23 anni compiuti lo scorso 10 settembre, una vita trascorsa tra le rovine del Rione De Gasperi di Ponticelli, Rodolfo Cardone è uno dei tanti giovani di Napoli est cresciuto nell’aurea fascinosa della malavita. I precedenti per droga e rapina fungono da elemento fuorviante nella ricerca del movente in grado di spiegare come e perchè quel giovane, apparentemente così distante dalle dinamiche camorristiche locali, sia finito nel mirino di un sicario che gli ha sparato da un’auto, giunta in prossimità del bar “Royal”, in via Fratelli Grimm, nel Rione Incis, zona sotto il controllo degli “XX”, sigla riconducibile al cartello De Micco-De Martino, insediatosi in seguito agli arresti maturati a novembre del 2017 e che di fatto decretarono la fine dell’era della cosca dei tatuati, depredata delle sue figure-simbolo.
Quale sia il collegamento tra un giovane nato e cresciuto nell’ex bunker dei Sarno e gli eredi del clan De Micco è presto detto: la sorella di Rodolfo Cardone abita poco distante dalla famiglia De Martino, ragion per cui il 23enne è cresciuto a stretto contatto con Antonio De Martino detto “XX”, killer dalla fama temibile e sanguinaria, il cui nomignolo nacque proprio per raggirare l’imbarazzo di pronunciare quel nome a voce alta.
Malgrado la condanna all’ergastolo per l’omicidio di Salvatore Solla che ben presto potrebbe bissare, in quanto additato dagli investigatori come l’esecutore materiale di un altro delitto eccellente, quello della donna-boss del rione Conocal Annunziata D’Amico, Antonio De Martino seguita ad essere una delle figure più venerate dai giovani di Ponticelli. Dai nuovi aspiranti leader della camorra, così come dai simpatizzanti delle regole del sistema.
Rodolfo Cardone è anche una presenza fissa tra quei “bad boys” che presidiano Piazza Egizio San Domenico che soprattutto a notte fonda amano tenere in ostaggio la quiete pubblica con schiamazzi e scorribande sui motorini e che di recente si sarebbero spinti ben oltre qualche chiassosa performance. Quel gruppo di ragazzi molesti con la spocchia da duri, tutti “figli d’arte” di padri attualmente detenuti e che in un passato neanche troppo lontano hanno marcato la scena camorristica ponticellese, avrebbe messo la firma su alcune delle “stese” compiute durante il lockdown. Nella fattispecie, il gruppo di “baby aspiranti boss” avrebbe esploso alcuni colpi d’arma da fuoco contro l’abitazione di uno degli elementi di spicco del clan De Luca Bossa, reo di aver pestato un membro della paranza di giovanissimi, il cui sogno dichiarato è emulare le gesta dei genitori per conquistare Ponticelli.
Molti membri della gang non hanno ancora compiuto 18 anni, alcuni sono già genitori, in barba alla loro giovane età.
In questo contesto matura il ferimento di Rodolfo Cardone.
Un agguato che consegna plurimi spunti investigativi, a partire dalla scelta dell’arma: un fucile a canne mozze che avrebbe provocato una dolorosa, ma non mortale ferita alla spalla al 23enne, trasportato all’ospedale del Mare e subito sottoposto ad un delicato intervento per la rimozione di una serie di frammenti, trattandosi di un fucile a “pallini da caccia”. Tant’è vero che sul luogo dell’agguato vi era poco, pochissimo sangue.
Chi ha sparato voleva “dare una lezione” al giovane, ma non di certo ucciderlo.
Un modus operandi che ben si sposa con la politica adottata dai De Luca Bossa che fin da subito hanno imposto la pax armata a Ponticelli per privilegiare il business dei traffici illeciti, in primis le estorsioni. Molte delle “stese” compiute dal clan del Lotto O, infatti, sono state ordinate per intimorire persone taglieggiate ed indurle così a versare le cifre richieste nelle casse del clan.
E’ stato ribattezzato “il boss che non sa sparare” Umberto De Luca Bossa – ritenuto essere dagli investigatori l’attuale reggente del clan di famiglia – a dispetto della fama conquistata sullo stesso fronte di guerra dal padre, il sanguinario “Tonino ‘o sicco” additato dai magistrati come uno dei “macellai” più spietati della storia camorristica napoletana.
Un boss che non spara e che non commissiona omicidi, sprezzante delle minacce che arrivano dal “nuovo che avanza”, sia tra i grigi palazzoni del rione Conocal sia tra la compagine dei giovani e sfrontati “XX”, esclusivamente dedito ad estorcere denaro a tutti. Proprio a tutti. Nessuno è esente, nessuno può beneficiare di quella forma di caritatevole pietà che in passato la camorra corrispondeva alle fasce più deboli e precarie. Una politica che introduce una politica pregna di sdegno e terrore senza spari e ben più scomoda da gestire: tutti odiano i De Luca Bossa, perfino le reclute più giovani, scontente delle paghe irrisorie a loro corrisposte, seppure siano proprio loro a sobbarcarsi “il lavoro sporco” e i rischi più elevati.
Un giovane anaffettivo e dallo sguardo di ghiaccio: fin dagli esordi sulla scena camorristica ponticellese, Umberto De Luca Bossa si è rivelato incapace di reggere il peso della responsabilità che si è caricato sulle spalle quando ha scelto di appropriarsi delle redini del clan di famiglia. Il Dna non basta, i geni ereditati da ‘o sicco non gli assicurano quel livore camorristico che anima gesta criminali degne della fama di suo padre. Quindi, quando giunge la notizia del pentimento del giovane Tommaso Schisa – figlio di un altro “macellaio dei Sarno”, Roberto Schisa e della “Pazzignana” Luisa De Stefano – Umberto De Luca Bossa sa di avere i giorni contati e che, prima o poi, a stroncare il sogno di vedere sventolare su Ponticelli la bandiera del clan di famiglia giungeranno le manette, ancora una volta.
E’ così che quella corsa contro il tempo viene spesa nell’esclusivo interesse delle finanze del clan. La priorità di Umberto De Luca Bossa è sempre stata una: fare soldi. Dopo il pentimento di Schisa, quella priorità diventa un’ossessione.
Umberto vuole la torta tutta per sé e pretende che gli alleati e gli affiliati si accontentino delle briciole: estorsioni a tappeto, praticate da giovani reclute per evitare che le figure di maggiore spessore si espongano al rischio di denunce ed arresti. E poi relega “i barresi” nel Rione Conocal, chiarisce senza mezzi termini di non essere disposto a dividere il torno con nessuno: “perchè quando il clan De Luca Bossa era in difficoltà, non ha avuto aiuto da nessuno.”
Il primogenito di ‘o sicco non vuole sparare, neanche quando l’aspirante ras del Conocal sbeffeggia la sua autorità, compiendo diverse “stese” nei pressi dell’abitazione del ras Gennaro Aprea, reggente dell’omonimo clan alleato ai De Luca Bossa. Non mette ordine, Umberto, come avrebbe fatto qualsiasi capoclan autorevole e temibile, esponendosi così al rischio di un agguato nel suo bunker: il Lotto O.
Un sentore palpabile nell’aria e che concorre a rendere il clima teso nel rione che da decenni rappresenta il quartier generale dei De Luca Bossa: cala il silenzio nei circoli ricreativi, in più di una circostanza teatri di agguati di camorra, così come nel punto scommesse del rione. I bambini non giocano in cortile, la gente comune pondera con raziocinio gli orari di uscita e si guarda bene dall’intrattenersi in strada.
Un presagio che trova riscontro in chiave investigativa: durante la serata di martedì 6 ottobre, un killer solitario ha squarciato quel clima di nervosa quiete a suon di spari. Una “stesa” nel cuore del rione del clan attualmente egemone, sulla quale vi sarebbe proprio la firma degli ex De Micco: gli “XX”.
Il giorno seguente viene ferito Rodolfo Cardone, nel Rione Incis, zona degli “XX”.
Come la stragrande maggioranza dei giovani che vivono nel Rione De Gasperi e che orbitano nei contesti malavitosi, Cardone, in un passato non molto lontano, era un simpatizzante dei De Luca Bossa. Complice la forte presenza di figure camorristiche che hanno ricoperto un ruolo di spessore nell’alleanza che ha portato poi il clan del Lotto O a conquistare Ponticelli, sono tanti i giovani che a vario titolo supportano la causa dei De Luca Bossa.
Un’unione di intenti che fin qui ha sventato una possibile vendetta trasversale, in seguito al pentimento di Tommaso Schisa, nel rispetto del codice d’onore della camorra.
Di recente, però, forte della venerazione che nutre nei riguardi di Antonio De Martino, Rodolfo Cardone sarebbe entrato in contatto con gli “XX” maturando un maggiore livello di empatia con quei giovani barbuti che vantano uno spessore criminale ben più irriverente e temibile.
Un cambio di casacca mal recepito dai De Luca Bossa: tant’è vero che il 23enne, prima dell’agguato dello scorso 7 ottobre, sarebbe stato vittima di un violento pestaggio. Una prima lezione che probabilmente non è bastata a Cardone per tornare sui suoi passi e che, pertanto, ha costretto i ras di Ponticelli ad alzare il tiro, a maggior ragione dopo “la stesa” avvenuta il giorno prima nel Lotto O.
Un agguato voluto per infliggere un’altra “lezione” al 23enne, così come confermano i plurimi elementi che comprovano che chi ha sparato non aveva intenzione di uccidere. Proprio quest’ultimo è il tassello più interessante da individuare per comporre il mosaico: chi ha materialmente eseguito l’agguato?
Diverse le ipotesi investigative al vaglio: dai pezzi da 90 del clan De Luca Bossa maggiormente avvezze all’uso di armi all’agguato su commissione che verosimilmente potrebbe così chiamare in causa un altro clan di Ponticelli, ugualmente impensierito dal clima per niente che rassicurante che spira sul quartiere da quando i giovani, nuovi aspiranti boss, stanno palesando le loro velleità, senza mezzi termini.