Roberto Boccardi detto “Recchiolone”, malgrado la sua giovane età è considerato una figura di primo ordine della scena camorristica ponticellese.
Il 29enne ha ricoperto un ruolo cruciale all’interno del clan De Micco, tant’è vero che è uscito fortuitamente indenne dalla faida con il clan D’Amico, nella quale ad avere la peggio fu il giovane Alessandro Malapena detto “Cipolla”. La comprovata partecipazione alle dinamiche camorristiche riconducibili proprio alla cosca dei “Bodo”, nel 2015 gli è costata una condanna a 5 anni di reclusione, ma soprattutto Boccardi viene tirato in ballo come la persona che ha ricoperto un ruolo cruciale nella decisione di Domenico Esposito di diventare collaboratore di giustizia: Esposito lo menziona come la persona che gli avrebbe rivelato la ferma intenzione di ucciderlo da parte del boss Marco De Micco. Tant’è vero che Esposito, mentre era già sotto protezione, in un comune in provincia di Milano, cittadina nella quale il boss della cosca dei tatuati stava scontando gli arresti ai domiciliari, all’insaputa degli inquirenti, scrive una lettera a Marco De Micco nella quale invoca il suo perdono, scongiurandolo di rivalutare quella condanna a morte.
Non è difficile intuire perché il cambio di casacca di Boccardi che ha rinnegato i De Micco per passare al soldo del clan del Lotto O, sia stata una delle circostanze più chiacchierate dell’era camorristica segnata proprio dal declino dei “Bodo”.
“Il tradimento” di “Recchiolone” non è un caso isolato: nel periodo compreso tra gli ultimi giorni del 2017 e i primi mesi del 2018, quando esplose la faida tra i relitti del clan De Micco, in seguito agli arresti delle figure-simbolo e “la camorra emergente” – il sodalizio camorristico in cui convergevano i clan alleati di Napoli est, capeggiati proprio dai De Luca Bossa – moltissimi giovani cresciuti sotto le direttive del “clan dei tatuati”, non appena ebbero il sentore che il vento stesse soffiando nella direzione opposta, non esitarono a “passare dall’altra parte”, rinnegando il clan d’origine per schierarsi con la nuova forza dominante e destinata a conquistare il controllo del territorio.
Così doveva essere e così è stato. Seppure si sia trattata di una delle ere camorristiche più brevi della storia di Ponticelli.
Classe 1991, tornato in libertà la scorsa primavera, nel bel mezzo del lockdown, la scarcerazione di Roberto Boccardi fu festeggiata con un fragoroso baccanale contornato da una sfilza di esibizioni di cantanti neomelodici e una lunga e sfarzosa batteria di fuochi d’artificio. Un party in pompa magna, organizzato e fortemente voluto dal clan De Luca Bossa per rilanciare le proprie quotazioni in ambito malavitoso, ulteriormente rafforzati dal prezioso supporto di quel validissimo affiliato tornato a piede libero e che ben presto ha messo la firma su alcune azioni eclatanti che hanno acceso i riflettori degli inquirenti su di lui e sulle dinamiche criminali che hanno contraddistinto l’operato della cosca del Lotto O, fino a determinare gli arresti avvenuti lo scorso ottobre.
Roberto Boccardi, per il clan De Luca Bossa, è la persona giusta, scarcerata al momento giusto: cinico, temibile e spietato, “Recchiolone” gode della fama del camorrista dal sangue freddo e che sa sparare. Come tutte le giovani leve cresciute al soldo dei De Micco, Boccardi rientra in quell’esercito forgiato a immagine e somiglianza del verbo della camorra dal clan dei “Bodo”, veri e propri militari dalla mano ferma e dalla mira infallibile, “Recchiolone” è quindi un preziosissimo ed indispensabile valore aggiunto al soldo del clan capeggiato da Umberto De Luca Bossa che, di contro, fatica a scrollarsi di dosso la fama del “boss che non sa sparare” di cui gode negli ambienti malavitosi, proprio per la sua nota e scarsa dimestichezza con le armi.
La partecipazione a quella festa della donna alla quale Boccardi era legato sentimentalmente, prima di finire dietro le sbarre, ha innescato una vera e propria disputa, combattuta a suon di spari e raid intimidatori.
Una faida nella quale sono confluite diverse esigenze, non solo di natura strettamente sentimentale, seppure il movente passionale può essere definito la scintilla che ha innescato la bomba. Una donna legata a filo doppio ai De Luca Bossa e ai Minichini che durante la reclusione di Boccardi aveva intrapreso una relazione con l’aspirante ras del Rione Conocal di Ponticelli che ha erroneamente pensato che la storia con l’ex affiliato al clan De Micco fosse ormai acqua passata. La donna, però, lo ha smentito con i fatti, prima prendendo parte alla festa in onore di Boccardi e poi facendosi vedere sullo scooter in giro per il quartiere in compagnia di quest’ultimo, alimentando così un cocktail esplosivo a base di gelosia e desiderio di rivalsa. Un livore di emozioni contrastanti, dunque: non solo la gelosia, ma anche la volontà di calcare la scena camorristica ponticellese, lasciando un segno importante. La velleità del giovane del Conocal era proprio quella di riappropriarsi del suo rione, scalzando l’egemonia del ras Gennaro Aprea, imposta in quella sede dal clan De Luca Bossa per assicurare il giusto compenso al sodalizio camorristico di Barra che gli aveva fornito il suo appoggio nell’ambito della scalata al potere.
Inaccettabile per un giovane nato e cresciuto nel rione Conocal e nel segno e nel simbolo dei “Fraulella” alias il clan D’Amico, che a dominare la scena camorristica in quella sede siano “i barresi”, quindi un clan non solo estraneo alla storia camorristica del rione, ma anche “straniero”, in quanto proveniente da un altro quartiere. Il fatto che una figura di primo ordine del clan De Luca Bossa sia perfino riuscita a sottrargli la donna amata, ha indotto il giovane aspirante ras del Conocal ad abbracciare le armi per dichiarare guerra ad un’entità “una e trina”: il rivale in amore Roberto Boccardi, il boss del rione Conocal Gennaro Aprea e il clan De Luca Bossa, clan egemone in quel momento storico e del quale questi ultimi erano parte attiva.
Tanto è bastato per generare una serie di botta e risposta a suon di spari, anche e soprattutto nel bel mezzo del lockdown.
A rincarare la dose sul fronte sentimentale, la scarcerazione di uno dei fratelli della donna che ha fortemente contrastato la relazione con l’aspirante boss del Rione Conocal, temendo che questo potesse compromettere i rapporti tra le famiglie, oltre che gli equilibri camorristici. Il clan De Luca Bossa non poteva rischiare di perdere il prezioso supporto di Boccardi, soprattutto nel momento storico in cui anche gli eredi del clan De Micco, i cosiddetti “XX” iniziavano a mostrare i muscoli. Per qualche tempo, il giovane del Conocal con aspirazioni da leader della camorra e la donna oggetto della disputa, si sono visti costretti a portare avanti la loro frequentazione in forma virtuale e segreta a suon di videochiamate. Poi qualcosa è cambiato. Qualcosa o qualcuno ha definitivamente convinto quella donna a troncare quella relazione.
Un retroscena di carattere sentimentale che ha fatto fatica ad emergere, soprattutto durante le prime fasi delle indagini investigative, volte a far luce sui vari raid e che ha visto confluire in quel vortice di spari, una serie di retroscena ed interessi strettamente correlati alla spartizione del territorio e che hanno rimarcato la forte volontà dell’aspirante boss del Rione Conocal di contestare e contrastare l’egemonia dei De Luca Bossa e che pur di riuscire ad avere la meglio ha cercato ed ottenuto l’appoggio e l’alleanza dei clan operanti nei comuni limitrofi, Volla in primis.
Quello che resta oggi a Ponticelli di quel fragoroso triangolo amoroso che nei mesi precedenti ha seminato terrore e spari in diversi rioni-simbolo della malavita è la comprovata presenza di un focolaio camorristico nel rione Conocal, seppure finora non abbia mai cercato di prendere parte alla faida in atto tra i Casella e gli “XX”, scaturita in seguito agli arresti delle figure-simbolo del clan De Luca Bossa – tra i quali anche Roberto Boccardi – e che di fatto hanno sancito la fine dell’era camorristica del clan del Lotto O di Ponticelli.