L’acqua ossigenata potrebbe essere un prezioso alleato nella prevenzione del contagio da covid-19.
La proposta parte da un pool di ricercatori napoletani che indica l’uso dell’ acqua ossigenata nella profilassi anti-Covid-19.
Sull’argomento è stato pubblicato uno studio sulla rivista internazionale «Infection Control & Hospital Epidemiology», della Cambridge University. L’ ‘acqua ossigenata (perossido di idrogeno) è utilizzata per la disinfezione delle mucose dell’ orofaringe e del naso. Le sue proprietà antisettiche sono ben note alla comunità scientifica. .La comune acqua ossigenata, come antisettico del cavo orale, mediante regolari sciacqui della mucosa orale (concentrazione al 3 per cento) almeno tre volte al giorno, e allo 1,5 per cento mediante nebulizzazione delle cavità nasali, e infine l’utilizzo dello iodopovidone allo 0,6 per cento istillato come collirio 2 volte al giorno, possono risultare particolarmente efficaci nella prevenzione dell’infezione generata da quello che è noto come Coronavirus.
Dagli studi sul comportamento del Coronavirus è emerso che questo staziona sul muco che ricopre le cellule epiteliali per poi progredire fino a esse e replicarsi. È proprio in questa fase che il virus è più debole e può essere aggredito prima che raggiunga la mucosa tracheale, che, come dimostrato da studi sui macachi, avviene dopo circa due giorni dall’infezione. Secondo i ricercatori “l’ efficacia del perossido di idrogeno è da ricondursi non solo alle sue ben documentate proprietà ossidanti e di rimozione meccanica, ma anche grazie all’induzione della risposta immunitaria innata antivirale mediante sovraespressione del TLR3 (Toll Like 3), riducendo pertanto complessivamente la progressione dell’infezione dalle alte alle basse vie respiratorie”.
Lo studio è stato condotto da Antonio Del Prete, docente di Oftalomologia all’università Federico II, Armone Caruso, direttore sanitario dell’Aias di Afragola e responsabile dell’Uo di Diagnostica Orl e Citologia nasale; Antonio Ivan Lazzarino, ricercatore dell’ “Agency of clinical research and medical statistics” di Londra; Lucia Grumetto, docente del dipartimento di Farmacia della Federico II e Roberto Capaldi, medico.