La camorra ponticellese continua a collezionare episodi eclatanti, ma silenziosi.
Il clima surreale che continua a tenere banco tra i rioni simbolo della malavita locale, fagocita in un omertoso silenzio le dinamiche che si alternano di recente, rischiando che le gesta camorristiche utili a delineare lo scenario attuale passino inosservate.
In quest’ottica è maturato il pestaggio di una donna. E non di una donna qualunque.
Domenica scorsa, 20 settembre, una lady-camorra di Ponticelli è stata oggetto di una vera e propria spedizione punitiva, subendo un violento pestaggio da parte di una squadriglia che si è recata presso la sua abitazione per infliggerle una sonora lezione, a suon di pugni, calci e botte brutali.
Seppure la donna abbia giustificato i vistosi segni derivanti dalle percosse subite, riconducendoli ad una “discussione accesa”con il marito, a sbugiardare la sua versione è proprio l’incursione di quel “branco”, avvistato da diversi residenti in zona, attirati dall’azione praticata tutt’altro che all’insegna della discrezione.
Una sonora lezione che tutti dovevano vedere e sentire e che lancia un segnale forte, eclatante, incastonando l’ennesimo, misterioso tassello nel complesso e taciturno mosaico che la malavita ponticellese sta componendo nelle ultime settimane.
Un pestaggio che può essere interpretato come una lezione, ma anche come un avvertimento.
Il movente che può aver generato quella che a tutti gli effetti risuona come un’autentica spedizione punitiva, può essere legato a un regolamento di conti oppure a un disguido di carattere economico. Nel caso in cui quella squadriglia di malintenzionati sia entrata in azione per infliggere una lezione alla donna. Ipotesi plausibile, considerando il ruolo di primo ordine ricoperto nella gestione delle finanze del clan da parte della donna.
Un altro e ben più inquietante scenario legato a questa macabra vicenda è invece introdotto da un movente ben più temibile.
Quelle sonore percosse potrebbero aver consegnato un minaccioso monito alla donna, finalizzato a stroncare sul nascere certi atteggiamenti tutt’altro che conformi al codice etico della camorra che la stessa donna avrebbe platealmente manifestato. In particolare, non è un segreto che la lady-camorra pestata domenica scorsa abbia espressamente dichiarato l’intenzione di diventare una collaboratrice di giustizia, laddove dovesse essere arrestata e condannata a trascorrere un bel po’ di anni in carcere.
Non sopporta l’idea di scontare un’ingente condanna, pur consapevole – come molti altri interpreti della camorra di Napoli est – che le dichiarazioni rese dal neopentito Tommaso Schisa, ben presto si tramuteranno in ordinanze di custodia cautelare. Per questo motivo, si lascia già accarezzare dall’idea di pentirsi. Un modo per esorcizzare la paura e per allontanare lo spettro delle manette che, di giorno in giorno, si fa sempre più vicino, e con lui, il pensiero della carcerazione. Un modo per sminuire il potere delle dichiarazioni del “Pentito” che tengono in ostaggio tantissime vite, disegnando notti insonni e giorni di tensione nel presente, in attesa di scoprire cosa riserva il domani, dietro l’angolo. Una condotta imprudente, non recepita di buon grado da chi in questo momento si trova a gestire l’increscioso e tutt’altro che facile compito di gettare acqua sul fuoco che arde nel petto di tanti camorristi che covano la medesima intenzione.
Un altro pentimento, infatti, in questo momento storico, potrebbe generare un effetto domino che asfalterebbe i clan alleati di Napoli est, riducendoli in cumuli di polvere e macerie.
Ragion per cui, risulta plausibile che quella donna potrebbe essere stata redarguita con “le cattive maniere” da chi ha tutto da perdere e non è disposto a perdere, sedando a suon di botte l’ipotetica intenzione di collaborare con la giustizia, una volta finita dietro le sbarre.
Un modus operandi che riporta alla memoria la condotta del clan Sarno, alla vigilia dei primi scricchiolii del rigoglioso muro di fedeltà ed omertà che per anni aveva protetto gli affari del sodalizio camorristico nato nel Rione De Gasperi di Ponticelli. Il clan fondato dai fratelli Sarno iniziò a vacillare proprio al cospetto dei primi pentimenti da parte di alcuni affiliati. I primi “traditori” della cosca pagarono con la vita quella manifestata volontà di rinnegare i principi e i valori della camorra.
Prima di andare incontro alla morte, però, ricevettero dei “segnali premonitori”, per l’appunto.