Vincenza Maione e Luisa De Stefano, note negli ambienti camorristici ponticellesi con il nomignolo di “pazzignane”, rappresentano l’ultimo baluardo della camorra vecchio stampo che ancora (r)esisteva nel Rione De Gasperi in seguito al declino dell’era del clan Sarno.
Le due cugine personificano appieno il concetto di “donna-boss” e di “mamma-camorra”, crescendo ed educando i loro figli e i giovani che orbitavano intorno al loro fortino nell’ex bunker dei Sarno nel rispetto del codice d’onore della camorra.
Moglie di Roberto Schisa, il gregario dei Sarno definito “un macellaio della camorra” dalla magistratura, la De Stefano è stata costretta a crescere i suoi figli senza l’appoggio del marito, condannato all’ergastolo proprio per effetto delle indagini avviate dalle dichiarazioni rese dai fratelli Sarno, quando hanno maturato la decisione di passare dalla parte dello Stato. La vita delle “pazzignane” viene irrimediabilmente risucchiata in quel vortice di condanne e pentimenti che decreta l’inizio di una delle ere camorristiche più concitate e sofferte della storia camorristica di Napoli est.
Le dichiarazioni rese dai fratelli Sarno e dagli altri collaboratori di giustizia concorrono a ricostruire decenni di delitti efferati ed intrecci camorristici. Il nome di Luisa De Stefano, in particolare, viene tirato in ballo in relazione all’omicidio di Anna Sodano, una delle azioni camorristiche più violente ordita dalla cosca del Rione De Gasperi per dissuadere i gregari del clan dall’intenzione di pentirsi.
Prima di essere uccisa venne violentata a turno dai tre emissari del clan incaricati di eliminare ogni traccia della giovane donna: questo il destino che i Sarno hanno imposto alla vita di Anna Sodano, la 27enne che nel 1997 decise di passare dalla parte dello Stato. Vittima di lupara bianca, Anna Sodano lasciò l’Hotel Executive di Napoli, dove viveva in attesa di essere trasferita in un’altra località protetta, perché attirata in una trappola da un’amica della quale si fidava: Luisa De Stefano, per l’appunto.
Secondo quanto emerso dalle dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia che hanno concorso a rompere il velo di mistero che per anni ha avvolto la scomparsa della Sodano, fu “la Pazzignana” ad attirare la giovane amica nella trappola mortale. Un piano di morte ordito ad arte dal boss Vincenzo Sarno, non appena si apprese la notizia del pentimento della giovane. Il boss avviò immediatamente le ricerche e ben presto riuscì a mettersi sulle tracce della 27enne, beneficiando dell’aiuto di un avvocato che aveva amicizie influenti in procura e che riuscì ad individuare la località in cui era stata dirottata la donna, alla quale venne offerta immunità in cambio della ritrattazione. Il boss le lascia credere, quindi, che non rischia ritorsioni o vendette, prospettandole di poter perseguire il sogno di una vita normale, senza inguaiare il clan con le sue dichiarazioni. Vincenzo Sarno le assicurò che avrebbe ricevuto in regalo un appartamento. E invece i Sarno non rispettano i piatti e puniscono la donna che aveva osato venir meno alle regole d’onore del clan, secondo quanto dichiarato dai pentiti, proprio grazie all’ausilio della De Stefano.
Di lì a poco, le figure apicali del clan che avevano ordinato esecuzioni esemplari contro gli affiliati che si lasciavano accarezzare dall’idea di pentirsi, scelgono la strada che li porta a collaborare con la giustizia, decretando una sorte durissima per “la pazzignana”. Suo marito, Roberto Schisa, non emula le gesta delle figure-simbolo del suo ex clan e incassa la condanna all’ergastolo senza battere ciglio. Seppure questo voglia dire non riabbracciare mai più i suoi cari. La De Stefano è così chiamata a rimboccarsi le maniche, a crescere i figli e cercare di tenere in piedi i relitti del clan di famiglia, senza il supporto del marito. Sono anni bui e vissuti in sordina per le donne d’onore di quello che un tempo fu il clan che faceva tremare l’entroterra vesuviana e l’intera periferia orientale partenopea.
Le pazzignane, sopravvivono principalmente dedicandosi all’attività di spaccio di stupefacenti, alla mercé degli altri clan che colmeranno il vuoto di potere generato dalla resa dei Sarno, in primis subendo la forza egemone dei “Bodo”. Per non pagare il pizzo sulle piazze di spaccio, alcune delle sorelle De Stefano si barricano in casa con i figli per giorni, settimane, mesi, inscenando una detenzione forzata, pur di non piegarsi alla volontà dei nuovi signori di Ponticelli.
Seppure Vincenza Maione abbia un carattere più esuberante ed esibizionista, è Luisa De Stefano la figura apicale del clan in gonnella. E’ lei che possiede la stoffa del leader e la forza di nervi necessaria per stringere saldamente tra le mani le redini dell’organizzazione di famiglia, seppur rimaneggiato e alla stregua delle forze. I giorni vissuti all’insegna degli sfarzi e degli eccessi, in compagnia del marito Roberto, ma anche del fratello “Giovannone” – così soprannominato per via della grossa stazza – e di tutti gli altri parenti finiti dietro le sbarre, travolti dal terremoto giudiziario generato dal valzer dei pentimenti voluto dal clan Sarno, sono un lontano ricordo che s’infrange al cospetto della ben più dismessa realtà. La camorra le ha devastato la vita e le ha distrutto la famiglia, ha costretto i suoi figli – un maschio e una femmina – a crescere senza un padre, ma “la pazzignana” colma anche quella lacuna e non si lascia minimamente scalfire dall’idea di rinnegare il codice d’onore della malavita.
Una mamma-matrona osannata e rispettata da un’intera generazione di aspiranti reclute della camorra. Gli insegnamenti della “pazzignana” ben presto sortiscono i loro frutti: nel novembre del 2007, appena 16enne, venne condannato a 16 anni di reclusione per aver ucciso a sangue freddo Umberto Improta, un ragazzo di 27 anni, vittima innocente della criminalità, al culmine di una lite per futili motivi all’esterno di un bar di San Giorgio a Cremano, tra i rampolli del clan Sarno e un gruppo di ragazzi, estranei alle dinamiche camorristiche. Il primogenito della “Pazzignana” colleziona anni di detenzione che alterna a periodi di libertà vissuti mettendo la firma su una serie di crimini. E’ lui il rampollo della famiglia Schisa sulle cui spalle grava, fin dai primi vagiti, il desiderio di rivalsa e riscatto del clan. Una carriera rapida e in ascesa, quella del giovane Schisa: soprannominato “o muccusiello”, ben presto Tommaso conquista la fama del “bad boy”, osannato, venerato e rispettato dai giovani di Napoli est. Le credenziali del giovane, negli ambienti in odore di camorra, subiscono un’ulteriore impennata in seguito all‘unione con la figlia del boss di Marigliano Luigi Esposito detto ‘o sciamarro. Un matrimonio che legittima un‘alleanza con uno dei clan più potenti dell’area vesuviana per “le pazzignane” in un momento storico in cui il desiderio di vendetta di Michele Minichini detto ‘o tigre per l’assassinio di suo fratello Antonio, lo porta a bussare proprio alla porta della “pazzignana” che in quel ragazzo timido e taciturno vede un secondo figlio da accudire ed indottrinare. Proprio forte dell’appoggio di ‘o tigre, Tommaso Schisa porterà a compimento una serie di rapine ed azioni violente, soprattutto nei comuni del vesuviano. Minichini vede in Tommaso Schisa quel fratello minore che avrebbe voluto accanto e che invece la camorra gli ha scippato brutalmente, dal suo canto, ‘o muccusiello vede in ‘o tigre quel fratello maggiore che non ha mai avuto. Amici per la pelle, compagni inseparabili di azioni criminali violente, i due giovani sono tra le figure più temute e rispettate della nuova generazione camorristica.
In questo clima nasce l’alleanza tra i clan alleati di Napoli est: figlio del boss Ciro Minichini, ‘o tigre è anche il figliastro di Anna De Luca Bossa, sorella di Tonino ‘o sicco, uno dei boss più spietati della storia camorristica ponticellese. Un tempo killer dei Sarno, poi dirottato nel Lotto O per fondare il suo sodalizio autonomo. Tonino ‘o sicco è soprattutto l’autore del primo attentato stragista con autobomba in Campania, omicidio per il quale viene condannato all’ergastolo in via definitiva e che fu pianificato per eliminare il boss Vincenzo Sarno. Invece, qualcosa andò storto e la bomba esplose anzitempo, uccidendo l’autista del boss, il giovane Luigi Amitrano, cugino delle pazzignane. Malgrado quella ferita che ancora sanguina nel cuore di molti parenti di Amitano, le pazzignane stringono la mano alla famiglia De Luca Bossa, pur di privilegiare la logica degli affari e cavalcare quel disegno criminale che si sta delineando e che può riportare alla ribalta nuovamente il clan di famiglia.
I clan alleati fanno il loro esordio sulla scena camorristica ponticellese mettendo la firma sull’agguato compiuto il 7 giugno 2016 per eliminare il boss dei Barbudos Raffaele Cepparulo, in cui perse la vita anche un innocente, il 19enne Ciro Colonna.
Un agguato ordinato dal boss Ciro Rinaldi, ma invocato soprattutto dalle lady-camorra dell’alleanza, tra le quali spicca soprattutto la voce della De Stefano, così come lei stessa racconterà durante il processo, Cepparulo, trasferitosi a Ponticelli per sfuggire ai rivali del clan Vastarella in seguito alla cosiddetta “strage delle Fontanelle”, stava cercando di entrare nelle grazie dei De Micco e dei Mazzarella, minando proprio l’incolumità delle “pazzignane” e di altre figure apicali dell’alleanza. Il giovane leader dei “Barbudos”, in particolare, aveva compiuto una serie di “stese” rivolte alla De Stefano che si vide costretta a chiudere il negozio che gestiva.
Inizia così la scalata al potere della nuova alleanza che, tuttavia, si guarda bene dallo sfidare a viso aperto i De Micco, consapevoli della folta e ben armata compagine sulla quale poteva contare il clan egemone a Ponticelli. A decretare l’uscita di scena dei rivali è un evento propizio: a novembre del 2017 un blitz che fa scattare le manette per gli elementi di spicco della cosca, infliggendo un duro colpo al cosiddetto “clan dei tatuati”.
Un’occasione che Luisa De Stefano non si lascia sfuggire: non appena si diffonde la notizia degli arresti nel quartiere, una delegazione delle “pazzignane” si reca nel garage della famiglia De Micco per palesare la volontà del clan di non corrispondere più il pizzo sulle piazze di spaccio. Un atto di ribellione con il quale le pazzignane annunciano di non riconoscere più autorità e potere al clan che era riuscito a colmare il vuoto di potere generato dalla fine dell’era dei Sarno a suon di azioni violente ed omicidi eclatanti.
Nasce così una nuova stagione di “stese”, raid intimidatori, bombe e spari che consentono alle pazzignane e ai clan alleati di riconquistare il controllo del territorio, portando le organizzazioni in declino a rivivere un breve periodo di consacrazione. Le indagini avviate per far luce sull’omicidio del boss Cepparulo e dell’innocente Ciro Colonna, a marzo del 2018 fanno scattare le manette per 8 elementi di spicco dell’alleanza, tra le quali spiccano i nomi di Luisa De Stefano e Vincenza Maione.
I giorni trascorsi a “sfidare i rivali” sui social, ostentando pasti succulenti, feste, serenate neomelodiche, uscite e serate nei ristoranti più quotati della città, diventano un lontano ricordo non appena le pazzignane valicano la soglia del carcere. Compiante dai parenti, ma soprattutto dai tanti giovani che si vedono privati, in particolare, di una figura di riferimento determinante come Luisa De Stefano, sui social impazzano i post in cui vengono descritte come “leonesse in gabbia”, le dediche fioccano anche alla radio, dove nipoti, figli e “fan” delle pazzignane gli fanno pervenire affetto e supporto a suon di brani neomelodici e saluti affettuosi.
Un tripudio di attestati di stima ed affetto mandato in frantumi da una vera e propria bomba: nell’estate del 2019, Tommaso Schisa, il primogenito di Luisa De Stefano e Roberto Schisa decide di collaborare con la giustizia. Proprio lui, costretto a crescere senza un padre, perché condannato al carcere a vita dalle dichiarazioni rese dagli ex Sarno passati dalla parte dello Stato, maturando questa inaspettata decisione, infligge un colpo durissimo alla madre e al resto dei familiari ancora in odore di camorra.
Una notizia che genera un vero e proprio terremoto, dentro e fuori dal carcere: è solo il primo di un vortice di eventi tutt’altro che propizi per le “Pazzigane”. A settembre del 2019, infatti, Vincenza Maione e Luisa De Stefano vengono condannate all’ergastolo per l’omicidio Colonna-Cepparulo, insieme agli altri sei imputati.
La figlia della De Stefano accetta di entrare a far parte del programma di protezione destinato ai parenti dei collaboratori di giustizia, mentre le sorelle e gli altri parenti delle “pazzignane” scelgono di restare a Ponticelli.
Malgrado le pressioni dei parenti, il primogenito della De Stefano resta fermo sulle sue decisioni e inizia a rivelare alla magistratura risvolti ed intrecci camorristici legati ai clan della periferia orientale e dell’entroterra vesuviano.
La “pazzignana” rinnega i suoi figli e in tribunale, durante un’udienza del processo, zittisce le voci relative ad un suo possibile pentimento, unica mossa possibile per ricongiungersi a loro.
Eppure, a tenere banco nel rione De Gasperi, sono le voci e i rumors legati alle possibili sorti alle quali la famiglia potrà andare incontro. Si vocifera che, superate le prime reticenze, la De Stefano abbia ripristinato i colloqui in videochiamata con la figlia e che, attraverso lo stesso sistema di comunicazione, avrebbe vagliato con il marito l’ipotesi del pentimento. Roberto Schisa, dal suo canto, sarebbe intenzionato a restare in carcere per scontare la sua condanna per intero, senza lasciarsi minimamente corteggiare dall’idea di pentirsi per ricongiungersi ai suoi familiari. Schisa, tuttavia, avrebbe lasciato la moglie libera di decidere in autonomia. Dal suo canto, la De Stefano sa che il suo pentimento costituirebbe un pericolo concreto per la vita dei suoi cari rimasti a Ponticelli e che difficilmente potrebbero decidere di lasciare il quartiere accettando il programma di protezione.
Il 2019 si è concluso con l’ennesima stangata per le “pazzignane”: condannate all’ergastolo anche in appello per l’omicidio Colonna-Cepparulo, insieme ad Anna De Luca Bossa, Ciro Rinaldi, Michele Minichini e Antonio Rivieccio. Condanna ridotta a 20 anni per Cira Cepollaro, madre di Michele Minichini, assolto Giulio Ceglie.
Una sentenza che potrebbe delineare un nuovo scenario per le pazzignane e non solo.