation di omicidi e azioni intimidatorie, i “fraulella” si servirono dei Casella per minacciare i “Bodo”.
Secondo quanto riferito agli inquirenti da Lauria, i D’Amico minacciarono Eduardo Casella, infilandogli la pistola in bocca e gli dissero: “Appena pagate ai De Micco vi uccidiamo”.
In quegli anni, i Casella pagavano il pizzo ai De Micco sulla piazza di crack e cocaina che gestivano in via Franciosa, da lì nacque la richiesta dei “fraulella”, al fine di rimarcare agli odiati nemici la loro egemonia.
Una pericolosa partita di ping pong giocata utilizzando i Casella come pallina. Uno scenario che non è escluso che potrebbe ripetersi.